Sono andato a rileggere con attenzione il §84 della Fonetica del Rohlfs. A sostegno della sua tesi ("dittongazione" e, poi, sincope) l'autore cita la "Postierula dei Visconti" nella Firenze antica. Senza, però, fornire nessun'altra indicazione di riferimento. Pur tenendo in adeguata considerazione i contributi forniti e le caratteristiche specifiche costituite dall'avere una sonorante nella "coda" o come "confine" di sillaba, non risulta banale poter giungere a conclusioni univoche. Ad es., merlo<"mĕrulu(m)" - certamente sincopato - costituisce un valido controesempio perché non ha mai "dittongato" né prima né dopo (della sincope che, oggettivamente, c'è stata) e non c'è ragionevole motivo per poter dubitare della sua "fiorentinità" originaria. Non si vede proprio perché dovrebbe essere stato un prestito. Se mai, è postierla che, secondo alcuni autori, costituisce un prestito dal provenzale. In merito s'erano già espressi gli antichi. Potrebbe essere decisamente discutibile "fare scienza" su casi - sostanzialmente - "singoli". E nei quali a ogni conclusione si può sempre opporre un controesempio. D'altronde - paradossalmente - per poter usufruire di documentazione e datazioni certe sarebbe occorsa un'epoca di scolarizzazione diffusa e abbondante documentazione scritta. Ma così non è certamente stato il periodo in cui si sono originate le evoluzioni e le differenze linguistiche che, ora, attirano il nostro interesse.Ferdinand Bardamu ha scritto:Un sentito grazie anche a te, Infarinato. Se è abbastanza certo che la sincope è un fenomeno antico e comune a tutta la Romània, dobbiamo supporre dunque che un condizionamento del contesto fonetico, in particolare la presenza di una sonorante come [r], abbia consentito alla Ě già in sillaba chiusa di sviluppare la ben nota dittongazione, sia in postierla sia in tuorlo.
Origine di «-ie-» in «postierla»
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SINCOPE E "DITTONGAZIONE"
- Ferdinand Bardamu
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Grazie ancora. Insomma questo caso è un bel guazzabuglio. Merlo è un ottimo controesempio; tuttavia Rohlfs, stranamente, non lo cita. A questo punto o riusciamo ad avere una storia della parola, con tutti i suoi passaggi (cosa ovviamente impossibile), oppure dobbiamo arrenderci all’incertezza e accontentarci di congetture, per quanto plausibili.
Ma vorrei concentrarmi su merlo. Se ipotizziamo che la dittongazione sia stata comunque permessa dalla sonorante in coda sillabica a sincope avvenuta, dobbiamo ammettere che a costituire un’eccezione allora è proprio merlo. E aggiungerei anche gerla, da GĔRŬLA(M). La confusione aumenta.
Ma vorrei concentrarmi su merlo. Se ipotizziamo che la dittongazione sia stata comunque permessa dalla sonorante in coda sillabica a sincope avvenuta, dobbiamo ammettere che a costituire un’eccezione allora è proprio merlo. E aggiungerei anche gerla, da GĔRŬLA(M). La confusione aumenta.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data mer, 22 gen 2014 22:07, modificato 1 volta in totale.
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«Ancora piu strana è la forma aretina sierla ‘nottola’, che richiede come base un *SĔRRULA» (Rohlfs 1966: 102). ;)Ferdinand Bardamu ha scritto:Merlo è un ottimo controesempio; tuttavia Rohlfs, stranamente, non lo cita.
Onestamente, io non mi fascerei troppo la testa, caro Ferdinand :): come implicitamente fa, ad esempio, il Sabatini-Colletti (q.v.), basterà semplicemente ammettere che gerla e merlo ci arrivino dal latino volgare in una forma già sincopata (già sincopata nel latino tardo, cioè, fin da epoca molto antica), mentre tuorlo e postierla no (o, perlomeno, non soltanto).Ferdinand Bardamu ha scritto:Se ipotizziamo che la dittongazione sia stata comunque permessa dalla sonorante in coda sillabica a sincope avvenuta, dobbiamo ammettere che a costituire un’eccezione allora è proprio merlo. E aggiungerei anche gerla, da GĔRŬLA(M).
