«Forum» e «fòro»
Moderatore: Cruscanti
La cosiddetta 'invariabilità del plurale' è, a monte, una scelta o un partito preso, in realtà si tratta semmai di un 'mancato adattamento del plurale' dovuto, spesso, al non sapere come dire.
Ed ecco il lapis e i lapis. (Sento spesso l'apiss e lapisse). Per lapis si potrebbe dire che ormai è (da considerarsi) italiano (senza esserlo) e (per questo) si trova ad essere tra le poche parole indeclinabili. Perché se si usa un termine straniero vuol dire che si conosce e l'usiamo consapevolmente. Ma se non si conosce la sua forma plurale, chi vogliamo imbrogliare o cosa vogliamo apparire? Lo vogliamo italianizzare? Allora non conosciamo la sua traduzione e il suo corrispondente italiano.
In ogni caso il termine straniero supplisce parzialmente ad una mancanza, di solito a una parola che non viene in mente e allora si usa un sostituto estero. Ma cercando c'è sempre un termine o una locuzione italiana.
L'artificialità (o dovrei dire artificiosità) consiste, a mio modo di vedere, nell'applicare la presunta logica fonetica che 'appare' in termini paragonabili, spesso senza considerare l'epoca del prodotto finale simile, che può essere precedente di quattrocent'anni. Questa è veramente artificiale e da luogo a brutture incomprensibili come bloggo o altre che ho letto soltanto qui e per sola carità non rammento. Parlo di logica 'che appare' perché non siamo in grado di conoscere da quale scherzo o presa di giro è stata partorita una parola in realtà distorta, o quale altra ha sostituito e da questa è stata influenzata, o se la versione che ha preso piede è stata ripresa una sera in osteria da un un buffone ubriaco o deriva dall'errore di un copista o è la sintesi di termini simili. Artificiale è ricostruire, ma farlo a partire da dati parziali è inventare. Quando si considera che chi ha voluto fare l'Italiano (e sono stati tanti) ha preso il Toscano, soprattutto fiorentino, e l'ha corretto e ricorretto, limato e castrato, avendo come esempio e linea guida quello che 'credeva' che fosse il latino, e questo è successo per secoli, fondandosi sulle personalità autorevoli, oltreché su Dante, sul Tasso e sull'Ariosto, influenzando fortemente e ripetutamente tutto il Toscano e l'Italiano, fino ad arrivare allo stadio odierno, allora si potrebbe credere di poter ancora continuare a creare, a produrre questa lingua artificiale che però ora è effettivamente parlata, anche se perlopiù come seconda lingua (anche in Toscana).
Invece no. La Crusca, anche se era nata per questo, ha abdicato. La lingua ora è in mano a internet-tv-radio-insegnanti incolti-aziende anglofile e così via. Esce da queste trafile (in senso metallurgico) e viene rilavorata per rientrare nelle stesse trafile. Quel che resta è la sola forza della lingua, la sua coerenza interna che ho visto vacillare dagli anni '60 ma soprattutto '70 con grande accelerazione e sbracamento dopo il 2000.
Neppure io scrivo più come trent'anni fa'. Questa lingua, se si lascia a se stessa, tornerà verso le origini senza poterle più raggiungere, prenderà dai sostrati di tutta italia e si diffonderà secondo i canali dominanti nelle pronunce dominanti, con la completa distruzione della logica interna affinata nei secoli.
La nostra lingua è artificiale e il Toscano è la lingua che ha pagato nel modo più disastroso questo lungo travaglio. Ma oggi la nostra lingua c'è e sarebbe anche stabile e completa, se fosse insegnata come si deve. È su questo 'come si deve' che cascano tutti gli asini.
Ed ecco il lapis e i lapis. (Sento spesso l'apiss e lapisse). Per lapis si potrebbe dire che ormai è (da considerarsi) italiano (senza esserlo) e (per questo) si trova ad essere tra le poche parole indeclinabili. Perché se si usa un termine straniero vuol dire che si conosce e l'usiamo consapevolmente. Ma se non si conosce la sua forma plurale, chi vogliamo imbrogliare o cosa vogliamo apparire? Lo vogliamo italianizzare? Allora non conosciamo la sua traduzione e il suo corrispondente italiano.
In ogni caso il termine straniero supplisce parzialmente ad una mancanza, di solito a una parola che non viene in mente e allora si usa un sostituto estero. Ma cercando c'è sempre un termine o una locuzione italiana.
