Corrigendum: «del Corriere». Come le è stato recentemente fatto notare, la sequenza *de il, per quanto diffusa tra le persone di mezza cultura, è inammissibile in italiano. Se ne faccia pertanto una ragione.Pugnator ha scritto:Da notare che neanche il dizionario de "Il corriere" contiene questo lemma.
Ancora su *«de il» etc.
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[FT] Ancora su *«de il» etc.
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Non mi convince né il dizionario della Rai né il filone sull'argomento. Se è usato questo costrutto fin dal '600 non vedo perché non continuare a utilizzarlo (tra l'altro il dizionario Treccani e il dizionario Sabini Colletti riportano questo uso senza dargli connotazione erronea/sbagliata/sconsigliata o altro).
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Quello che Lei chiama «dizionario della RAI» non è nient’altro che il DOP, cioè la bibbia dell’ortoepia e dell’ortografia della lingua italiana: faccia un po’ Lei.
De la etc. sono in uso da ben prima del ’600 (anche se questo non è un motivo valido per resuscitarli per un fine tanto banale); *de il etc., no: sono semplicemente forme senz’alcuna giustificazione storica o morfologica… Ma forse, invece di ribattere, qualche volta farebbe bene a leggersi i rimandi che le vengono forniti.
De la etc. sono in uso da ben prima del ’600 (anche se questo non è un motivo valido per resuscitarli per un fine tanto banale); *de il etc., no: sono semplicemente forme senz’alcuna giustificazione storica o morfologica… Ma forse, invece di ribattere, qualche volta farebbe bene a leggersi i rimandi che le vengono forniti.
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Ma se vari dizionari riportano questa forma che è un uso frequente da più di 100 anni (rara trovarla prima poiché era consuetudine disarticolare tutte le preposizioni) perché non considerarla corretta? È lo stesso discorso di "appropriarsi di" ed "appropriarsi" che abbiamo già trattato, se l'uso ha reso completamente corretto "appropriarsi di" perché secondo voi non dovrebbe render corretto pure il costrutto "de il" et similia che di fatto vengono usati frequentemente da tanto tempo?
Se ne faccia una ragione: lei è qui nel paradiso della lingua italiana; i consigli che le vengono forniti sono sempre quelli del buon uso. Se poi desidera non seguirli, lei è liberissimo di fare come vuole, nessuno le impone nulla.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ma non avendo una accademia regolante ufficiale riguardo la lingua Italiana non possiamo definire completamente sbagliato o sconsigliato un uso che oramai si fa da più di un secolo e che è considerato corretto e nemmeno sconsigliato
dalla maggioranza dei dizionari. Inoltre considero più appropriato l'uso di de +il in quanto preserva al meglio il nome originale evitando ambiguità, ha un uso storico ed è considerata corretta e non sconsigliata dalla maggior parte dei dizionari.
dalla maggioranza dei dizionari. Inoltre considero più appropriato l'uso di de +il in quanto preserva al meglio il nome originale evitando ambiguità, ha un uso storico ed è considerata corretta e non sconsigliata dalla maggior parte dei dizionari.
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Siamo sempre nel caso dell’osservanza pedissequa e non necessaria della forma di un nome, osservanza in nome della quale si snatura la grafia normale. L’ambiguità ci sarebbe soltanto per nomi quali quelli dei quotidiani Il Giornale e La Stampa, ma anche qui a me viene piú spontaneo dire (nella grafia maiuscolo e corsivo bastano a disambiguare) «nel quotidiano La Stampa/Il Giornale». Lei, parlando, direbbe «L’ho letto ne [staccato] Il Messaggero?Pugnator ha scritto:Inoltre considero più appropriato l'uso di de +il in quanto preserva al meglio il nome originale evitando ambiguità…
Che ci siano dizionari che riportano de e ne usati a questo scopo, e che se ne trovino numerose attestazioni anche in opere primonovecentesche, non vuol dire ovviamente nulla: non contestiamo che questo sia un uso consolidato e degno di nota, ma che sia buono e consigliabile, sulla base di ragioni inoppugnabili: inutilità, contrasto con la tradizione, ricupero non debitamente giustificato di forme antiche (nel caso di ne La, de I, ecc. ma non di *de Il e *ne Il), artificiosità della pronuncia.
Peraltro, e qui chiudo davvero, l’introduzione di quest’eccezione potrebbe avere qualche effetto negativo anche sotto l’aspetto dell’insegnamento: un discente potrebbe pensare di estendere ne il e de il anche ad altri casi, dicendo e scrivendo *ne il campo, *de il gatto, ecc.