Prevengo la tua facile obbiezione: «E perché?». :) Anche qui non c’è bisogno di scomodare i massimi sistemi: perché in un contesto in cui la sincope è possibile, ma non necessaria, e, perdipiú, la natura «sonorante» della [r] (meglio: dell’intero nesso [r_l]) poteva favorire / non ostacolare la dittongazione anche in sillaba chiusa, la singola parola finisce [con l’uso, per fattori anche estralinguistici] collo stabilizzarsi in una delle due forme (o in entrambe: è il caso di postierla e di tuorlo).
- Ferdinand Bardamu
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Chiaro fino ad un certo punto. Nei dialetti liguri occ. l'esito di -CL- è la laterale palatale (gl italiana) o i semiconsonantica per successiva evoluzione. Infatti, regolarmente, abbiamo maglia "maglia" da macula. Però esiste anche macia "macchia" sempre da macula, maciàu "macchiato" e maguràu "ammaccato"< maculatus.Ferdinand Bardamu ha scritto:Tutto molto chiaro, come sempre. Grazie.
Come spiegare il doppio esito?
Largu de farina e strentu de brenu.
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«Gerla» e «gierla»
Beh, noi si parlava però dell’esito toscano di Ĕ tonica...u merlu rucà ha scritto:Chiaro fino ad un certo punto...Ferdinand Bardamu ha scritto:Tutto molto chiaro, come sempre. Grazie.
A questo riguardo si deve tener conto anche del possibile riassorbimento dell’approssimante del «dittongo» alla consonante omorganica precedente («Giemo per il gielo leggiero sotto il cieco cielo»:D). Il TLIO dà, tra le forme alternative, anche gierla.Ferdinand Bardamu ha scritto:E aggiungerei anche gerla, da GĔRŬLA(M).
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data mer, 22 gen 2014 13:50, modificato 1 volta in totale.
- u merlu rucà
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Ho esteso il dubbio al problema della sincope. Riferendomi ai miei esempi liguri, si tratta di termini popolari, quindi è difficile che si tratti di prestiti.Ferdinand Bardamu ha scritto:Beh, noi si parlava però dell’esito toscano di Ĕ tonica...u merlu rucà ha scritto:Chiaro fino ad un certo punto...Ferdinand Bardamu ha scritto:Tutto molto chiaro, come sempre. Grazie.
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Re: «Gerla» e «gierla»
Sí, certo: riassorbimento che Rohlfs (1966: 103) data —non si sa bene come — al XVIII secolo…Ferdinand Bardamu ha scritto:A questo riguardo si deve tener conto anche del possibile riassorbimento dell’approssimante del «dittongo» alla consonante omorganica precedente («Giemo per il gielo leggiero sotto il cieco cielo»:D).Ferdinand Bardamu ha scritto:E aggiungerei anche gerla, da GĔRŬLA(M).
In ogni caso (col Larson) mi sto sempre piú convincendo che non sia possibile [in italiano] una pronuncia [ʧj] con [ʧ] schiettamente palatoalveolare (o, canepariamente, «postalveo-palatale») e [j] pienamente consonantica (lo stesso, mutatis mutandis, dicasi ovviamente per [ʤj]): o si avanza leggermente il punto d’articolazione della prima o si vocalizza lievemente la seconda. O meglio: [ʧj] e [ʤj] sono [articolatoriamente] possibilissimi, ma la [j] non risulta [uditivamente] percepibile se non adottando uno degli espedienti di cui sopra (a voler essere pignoli, anche il famigerato Chiapas in ispagnolo —assenza di protrusione labiale a parte— è piuttosto un [ʧij]).
