Giacomo Leopardi e i forestierismi

Spazio di discussione su prestiti e forestierismi

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Bue
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Intervento di Bue »

arianna ha scritto: Le prime sei righe ne sono un esempio...
Beh sull'opportunità di SIDA al posto di AIDS mi pare si sia già discusso... Se usiamo SIDA allora anche SUA al posto di USA,
ADN al posto di DNA, OVNI al posto di UFO e tanti altri esempi.
Le sigle (che personalmente detesto con veemenza) sono a tutti gli effetti delle nuove parole, usate come tali senza preoccuparsi dell'origine.
fabbe
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Intervento di fabbe »

Bue ha scritto:Se usiamo SIDA allora anche SUA al posto di USA,
ADN al posto di DNA, OVNI al posto di UFO e tanti altri esempi.
No. Ogni parola o sigla è autonoma e va analizzata caso per caso. Questo per evitare che la discussione si sposti su categorie o idee generali dove ognuno ha opinioni diverse.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Bue ha scritto:A me sembra invece di capire...
Complimenti Bue, hai colto alla perfezione il nocciolo della riflessione leopardiana.
La nozione di eleganza era uno dei punti più importanti della visione neoclassica ottocentesca unita, nel Leopardi, al concetto di pellegrino, che per Leopardi è sinonimo di non comune, insolito, raro, prezioso, originale, conosciuto da poche e selezionate persone.

Vi prego, rimaniamo sull’interpretazione del pensiero di Leopardi a proposito dei barbarismi e sul loro uso.
Leopardi aveva spesso l’abitudine di tornare sulle idee elaborate in particolari pensieri, indicando esplicitamente questo fatto.
Concentriamoci per ora sul pensiero del 29 giugno, centrale per la concezione dello scrittore.
Leggetevi con attenzione il completamento di quelle riflessioni, comprese tra metà pagina 2529 (dalle parole: “Alla p. 2521”) e gli inizi di pagina 2544 (per chi non lo sapesse, ricordo che, nella versione elettronica, il numero di pagina dell'originale leopardiano è indicato tra parentesi quadre).
Mi sembra inutile riportare la versione integrale del brano che è possibile leggere in rete nello Zibaldone, presente sul sito, di cui riporto nuovamente il collegamento, del Progetto Manuzio.

Mi piacerebbe che si allargasse ulteriormente la platea dei partecipanti alla discussione. :)
Bue
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Intervento di Bue »

bubu7 ha scritto:[...] unita, nel Leopardi, al concetto di pellegrino, che per Leopardi è sinonimo di non comune, insolito, raro, prezioso, originale, conosciuto da poche e selezionate persone.
Anch'io avevo interpretato pellegrino nel senso (3) di peregrino nel De-Mauro in linea, e non nel senso (2) comunemente usato, di "bizzarro", di solito connotato negativamente.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Che scoperta! Il senso di pellegrino l’avevo già indicato io nella prima pagina di questo filone. ;)
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Vi prego, rimaniamo sull’interpretazione del pensiero di Leopardi a proposito dei barbarismi e sul loro uso.
Leopardi aveva spesso l’abitudine di tornare sulle idee elaborate in particolari pensieri, indicando esplicitamente questo fatto.
Concentriamoci per ora sul pensiero del 29 giugno, centrale per la concezione dello scrittore.
Leggetevi con attenzione il completamento di quelle riflessioni, comprese tra…
Questa è la nota (e giusta!) posizione leopardiana nei confronti del «purismo», ma, siccome —lo dico senza ironia— «qualsiasi dichiarazione deve essere storicizzata», giova forse ricordare che si tratta del purismo intransigente della coeva Accademia della Crusca, non del «neopurismo» del Migliorini o del «purismo strutturale» del Castellani, che all’epoca non esistevano ancora…
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arianna
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Intervento di arianna »

Bue ha scritto:
arianna ha scritto:

Le prime sei righe ne sono un esempio...