L'artificialità (o dovrei dire artificiosità) consiste, a mio modo di vedere, nell'applicare la presunta logica fonetica che 'appare' in termini paragonabili, spesso senza considerare l'epoca del prodotto finale simile, che può essere precedente di quattrocent'anni. Questa è veramente artificiale e da luogo a brutture incomprensibili come bloggo o altre che ho letto soltanto qui e per sola carità non rammento. Parlo di logica 'che appare' perché non siamo in grado di conoscere da quale scherzo o presa di giro è stata partorita una parola in realtà distorta, o quale altra ha sostituito e da questa è stata influenzata, o se la versione che ha preso piede è stata ripresa una sera in osteria da un un buffone ubriaco o deriva dall'errore di un copista o è la sintesi di termini simili. Artificiale è ricostruire, ma farlo a partire da dati parziali è inventare. Quando si considera che chi ha voluto fare l'Italiano (e sono stati tanti) ha preso il Toscano, soprattutto fiorentino, e l'ha corretto e ricorretto, limato e castrato, avendo come esempio e linea guida quello che 'credeva' che fosse il latino, e questo è successo per secoli, fondandosi sulle personalità autorevoli, oltreché su Dante, sul Tasso e sull'Ariosto, influenzando fortemente e ripetutamente tutto il Toscano e l'Italiano, fino ad arrivare allo stadio odierno, allora si potrebbe credere di poter ancora continuare a creare, a produrre questa lingua artificiale che però ora è effettivamente parlata, anche se perlopiù come seconda lingua (anche in Toscana).
Invece no. La Crusca, anche se era nata per questo, ha abdicato. La lingua ora è in mano a internet-tv-radio-insegnanti incolti-aziende anglofile e così via. Esce da queste trafile (in senso metallurgico) e viene rilavorata per rientrare nelle stesse trafile. Quel che resta è la sola forza della lingua, la sua coerenza interna che ho visto vacillare dagli anni '60 ma soprattutto '70 con grande accelerazione e sbracamento dopo il 2000.
Neppure io scrivo più come trent'anni fa'. Questa lingua, se si lascia a se stessa, tornerà verso le origini senza poterle più raggiungere, prenderà dai sostrati di tutta italia e si diffonderà secondo i canali dominanti nelle pronunce dominanti, con la completa distruzione della logica interna affinata nei secoli.
La nostra lingua è artificiale e il Toscano è la lingua che ha pagato nel modo più disastroso questo lungo travaglio. Ma oggi la nostra lingua c'è e sarebbe anche stabile e completa, se fosse insegnata come si deve. È su questo 'come si deve' che cascano tutti gli asini.
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
- Interventi: 5138
- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
No, si tratta di una questione tecnica. Se non si riesce a ricondurre la parola a strutture note, segnatamente a qualche suffisso di grande disponibilità (com’è il caso di talebano, per esempio), sarà difficile che il forestierismo sia adattato morfologicamente e, quindi, declinato. Tant’è che — correggetemi se sbaglio — la e paragogica di sporte o filme è un semplice espletivo sonoro che serve ad agevolare la pronuncia, non già un morfema.Scilens ha scritto:La cosiddetta 'invariabilità del plurale' è, a monte, una scelta o un partito preso, in realtà si tratta semmai di un 'mancato adattamento del plurale' dovuto, spesso, al non sapere come dire.
Non è questione d’ignoranza della lingua straniera: spontaneamente, chiunque direbbe «gli sport» piuttosto che «gli sports», indipendentemente dalla sua conoscenza dell’inglese. Ma chiunque direbbe spontaneamente pure «le nomination», non «le nominations», per prendere una parola meno comune di sport. Per contro, in inglese un italianismo come barista viene declinato al plurale in baristas altrettanto spontaneamente: ma la morfologia inglese è molto piú semplice di quella italiana.
Vorrei però precisare ulteriormente il mio uso di naturale e artificiale. Quando parlo di naturalità, mi riferisco alle competenze che tutti i parlanti hanno, a prescindere dal loro grado d’istruzione. Al contrario, l’artificialità costituisce l’eccezione: le persone che conoscono il latino, per esempio, sono una minoranza.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data sab, 21 dic 2013 14:50, modificato 2 volte in totale.
È vero che è una questione tecnica, ma lo diventa solo dopo aver constatato che nel parlato comune si tende ad adattare secondo le forme note, come dice anche lei, supportato dal famoso 'Riciliù' (Richelieu) di Manzoni, spagnolizzazione di un nome francese. Poi i grammatici codificano, o lo fanno gli autori sentiti come autorevoli.
Anche Euro, la moneta, in un primo momento fu dichiarato declinabile come Lira, ma poi fu stabilito che per semplicità dovesse essere indeclinabile. Un euro, gli euro. Invece si dice gli euri.