Quindi, considerando che un avanzamento della postalveolare appare poco verosimile per il fiorentino/toscano (anche storicamente), c’è da chiedersi se le grafie cie, gie (e tonica) non rappresentassero in realtà delle pronunce [ʧijɛ, ʤijɛ], relitto d’una fase anteriore nel processo di dittongazione della Ĕ tonica latina in sillaba aperta…
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E, dopo aver letto l'intervento precedente, posso gettare serenamente la spugna! Devo dire che queste discussioni mi interessano moltissimo, ma ne capisco una frazione infinitesima[le?]. Per me, che già faccio confusione tra fricative e affricate, quando arrivano le postalveo-palatali (altrimenti dette palatoalveolari) mi sembra di essere finito in mezzo a una supercazzola di Amici miei [lo studiato anacoluto vuole sottolineare lo smarrimento dell'Autore ].
Tuttavia, non ho intenzione di demordere! Anime buone di Cruscate, sarete così gentili da consigliarmi un testo introduttivo alla fonologia/fonetica/fonotassi (non so nemmeno come chiamarla di preciso... )? Vorrei una cosa divulgativa, semplice, alla mia portata (leggi: che possa capire anche un tredicenne non particolarmente dotato). L'aspetto che mi interessa di più è quello relativo ai fenomeni storici attraverso i quali i "suoni" (mi tengo sul vago per evitare strafalcioni) del latino si sono modificati dando origine al profilo di una nuova lingua (l'italiano, savasandìr), mentre mi riserverei di sviscerare gli aspetti anatomici della fonazione in un secondo (anche terzo o quarto) momento. Anche se immagino che un'infarinatura al riguardo sia imprescindibile (una vera "infarinatura", e non quella che si potrebbe desumere dal nomignolo che si è infelicemente scelto il nostro moderatore, e in base al quale "infarinato" equivarrebbe a "onnisciente", o poco meno).
Spero che il mio grido di dolore non resti inascoltato!
Tuttavia, non ho intenzione di demordere! Anime buone di Cruscate, sarete così gentili da consigliarmi un testo introduttivo alla fonologia/fonetica/fonotassi (non so nemmeno come chiamarla di preciso... )? Vorrei una cosa divulgativa, semplice, alla mia portata (leggi: che possa capire anche un tredicenne non particolarmente dotato). L'aspetto che mi interessa di più è quello relativo ai fenomeni storici attraverso i quali i "suoni" (mi tengo sul vago per evitare strafalcioni) del latino si sono modificati dando origine al profilo di una nuova lingua (l'italiano, savasandìr), mentre mi riserverei di sviscerare gli aspetti anatomici della fonazione in un secondo (anche terzo o quarto) momento. Anche se immagino che un'infarinatura al riguardo sia imprescindibile (una vera "infarinatura", e non quella che si potrebbe desumere dal nomignolo che si è infelicemente scelto il nostro moderatore, e in base al quale "infarinato" equivarrebbe a "onnisciente", o poco meno).
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«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
Animo Grato, lei ha ragione. A volte, senza accorgersene, ci si lascia prendere un po' la mano dal linguaggio tecnico.
Una delle cose più difficili e faticose è rendere comprensibili ai non addetti ai lavori argomenti del tipo di quelli trattati sopra.
Ma vedrà che ora Infarinato tradurrà il suo intervento in un linguaggio più comprensibile e anche gli altri si sforzeranno di esprimere più semplicemente le loro tesi, anche a rischio di sacrificare la massima precisione.
Riguardo alla sua richiesta di suggerimenti bibliografici, le consiglierei in prima battuta i Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano di Giuseppe Patota, Bologna, Il Mulino. In fondo al volume troverà una bibliografia ragionata che le consentirà di procedere a ulteriori approfondimenti.
Una delle cose più difficili e faticose è rendere comprensibili ai non addetti ai lavori argomenti del tipo di quelli trattati sopra.
Ma vedrà che ora Infarinato tradurrà il suo intervento in un linguaggio più comprensibile e anche gli altri si sforzeranno di esprimere più semplicemente le loro tesi, anche a rischio di sacrificare la massima precisione.