Ciò detto, ognuno si regoli come vuole.
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Vorrei ribadire una cosa a scanso di equivoci: a differenza delle scrizioni de la, de lo, de i, de gli etc., che mostrano tutte le pecche ottimamente riassunte da Ferdinand (ma che non si possono dire propriamente «errate»), sequenze quali *de il, *ne il sono «assurde», per dirla col DOP, non solo perché non hanno alcuna giustificazione né storica né morfologica, ma anche perché sono intimamente antitaliane, presentando un dittongo [«discendente»] uscente in /i/ in posizione non finale (e perdipiú atona), che il fiorentino ha abolito fin da epoca antica, e di fatto ponendo queste parole del lessico fondamentale sullo stesso piano di esotismi o dialettalismi quali baita, leida, maira/meira etc.Ferdinand Bardamu ha scritto:[N]on contestiamo che questo sia un uso consolidato e degno di nota, ma che sia buono e consigliabile, sulla base di ragioni inoppugnabili: inutilità, contrasto con la tradizione, ricupero non debitamente giustificato di forme antiche (nel caso di ne La, de I, ecc. ma non di *de Il e *ne Il), artificiosità della pronuncia.
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Secondo me, dovendole leggere, ci andrebbe una pausa e non il dittongo.Infarinato ha scritto:[S]equenze quali *de il, *ne il sono «assurde», per dirla col DOP, non solo perché non hanno alcuna giustificazione né storica né morfologica, ma anche perché sono intimamente antitaliane, presentando un dittongo [«discendente»] uscente in /i/ in posizione non finale…
Dopo aver fatto tanta fatica per staccarle graficamente...
- Infarinato
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E infatti è proprio ciò che sono costretti a fare coloro che si trovano a dover leggere tali sequenze… il che le rende ancora piú assurde!valerio_vanni ha scritto:Secondo me, dovendole leggere, ci andrebbe una pausa e non il dittongo.
- Animo Grato
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Approfitto della momentanea riapertura del filone per chiedere un chiarimento su un caso particolare. Premetto che, come ho scritto a suo tempo, sono un convinto sostenitore della norma classica: una giornalista della Repubblica, un articolo del Fatto Quotidiano.
Questa è la posizione che sosterrei senza cedere di un millimetro di fronte a qualsiasi interlocutore. Non mi sentirei altrettanto corazzato nel caso in cui il titolo da citare fosse formato non dalla coppia "articolo + sostantivo", ma da un'intera proposizione.
Ad esempio, Il postino suona sempre due volte. L'opzione "de [o ne] Il postino suona sempre due volte", ovviamente, non sussiste. La soluzione classica ("l'interpretazione di Jack Nicholson nel Postino suona sempre due volte") scorre via liscia, ma un nevrotico ipergrammaticale potrebbe far notare che, da una parte, il titolo viene trattato come una "monade" inscindibile e a sé stante (altrimenti, a differenza di "l'articolo del corriere è privo di fondamento", una frase come "l'interpretazione di Jack Nicholson nel postino suona sempre due volte è magistrale" sarebbe sintatticamente improponibile). D'altra parte (sostengo sempre la parte dell'avvocato del diavolo), tanto inscindibile questa monade non è, se ho potuto mutilarla dell'articolo, ricongiungendolo alla preposizione che lo precedeva.
A questo punto, la "soluzione" [ottusamente?] coerente sarebbe marcare rigorosamente i confini del titolo, trattandolo come una singola parola priva di significato (se non quello di etichetta della cosa designata): "l'interpretazione di Jack Nicholson in Il postino suona sempre due volte", così come direi "l'interpretazione di Jack Nicholson in The postman always rings twice").
Che fare?
Per chi volesse sapere come io abbia potuto partorire una tale "elucubrazione" (per usare un termine gentile...), aggiungo che mi è stata suggerita dalla tipica scansione dei titoli di testa (esempio fittizio: [Aurelio De Laurentiis presenta]* [Mel Gibson] [e Anna Pannocchia] [in] [La trippa del gatto]).
Infine, risparmio la fatica a chi volesse fare la consueta (per quanto poco probante) ricerca con Google:
- "ne il Postino suona sempre due volte": 1670 occorrenze;
- "nel Postino suona sempre due volte": 273;
- "in Il postino suona sempre due volte": 1410.
* Ho usato "creativamente" le parentesi quadre per isolare i singoli fotogrammi.