Ma si scrive gli euro. Comunemente in Europa la moneta è chiamata Iuro. Dovremmo fare lo stesso per semplicità e uniformità? No, per noi è naturale leggere come si scrive e formare i plurali per analogia. Se il vocabolo straniero sarà adattato all'italiano diventerà un prestito, una parola italiana d'origine straniera, ma finché non lo sarà resterà straniera e secondo me dovrà essere trattata come un ospite, senza farle torti. E chi non sa usarla si astenga, ne usi un'altra. Oppure, ma solo nel linguaggio comune parlato, la storpi pure, seguendo la natura, così se avrà successo potrà arrivare allo scritto, col tempo. In questo modo inoltre se ne facilita l'abbandono.
La mia non è che un'opinione, ma non credo che sia così solitaria.
Anche Euro, la moneta, in un primo momento fu dichiarato declinabile come Lira, ma poi fu stabilito che per semplicità dovesse essere indeclinabile. Un euro, gli euro. Invece si dice gli euri.
Ma si scrive gli euro. Comunemente in Europa la moneta è chiamata Iuro. Dovremmo fare lo stesso per semplicità e uniformità? No, per noi è naturale leggere come si scrive e formare i plurali per analogia. Se il vocabolo straniero sarà adattato all'italiano diventerà un prestito, una parola italiana d'origine straniera, ma finché non lo sarà resterà straniera e secondo me dovrà essere trattata come un ospite, senza farle torti. E chi non sa usarla si astenga, ne usi un'altra. Oppure, ma solo nel linguaggio comune parlato, la storpi pure, seguendo la natura, così se avrà successo potrà arrivare allo scritto, col tempo. In questo modo inoltre se ne facilita l'abbandono.
La mia non è che un'opinione, ma non credo che sia così solitaria.
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Intervengo in questo accattivante duetto solo per rilevare, con estrema bonarietà, un vizio di fondo nell'affermazione di Scilens, che predica bene ma razzola male: "Per me se si usa una parola straniera questa andrà declinata nella lingua di provenienza, in ogni caso. [Involontario, e improvvido, doppio senso! ] Così il plurale di forum sarà fora come quello di referendum sarà referenda, e curriculum fa curricula". Magari fosse così semplice, caro Scilens! Se davvero vuole essere fedele alla lingua originale e declinare, declini! In questo foro (ablativo, stato in luogo) parleremo dunque del plurale [di?] fori (genitivo, specificazione). O forse, conservando la preposizione di, dovrei rifarmi alla costruzione de + abl., e quindi usare foro? Come vede, si trova sempre qualcuno più realista del re! E la rigorosa applicazione della regola da lei proposta è praticamente impossibile. Perché, infatti, si dovrebbe conservare solo una parte della declinazione (quella relativa alla distinzione singolare/plurale) e gettare alle ortiche le distinzioni logiche, che sono il sale del latino?
Per quel che mi riguarda, trattare il singolo termine latino come invariabile va benissimo (sottolineo "singolo" per non contraddirmi quando dico, ad esempio, errata corrige, dove il plurale fa parte dell'espressione cristallizzata), e va bene pure il plurale latino, quando non stravolga la comprensione. Con l'avvertenza, per chi opta per la seconda scelta, che tale opzione non lo mette automaticamente con le carte in regola, perché potrebbe incontrare qualcuno più pedante di lui, con pretese di declinazione integrale, e a quel punto non potrebbe più appellarsi al principio del rispetto della lingua originale.
Per quel che mi riguarda, trattare il singolo termine latino come invariabile va benissimo (sottolineo "singolo" per non contraddirmi quando dico, ad esempio, errata corrige, dove il plurale fa parte dell'espressione cristallizzata), e va bene pure il plurale latino, quando non stravolga la comprensione. Con l'avvertenza, per chi opta per la seconda scelta, che tale opzione non lo mette automaticamente con le carte in regola, perché potrebbe incontrare qualcuno più pedante di lui, con pretese di declinazione integrale, e a quel punto non potrebbe più appellarsi al principio del rispetto della lingua originale.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
Argomento molto pertinente, caro Animo Grato. Prendiamo il già citato ṭālibān: chi non sa il persiano, come farà a declinare la parola al singolare? Peraltro, questa parola è la conferma della regola che ho citato sopra: la morfologia straniera è invisibile alla lingua d’arrivo.
Si potrebbe obbiettare in questo caso che si tratti d’ignoranza da parte dei giornalisti. Può darsi, ma è un argomento molto debole. In realtà, l’invariabilità dei forestierismi non adattati è dovuta a ragioni di economia linguistica: è irrealistico pensare che si debbano apprendere le regole di declinazione di tutte le lingue cui appartengono i forestierismi italiani. Ne risulterebbe una babele, un mischione improponibile. La declinazione dei forestierismi è riservata agli occasionalismi, cioè alle parole che non sono entrate, in un modo o nell’altro, nell’uso.