Beh sull'opportunità di SIDA al posto di AIDS mi pare si sia già discusso... Se usiamo SIDA allora anche SUA al posto di USA,
ADN al posto di DNA, OVNI al posto di UFO e tanti altri esempi.
Le sigle (che personalmente detesto con veemenza) sono a tutti gli effetti delle nuove parole, usate come tali senza preoccuparsi dell'origine.
Veramente piú che aqlle sigle mi riferivo a questa prima parte:
"Questa mattina sfogliando i giornali ho trovato che i lavori erano in progress, che il libro primo in classifica era un bestseller anzi un cult, che la modella era top ma in compenso era fotografata in topless, che il cambio della guardia al ministero rispondeva al criterio dello spoil system, che il provider del computer era momentaneamente out of order e che la
Donde emerge una valanga di forestierismi inutili :evil:
Felice chi con ali vigorose
le spalle alla noia e ai vasti affanni
che opprimono col peso la nebbiosa vita
si eleva verso campi sereni e luminosi!
___________

Arianna
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Questa è la nota (e giusta!) posizione leopardiana nei confronti del «purismo», ma, siccome —lo dico senza ironia— «qualsiasi dichiarazione deve essere storicizzata», giova forse ricordare che si tratta del purismo intransigente della coeva Accademia della Crusca, non del «neopurismo» del Migliorini o del «purismo strutturale» del Castellani, che all’epoca non esistevano ancora…
Giustissimo, caro Infarinato.
I confronti e i parallelismi tra il pensiero di Leopardi e quelli di Migliorini e Castellani non possono prescindere dalla storicizzazione delle loro posizioni.
Altro che “pensiero atemporale”.
Vista la sensibilità linguistica di Leopardi (non in discussione) e il suo “senso del futuro” possiamo dire, secondo lei, che oggi egli sarebbe sulle posizioni del Castellani o almeno di quelle che esprimeva, ai suoi tempi, Migliorini?
Bue
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Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:Che scoperta! Il senso di pellegrino l’avevo già indicato io nella prima pagina di questo filone. ;)
Accidenti, ma allora il fatto di esserci arrivato leggendo direttamente Leopardi e non il messaggio in questione, depone a mio favore o contro di me?
Ladim
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Intervento di Ladim »