Questa è la posizione che sosterrei senza cedere di un millimetro di fronte a qualsiasi interlocutore. Non mi sentirei altrettanto corazzato nel caso in cui il titolo da citare fosse formato non dalla coppia "articolo + sostantivo", ma da un'intera proposizione.
Ad esempio, Il postino suona sempre due volte. L'opzione "de [o ne] Il postino suona sempre due volte", ovviamente, non sussiste. La soluzione classica ("l'interpretazione di Jack Nicholson nel Postino suona sempre due volte") scorre via liscia, ma un nevrotico ipergrammaticale potrebbe far notare che, da una parte, il titolo viene trattato come una "monade" inscindibile e a sé stante (altrimenti, a differenza di "l'articolo del corriere è privo di fondamento", una frase come "l'interpretazione di Jack Nicholson nel postino suona sempre due volte è magistrale" sarebbe sintatticamente improponibile). D'altra parte (sostengo sempre la parte dell'avvocato del diavolo), tanto inscindibile questa monade non è, se ho potuto mutilarla dell'articolo, ricongiungendolo alla preposizione che lo precedeva.
A questo punto, la "soluzione" [ottusamente?] coerente sarebbe marcare rigorosamente i confini del titolo, trattandolo come una singola parola priva di significato (se non quello di etichetta della cosa designata): "l'interpretazione di Jack Nicholson in Il postino suona sempre due volte", così come direi "l'interpretazione di Jack Nicholson in The postman always rings twice").
Che fare?
Per chi volesse sapere come io abbia potuto partorire una tale "elucubrazione" (per usare un termine gentile...), aggiungo che mi è stata suggerita dalla tipica scansione dei titoli di testa (esempio fittizio: [Aurelio De Laurentiis presenta]* [Mel Gibson] [e Anna Pannocchia] [in] [La trippa del gatto]).
Infine, risparmio la fatica a chi volesse fare la consueta (per quanto poco probante) ricerca con Google:
- "ne il Postino suona sempre due volte": 1670 occorrenze;
- "nel Postino suona sempre due volte": 273;
- "in Il postino suona sempre due volte": 1410.
* Ho usato "creativamente" le parentesi quadre per isolare i singoli fotogrammi.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
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Caro Animo Grato, finalmente Lei sposta la questione dal trito e ritrito, dal detto e ridetto su qualcosa su cui vale la pena d’imbastire una discussione: la ringrazio.
Riprova ne è il fatto che neanch’io mi sento in grado di fornirle cosí su due piedi una risposta «ufficiale» sul sottocaso da Lei considerato, che rientra nel piú ampio àmbito del metalinguaggio.
Se in un contesto prettamente linguistico direi senza problemi «in il postino suona sempre due volte» intendendo «nella frase il postino suona sempre due volte», riferendomi alla pellicola di cui la proposizione in esame costituisce il titolo, direi forse piú naturalmente «nel Postino suona sempre due volte», bastando l’intonazione (e il contesto) a disambiguare nel parlato, e il corsivo nello scritto.
Del resto, Wertmüller a parte, le proposizioni [indipendenti] sono decisamente rare come titoli di opere italiane (e non solo di quelle cinematografiche), ricorrendo piuttosto nella traduzione di pellicole straniere…
Riprova ne è il fatto che neanch’io mi sento in grado di fornirle cosí su due piedi una risposta «ufficiale» sul sottocaso da Lei considerato, che rientra nel piú ampio àmbito del metalinguaggio.
Se in un contesto prettamente linguistico direi senza problemi «in il postino suona sempre due volte» intendendo «nella frase il postino suona sempre due volte», riferendomi alla pellicola di cui la proposizione in esame costituisce il titolo, direi forse piú naturalmente «nel Postino suona sempre due volte», bastando l’intonazione (e il contesto) a disambiguare nel parlato, e il corsivo nello scritto.
Del resto, Wertmüller a parte, le proposizioni [indipendenti] sono decisamente rare come titoli di opere italiane (e non solo di quelle cinematografiche), ricorrendo piuttosto nella traduzione di pellicole straniere…
Il mitico «colpo di glottide» [ʔ]!valerio_vanni ha scritto:Secondo me, dovendole leggere, ci andrebbe una pausa e non il dittongo.
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Sì, o anche una semplice pausa.Carnby ha scritto:Il mitico «colpo di glottide» [ʔ]!valerio_vanni ha scritto:Secondo me, dovendole leggere, ci andrebbe una pausa e non il dittongo.
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