PersOnLine ha scritto:Mal interpretato avrebbe dato un significato diverso alla frase?
No, sarebbe stato lo stesso uguale significato.
Ne approfitto per riportare quel che dice il GRADIT (che è la pattumiera, se vogliamo, della lingua):
mis- 2 le poco numerose neoformazioni risentono dell’influsso delle lingue inglese e tedesca: misinterpretare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Un'altra regola fantasma: È errato l'uso della congiunzione dunque a inizio di frase.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi) «Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Per quanto riguarda il dunque iniziale, c’è anche un duetto famoso dal Barbiere di Siviglia (Rossini). Se qualcuno volesse ascoltarlo nella migliore versione, si trova qui.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
SinoItaliano ha scritto:Si può scrivere malinterpretato tutt'attaccato?
Io farei un distinguo. Grafia scissa, male interpretato, se il termine ha valore prettamente verbale: ha male interpretato il mio pensiero; grafia unita in funzione aggettivale: un pensiero malinterpretato.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi) «Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Egregio Fausto Raso,
perché non «ha malinterpretato il mio pensiero», come sinonimo blando di equivocare o fraintendere?
Anche se ciò si tratterebbe di un neologismo, visto che non è registrato.
Personalmente, direi che te con funzione di soggetto è accettabile solo nel parlato molto informale. Assolutamente da evitare nello scritto, a meno che non arieggi il parlato.
È però ormai accolto anche nello scritto in unione con io: es. «ci andremo io e te». In questo caso, il mio gusto personale mi porta invece a scegliere la soluzione tu e io, che cerco d'usare il piú possibile anche parlando. Mi pare meno egocentrica e piú rispettosa dell'interlocutore.
Ho aggiunto un’altra regola fantasma, suggeritami da Fausto Raso, riguardo al verbo credere, che non potrebbe mai reggere l’indicativo. La realtà è diversa: regge il congiuntivo quando esprime una supposizione (Credo che sia vero), ma regge l’indicativo quando costituisce una professione di fede (Credo che Dio esiste), o per esprimere la posteriorità, col futuro (Credo che sarà un successo).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Concordo, ma bisognerebbe esplicitare (come hai fatto qui): temo infatti che la «professione di fede» finirebbe col costituire per molti un pretesto per usare sempre e soltanto l’indicativo. Bisogna chiarire, invece, che si tratta d’un caso particolarissimo, d’una sorta di «licenza confessionale»… e ovviamente a nulla vale citare il famosissimo verso dantesco «Cred’io ch’ei credette ch’io credesse» (Inf., XIII, 25 [corsivo mio]).
Riporto la trattazione di Luciano Satta (Ma che modo – uso e abusi del congiuntivo):
credereind cgt E uno dei verbi piú controversi e piú soggetti alle polemiche, nella questione del cgt. Ma in breve si puo dire: cgt se siamo in presenza di un’opinione o di un parere, ind se siamo in presenza di un atto di fede o di convinzione. - È credenza diffusa che lo abbiano aiutato molto i parenti. - Ora che mi hai visto in palestra a sollevare pesi, ci credi che sono guarito? - Dobbiamo far finta di credere che è stata rapita (N. Salvalaggio). - Oggi non credo si debbano fare piú previsioni (U. Eco). - Io credo che allora invece un poco mi amassi (R. Loy). - Credo che nella solitudine faccia lunghi sonni (L. Malerba). – Credo che anche di viso, cosí come di corpo, la ragazza sia bellissima (G. Montefoschi). - Tutto ciò ci lascia credere che il bambino sia morto a pochi mesi (P. Citati). - Non crede che Colombo scoprí l’America. - Ma credo che il movente vero fu un altro (G. Bocca). - Credo che la squadra meritasse di piú (a partita finita; e se la passione è profonda, ci può stare l’ind; ma nell’intervallo fra i due tempi si consiglia il cgt: Credo che la squadra meriti di piú). - Ho creduto che un prete deve essere uomo fra gli uomini, pazzo fra i pazzi, vile fra i vili, peccatore fra i peccatori (N. Salvalaggio). - Mia moglie crede che non le voglio piú bene (S. Mannuzzu; e addirittura l’inizio del primo racconto di La figlia perduta; ma nella pagina seguente: Credo tema la morte; e nella stessa pagina iniziale ci sono cgt “canonici”, con probabile, gradire, disturbare. – C’è bisogno di credere che la morte non è la fine di tutto (C. Marabini). – Un esempio con il condizionale: Credete che non saremmo capaci? (G. Melega).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Nel caso di una convinzione, non sarebbe egualmente possibile il congiuntivo, se la suddetta convinzione non è particolarmente forte o è segnata dal dubbio?
Per esempio, in «dobbiamo far finta di credere che è stata rapita», cause di forza maggiore, per cosí dire, impongono («dobbiamo») di fingere di credere al rapimento, perciò io considererei piú adatto un congiuntivo; l'indicativo mi sembra proprio di un registro piú basso.
Io direi che in questa frase la «chiave» è proprio fare finta di avere quella convinzione, cioè mostrarla come realtà; senza, avremmo regolarmente Dobbiamo credere che sia stata rapita.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ho l'impressione che spesso il confine tra «opinione» e «convinzione» sia (o è?) talmente sfumato che è davvero difficile usare tale differenza come guida: nel dubbio trovo il congiuntivo sempre preferibile e più elegante.
Io credo che allora invece un poco mi amassi
In questa frase, invece, sentirei meglio l'imperfetto, ma forse è (questa è è opportuna?) perché è fuori contesto.