Riguardo alla sua richiesta di suggerimenti bibliografici, le consiglierei in prima battuta i Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano di Giuseppe Patota, Bologna, Il Mulino. In fondo al volume troverà una bibliografia ragionata che le consentirà di procedere a ulteriori approfondimenti.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
"DITTONGAZIONE"
Sempre molto interessanti e arricchenti i contributi d’Infarinato. Certamente l’ultimo, ma molto importante pure il precedente intervento, anche perché delimita precisamente a [-'ĕrl-] la condizione in cui può verificarsi la “dittongazione”. Infatti, nelle altre occorrenze in cui si ha [-'ĕrC-] con C diversa da “l” e anche con C = r in fiorentino - e, quindi, in italiano - non si realizza “dittongazione”. E questo rappresenta un differenziale netto rispetto ad altri sistemi linguistici - ad es., il castigliano - che, in queste condizioni, “dittongano”. L’equivalente castigliano di “aperto” - “abierto” - risulta “dittongato” così come molti altri vocaboli appartenenti a questa “classe” di origine ( [-'ĕrC-] con C diversa da “l” ). Lo stesso si verifica con tierra<tĕrra, hierro<fĕrru(m) o sierra<sĕrra, mentre l’italiano mantiene terra, ferro e serra - nel senso di catena montuosa -. Lo stesso contrasto tra i due sistemi - italiano e castigliano - si manifesta anche negli esiti provenienti da [-'ŏrC-] con C diversa da “l”: il castigliano ha, ad es., cuerpo<”cŏrpus”, ma l’italiano presenta l’esito non “dittongato” - in questo caso, corpo - in tutti gli elementi appartenenti a questa classe di vocaboli. La mia cautela era dovuta al fatto di dover ipotizzare un effetto a distanza 2 - derivante, cioè, non esclusivamente dal fonema sonorante immediatamente contiguo all’ĕ, ma dalla combinazione con quello successivo (con cui l’ “e” non è in contatto diretto) e dall’esigenza di dover, inoltre, richiedere che il fonema successivo non sia un qualsiasi sonorante, ma - specificatamente - “l”. Oltre al fatto che postierla potrebbe davvero essere l’adattamento di un prestito provenzale e che non si può essere certi che gerla - data anche la possibile “ambiguità” della grafia - sia effettivamente l’esito di una “dittongazione”. Fatto che, se fosse vero, renderebbe la classe dei vocaboli autoctoni originati da [-'ĕrl-] e “dittongati” praticamente vuota in italiano. Mentre la classe dei vocaboli derivati da [-'ĕrC-] con C diversa da “l” è abbastanza ampia e non presenta in italiano esiti “dittongati”.
P.S.: ho cercato di semplificare, avvalendomi anche di esempi, i contributi di tutti e le posizioni
emerse nei limiti - evidenti - delle mie competenze e delle capacità personali di comunicazione.
P.S.: ho cercato di semplificare, avvalendomi anche di esempi, i contributi di tutti e le posizioni
emerse nei limiti - evidenti - delle mie competenze e delle capacità personali di comunicazione.
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Gentile bubu7, mille grazie per il suggerimento. Forse, però, la solidarietà che mi accorda in apertura del suo intervento scaturisce da un equivoco di cui sono involontariamente responsabile: non volevo mettere sotto accusa il linguaggio doverosamente tecnico di cui si servono Infarinato, Ferdinand Bardamu, ippogrifo ecc. per dipanare queste intricate matasse, ma solo recitare il mea culpa per le mie lacune e chiedere lumi per colmarle almeno in parte - come ha fatto Lei. Rileggendo il mio intervento precedente, noto che l'ironia che avrei voluto infondere nel gioco di parole infarinatura/Infarinato m'è uscita peggio di come volessi: forse avrei dovuto supplire con un'aggiunta di faccine ( ).bubu7 ha scritto:le consiglierei in prima battuta i Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano di Giuseppe Patota, Bologna, Il Mulino.