Discussione molto interessante; ma che forse potrebbe arricchirsi di qualche altra (ma rapida) considerazione. Prima fra tutte quella che distinguerebbe la lingua poetica da quella non dico d'uso, ma, affidandomi a una nota categoria leopardiana, da quella in cui compaiono soprattutto «termini», e che nell'ultima poetica del Leopardi si rifonderebbe con un ideale di poesia sensibilmente diverso rispetto sia a quello delle prime Canzoni, sia a quello degli Idillî etc. — il percorso poetico leopardiano ha conosciuto rielaborazioni ben notevoli, che tuttavia andrebbero riconsiderate caso per caso (si pensi alla contemporaneità redazionale di certe Canzoni e di certi Idillî, componimenti che, sotto il profilo stilistico, pur indicano con evidenza intenzioni diverse e in certo modo complementari). Ma la distinzione potrebbe essere più radicale (e azzardata), isolando da una parte un Leopardi ‘poeta’, dall'altra un Leopardi, per dir così, ‘linguista’ tout court. Una più generale riflessione sulla lingua allora spiegherebbe quelle considerazioni orientate a valutare soprattutto l'uso volgare di certi «barbarismi» (che ai tempi del nostro erano principalmente i tanti francesismi importati durante il Settecento), una riflessione che nello 'scrittore' troverebbe però anche il risentimento (ovvero la sensibilità) di un raffinato poeta particolarmente consapevole dei fatti di lingua; ma forse non così consapevole da saper distinguere sempre e sistematicamente il concetto di «corruzione» da quello di «cambiamento» (una 'pecca' che condividerebbe con i suoi coevi e screditati puristi archeologizzanti — per quanto, a ben guardare, lo stesso Leopardi affermi con lucida consapevolezza che la «purità» si misura su una 'diacronica' autorevolezza [2517]). In questi termini, ciò che varrebbe a chiarire il concetto di pellegrino forse risulterebbe non proprio adatto (sempre in Leopardi) a descrivere la generale 'natura' e predicibilità ontologica della lingua italiana (che pur vanterebbe una più ricca presenza di «parole», rispetto alle altre lingue moderne), quand'anche essa facesse capolino sotto la forma di uno strumento 'volgare' e quindi esposto alle mode e ai giudizi, diciamo così, dei chiacchieroni — è nota (e <qui> già ripetuta) la distinzione tra lingua d'uso e lingua poetica, per cui la «pellegrinità» non affettata costituirebbe il nerbo del primo stile leopardiano; ma siamo certi che la categoria della pellegrinità potesse essere presente al Leopardi in una sua ipotetica considerazione sulle potenzialità della lingua italiana in generale (e non esclusivamente poetico-prosastica)? Forse, il «secondo barbarismo», serve al Leopardi soprattutto per esprimere una posizione letteraria, quando un poeta debba ricercare la 'purezza' della lingua attingendo appunto alla pellegrinità — quella stessa pellegrinità, si badi, in grado però di non stridere con l'orecchio 'moderno'. Domanda: un altro contesto sarebbe quello ricordato nelle citazioni relative all'equiaffabilità delle lingue, ovvero, nello specifico, alle affinità tra una lingua spagnola e una italiana (e anche qui compaiono ancora gli «scrittori italiani moderni»)? Confrontare due lingue da un punto di vista 'ipotetico' (come tuttavia sembra fare il nostro Leopardi nel caso di un confronto che vede lo spagnolo e l’italiano schierarsi contro il francese etc.), e non da quello di una descrizione modernamente scientifica, implicherebbe, specie in un contesto culturale qual era quello primo-ottocentesco (e direi quasi pre-manzoniano, per il Manzoni del Romanzo), il rischio notissimo di confondere la lingua letteraria con quella riconducibile più in generale a un'identità nazionale appunto non solo letteraria (ma, del resto, allora non esisteva ancora un italiano diffusamente parlato!).
Tuttavia, ciò non toglie che l'autorevolezza di un grande autore possa fornire lo spunto per una riflessione sulla lingua italiana di oggi.

Con le dovute cautele (e cioè non dimenticando che la dimensione pellegrina non può che coincidere con certo disusato ma comprensibile stile letterario, non di sicuro con l'uso spontaneo e quotidiano della lingua), allora potrei fermare i passi seguenti:
In somma il barbarismo, quando è veramente un parlar pellegrino, e che non ripugna ec. come sopra, e che s'intende, è sempre (da qualunque lingua sia tolto, rispetto alla lingua propria) non solo compatibile coll'eleganza, ma vera fonte di eleganza [2506]

Ecco che la purità della favella è divenuta quasi sinonimo dell'eleganza della medesima: e questo con verità e con ragione, ma non per altro, se non perch'essa purità è divenuta pellegrina [2511]

In somma oggi, p. e. fra noi, chi scrive con purità, scrive elegante, perché chi scrive italiano in Italia scrive pellegrino, e chi scrive forestiero in Italia scrive volgare [2512].

ma anche:
E quella ricchissima […] e naturalissima lingua del cinquecento, ch'a noi (ne' suoi buoni scrittori) riesce così elegante, forse ch'allora fu tenuta per tale? Signor no, ma per corrotta. [2515]


e qui si può ammirare la solita finezza del pensiero leopardiano, per certi versi empirista, capace di cogliere comunque la transitorietà dei fatti linguistici e poetici — ovvero ciò che gli permise, in poesia, di abbandonare poi il modello petrarchesco per ciò che oggi tutti noi conosciamo benissimo (proiettando la lirica italiana, in questo caso sì, in un futuro in certo modo a-temporale)...

