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Il caso di cavallo è diverso: è la continuazione del latino caballum, accanto alla forma canonica equus; caco, invece, è la deformazione (non la continuazione) popolare di cachi.
Sono d’accordo con lei, ma ciascuno di noi ha un rapporto intimo con le parole, e a me non piace neanche cachi: dico diòspero o pómo.
Sono d’accordo con lei, ma ciascuno di noi ha un rapporto intimo con le parole, e a me non piace neanche cachi: dico diòspero o pómo.
Puoi anche non credermi. Quando mi dirai che a Mantova la tal cosa si chiama in un dato modo, farò come te: lo metterò in dubbio e chiederò a un mantovano.
Intanto, siccome mènto, riporto una citazione di Vasco Pratolini, scrittore fiorentino (1913-1991):
Intanto, siccome mènto, riporto una citazione di Vasco Pratolini, scrittore fiorentino (1913-1991):
Mangiavamo... pane e soprassata, e pane e frutta fresca come mele arance diosperi, e anche pane e noci, pane e zibibbo.
E allora? L'italianizzazione passa anche per la deformazione.Marco1971 ha scritto:Il caso di cavallo è diverso: è la continuazione del latino caballum, accanto alla forma canonica equus; caco, invece, è la deformazione (non la continuazione) popolare di cachi.
Meglio una forma popolare ma del tutto italiana che una italiana sconosciuta che finisce solo col rafforzare il concorrente straniero.
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In Liguria, in dialetto, si dice cacu (non c'è, dalle mie parti, il pericolo di 'imbarazzanti' omofonie, perché, per l'altra cosa, si dice cagu) e nell'italiano regionale caco. Al massimo cachi viene usato per indicare il colore. È impressionante, comunque, il fatto che un frutto di recente acquisizione (poco più di cent'anni) venga indicato con tanti termini diversi (diospero, pomo, loto e via discorrendo).
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