Dopo questa precisazione, riprendo il mio posto di muto spettatore, ripromettendomi di intervenire quando ne sarò all'altezza.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
Riporto un'interpretazione di Arrigo Castellani ripresa da pag. 18 della sua Grammatica storica (Grammatica storica della lingua italiana, 2000, vol. I [e unico, purtroppo!]) in cui viene indicato e quindi giustificato il ritardo della sincope in postierla. Il Castellani vi aveva già accennato in un suo articolo intitolato Perla (originariamente in Studi di linguistica italiana, VII 1967-70, pp. 156-58; ora anche in Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, 1980, Tomo II, pp. 21-23).
Non sottovaluterei, tra gli elementi che hanno influenzato il ritardo della sincope, la particolare collocazione geografica della Toscana spesso situata nella zona di confine di fenomeni linguistici romanzi. Una forte tendenza conservatrice che inibisce la sincope è propria della Romània orientale (comprensiva dell'Italia centro-meridionale) mentre una tendenza innovatrice che favorisce la sincope è propria dei dialetti dell'Italia settentrionale e del francese.
In questo modo si potrebbero spiegare anche i casi di esiti diversi per parole strutturalmente simili (naturalmente sommando all'influenza delle zone confinanti l'influenza degli strati colti della popolazione per termini non proprio popolari).
Gli esiti di *POSTĔRULA nelle diverse lingue e dialetti italiani, riportati dal DEI, sembrano confermare queste ipotesi.
Infine, dalla consultazione dei vocabolari etimologici, non risulta che la parola sia un prestito da altre lingue.
Qualche ulteriore riflessione.Il latino volgare tendeva alla sincope di u, dicendo MACLA invece di MACULA, VECLU invece di VETULU, ecc. Ma l'esempio della lingua «corretta» ha fatto sì che alcuni termini in -ULUS fossero adoperati anche dal popolo: (H)AMULA 'secchiello' [...]e non (H)AMLA, TABULA e non TABLA [...]. È rimasto inoltre produttivo a livello popolare il suffisso -ULUS (*), per quanto esso fosse continuamente insidiato dalla sincope. Formazioni con -ULUS in cui la sincope sopravviene solo in epoca tarda sono per esempio: SPATULA 'spatola' e 'scapola, spalla degli animali', dim. di SPATHA, da cui in seguito spatla > spalla; PĒRULA 'bisaccia', poi *PĔRULA > perla (oppure > *pierola > ant. senese pierla); *POSTĔRULA > *postierola >postierla. Il mantenimento di -ULUS sarà dovuto anche e soprattutto all'esigenza di non perdere un comodo mezzo di derivazione; e -ULUS come possibilità del sistema avrà facilitato il ricorso al modello più elevato con u in altre parole.
(*) -ULUS è stato particolarmente vivace in Toscana, dove rimane ancor oggi come elemento suffissale, pur avendo perduto la connotazione diminutiva che aveva agl'inizi: conigliolo, formicola, ragnolo, ecc.
Non sottovaluterei, tra gli elementi che hanno influenzato il ritardo della sincope, la particolare collocazione geografica della Toscana spesso situata nella zona di confine di fenomeni linguistici romanzi. Una forte tendenza conservatrice che inibisce la sincope è propria della Romània orientale (comprensiva dell'Italia centro-meridionale) mentre una tendenza innovatrice che favorisce la sincope è propria dei dialetti dell'Italia settentrionale e del francese.
In questo modo si potrebbero spiegare anche i casi di esiti diversi per parole strutturalmente simili (naturalmente sommando all'influenza delle zone confinanti l'influenza degli strati colti della popolazione per termini non proprio popolari).
Gli esiti di *POSTĔRULA nelle diverse lingue e dialetti italiani, riportati dal DEI, sembrano confermare queste ipotesi.
Infine, dalla consultazione dei vocabolari etimologici, non risulta che la parola sia un prestito da altre lingue.
Ultima modifica di bubu7 in data lun, 27 gen 2014 14:50, modificato 1 volta in totale.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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