Una cosa mi pare però chiara: l'insofferenza del Leopardi nei confronti dell'uso (letterario e no) gratuito, dozzinale e 'provinciale' dei forestierismi, tutto sommato, ricorda felicemente la posizione degli attuali Cruscanti...
amicus_eius
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Intervento di amicus_eius »

Riallacciandosi alle tematiche illustrate da Ladim, si può dire che, quanto al pensiero linguistico (e alla pratica stilistica) di Leopardi, valgono poche considerazioni fondamentali.

1) In un luogo dello Zibaldone, Leopardi paragona le parole peregrine (arcaiche o in ogni caso non comuni), alla frutta fuori stagione conservata, che solo per il fatto d'essere gustata lontano dal suo tempo di maturazione, diventa per ciò solo più gustosa. Una tale similitudine è indizio di un vero e proprio, fisico, edonismo linguistico leopardiano, a cui si sposa l'intelligente petrarchismo "critico" del poeta di Recanati. Tenendo conto dell'influsso del Giordani su Leopardi, l'ultima notazione storica di Incarcato assume un certo peso, per quanto il Giordani rappresenti un purismo stilistico più "moderato", rispetto ad altri.

2) Visti i presupposti teorici di cui al punto 1), in concreto si deve parlare, per Leopardi, di un'atteggiamento di pronunciata selettività stilistica e selezione linguistica. Il cristallino monolinguismo leopardiano (con qualche apertura al forestierismo, nei toni satirici della Palinodia al Marchese Gino Capponi) è diretta espressione del suo edonismo linguistico.

3) Conseguenza di 1) e 2) è che spesso, in questa discussione, si è piegato al ruolo di fiat metodologico in ambito strettamente linguistico e con valenze strettamente linguistiche (come tutelare il patrimonio linguistico dell'italiano contro l'invasione degli anglismi), l'orientamento stilistico di uno scrittore, pur basato su alcuni argomenti di linguistica. Consideriamo altresì che, più in generale, prima di una certa epoca, argomentazioni linguistiche pur profonde, erano orientate essenzialmente alla definizione di una prescrittività retorico-stilistica. Questa posizione è fuorviante. Bisogna operare una serie di opportune suddistinzioni.