Si potrebbe obbiettare in questo caso che si tratti d’ignoranza da parte dei giornalisti. Può darsi, ma è un argomento molto debole. In realtà, l’invariabilità dei forestierismi non adattati è dovuta a ragioni di economia linguistica: è irrealistico pensare che si debbano apprendere le regole di declinazione di tutte le lingue cui appartengono i forestierismi italiani. Ne risulterebbe una babele, un mischione improponibile. La declinazione dei forestierismi è riservata agli occasionalismi, cioè alle parole che non sono entrate, in un modo o nell’altro, nell’uso.
Quella di Animo Grato è un'ottima perché spettacolare obiezione, infatti non potremmo usare tutta la declinazione latina senza ingenerare conflitti e perdere comprensibilità con effetti ridicoli.
Il concetto è ben riassunto da Ferdinand:
la morfologia straniera è invisibile alla lingua d’arrivo.
Naturalmente la completa declinazione latina, oltre a non essere mai stata proposta da nessuno (per quanto mi ricordi), non è richiesta e nulla impedisce di usare i semplici plurali latini (al nominativo), o inglesi o di ogni altra lingua.
Nel caso in cui un giornalista dovesse riportare una parola straniera poco conosciuta potrebbe metterla semplicemente tra virgolette, rendendola come congelata, e aggiungere la spiegazione.
Non è così complicato.
Il concetto è ben riassunto da Ferdinand:
la morfologia straniera è invisibile alla lingua d’arrivo.
Naturalmente la completa declinazione latina, oltre a non essere mai stata proposta da nessuno (per quanto mi ricordi), non è richiesta e nulla impedisce di usare i semplici plurali latini (al nominativo), o inglesi o di ogni altra lingua.
Nel caso in cui un giornalista dovesse riportare una parola straniera poco conosciuta potrebbe metterla semplicemente tra virgolette, rendendola come congelata, e aggiungere la spiegazione.
Non è così complicato.
- GianDeiBrughi
- Interventi: 108
- Iscritto in data: mar, 07 feb 2012 21:28
- Località: Mantova
Come si può constatare con qualsiasi motore di ricerca molti anglofoni, come plurale di forum, coerentemente usano fora, così come usano curricula per il plurale di curriculum; e quest'ultimo per altro lo usiam anche noi spesso.
Per cui se lo fanno loro, che in fondo parlan pur sempre una lingua che dal latino non deriva, v'è ragione per cui dovrebbe esser tanto astruso farlo per noi?
Io però preferisco "foro" (-i ) in tutti i contesti a dir la verità.
Per cui se lo fanno loro, che in fondo parlan pur sempre una lingua che dal latino non deriva, v'è ragione per cui dovrebbe esser tanto astruso farlo per noi?
Io però preferisco "foro" (-i ) in tutti i contesti a dir la verità.
Del resto http://www.treccani.it/enciclopedia/cur ... aliana%29/
"Almeno in contesti formali, tuttavia, sarà bene usare soltanto la forma curricula o ricorrere al più raro curricoli, plurale dell’italianizzato curricolo"
Perché allora ciò non dovrebbe valere per gli altri plurali?
"Almeno in contesti formali, tuttavia, sarà bene usare soltanto la forma curricula o ricorrere al più raro curricoli, plurale dell’italianizzato curricolo"
Perché allora ciò non dovrebbe valere per gli altri plurali?
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
No, perché ognuno la pronuncia secondo le regole della loro lingua: semplificando parecchio, gli anglofoni dicono iùrou, i germanofoni òiro, i francofoni örò, i grecofoni evrò, gl'ispanofoni come noi e così via.Scilens ha scritto:Non le torna?
Dipende: la versione a colori è sempre stata una matita.Smaralda ha scritto:In Toscana (almeno a Firenze) tutti dicono "lapis"; se vai in un a cartoleria e chiedi una matita, vedi lo stupore negli occhi del bottegaio di turno, che comunque dopo un paio di secondi si ripiglia, e sorridendo, ti corregge: "Ah, un LÀPISSE!"
- Infarinato
- Amministratore
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- Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 10:40
- Info contatto:
«Correntemente» dove, scusi? La matita colorata è correntemente chiamata matita [colorata].Smaralda ha scritto:La "versione a colori" è correntemente chiamata "pastello"…
Dove? Basta digitare "pastelli" su Google per accorgersene. La fiorentinissima Fila chiama correntemente "pastelli" le sue matite colorate. Comunque, signori accademici, ringrazio e tolgo il disturbo. Non pensavo di trovare, dietro a tanto ostentata correttezza formale, un grado di acidità tale da rendermi indigesto un "fòro" di argomento così piacevole.
Chi c’è in linea
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