Tenendo presenti queste tre linee argomentative di fondo, se ne deduce che, in primo luogo, non possiamo usare integralmente il pensiero di Giordani o di Leopardi ai fini di una discussione (linguistica) sui forestierismi (nei termini in cui noi l'abbiamo impostata), se non come documento storico di uno stile o di una prescrizione stilistica. Se questo filone si fosse mosso nell'ambito retorico-stilistico, sarebbe stato tutto molto più coerente. Tuttavia, in quell'ambito, l'atteggiamento di chi si schiacciasse sulle posizioni leopardiane sarebbe alquanto opinabile. Bisogna infatti tenere conto di una serie di circostanze storico-letterarie, che si sono inverate nel tempo che intercorre fra noi e Leopardi.
Basti dire che, ad esempio, l'espressionismo ha fatto della deformazione linguistica e del plurilinguismo uno strumento essenziale. Dunque il monolinguismo è una possibile scelta, ma non l'unica, in ambito stilistico. E poi si sa, pictoribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit aequa potestas (Fenoglio è un grande scrittore, ma per ragioni espressive usa gli anglismi). Facciamo un po' di esempi di fantasia. Se un Marco1971 divenuto magari caustico scrittore, costellasse, lui purista, il suo magnum opus di una serie di forestierismi als mittel der charakterzeichnung, creando uno stile colto e pensoso, o magari una favella irridente e leggera, e mettendo in scena gli aspetti social-picareschi e comico-realistici del degrado linguistico specchio del degrado culturale e del degrado umano, ciò sarebbe assolutamente legittimo. Per giunta, dovrebbe farlo in un'opera totalmente impersonale, senza far trasparire il suo disgusto... come è accaduto, in varie forme, a Petronio, a Balzac, a Flaubert, per certi aspetti anche a un Joyce, o a un Gadda... D'altro canto, se un Bubu7 o un Freelancer decidessero un giorno di approntare uno strumento linguistico dissezionatore, sul piano lirico-introspettivo, delle pieghe più meandrose dell'esistenza umana, o un rasoio okkamico di puro adamantino acciaio, da lama metallurgicamente perfetta, ribattuta e ripiegata su se stessa secondo la tradizione delle meglio affilate katane giapponesi, nihil admiramini se allora sarebbero costretti a operare una selezione linguistica estrema, depurando con callimachea pervicacia il loro dettato da ogni impura scoria... E l'uno e l'altro, sia il Marco-Petronio (quanti grecismi estremi in Petronio), sia il Bubu-Leopardi, si troverebbero di fatto ad agire in controtendenza con gli orientamenti linguistici che a spada tratta difendono e per certi versi incarnano. Questa fantastoria letteraria serve ad illustrare come l'orientamento stilistico, che per Leopardi è più centrale del fatto linguistico (nonostante l'immane competenza linguistica dispiegata nei pensieri leopardiani citati da Marco1971), sia uno scomodissimo ospite, per i passaggi logici del discorso sui forestierismi, per come l'abbiamo impostato qui, da qualunque corno del dilemma si penda.

D'altro canto, è un dato che gli argomenti linguistici alla base dell'orientamento stilistico leopardiano non possono essere cassati così facilmente, consegnandoli alla storia, come qualcuno vorrebbe fare.

Le osservazioni di Leopardi su un certo filobarbarismo sono sostanzialmente collimanti con una serie di osservazioni sociolinguistiche e storicolinguistiche a noi ben note (vi ha accennato Ladim). Non starò qui a ripetere nei dettagli la tiritera già più volte reiterata della classe dirigente oligarchica ed eterodiretta, che ostenta di fronte al volgo la sua iattanza mediante l'uso dell'esotismo come lingua esoterica di casta. Nella stessa intellettualità ci sono aree in conflitto, delineate dagli scontri di orientamento di stile e scelte linguistiche. Il fenomeno poi è antico: Cicerone stigmatizzava i grecizzanti; Dante citava Cicerone e stigmatizzava i provenzalizzanti etc. etc.

Credo che bisogni piuttosto riflettere innanzitutto su un aspetto teorico, di cui forse si è parlato qualche altra volta, non ricordo. Comunque è un ragionamento che mi sembra non essere stato esplicitato appieno da nessuno in questo contesto specifico, quindi tanto vale introdurlo ex novo. La lingua si comporta in tutto e per tutto come un omeostato. Un omeostato è, in fisica, un sistema lontano dall'equilibrio termodinamico, capace di automantenersi per lungo tempo in un suo proprio equilibrio, autoregolandosi e reagendo agli stimoli (con la fuga, magari, se sono stimoli provenienti da situazioni distruttive). L'universo in cui viviamo è pieno di strutture complesse caratterizzate da omeostasi (noi stessi siamo degli omeostati, o meglio, degli omeostati allargati, che reagiscono agli stimoli inventando linguaggi, culture e strutture). Ogni omeostato deve fare i conti con due forze contrastanti. Una è l'inesorabile deriva dell'entropia, che fatalmente, infine, prevarrà. L'altra è la propria stessa rigidezza, che potrebbe compromettere l'equilibrio raggiunto. Anche l'uomo, l'ho già detto, è un omeostato, dotato però di caratteristiche molto particolari, come quella di poter governare coscientemente la propria autoregolazione ed evoluzione nel breve, medio e lungo termine. Coscienza, socialità, linguaggio, cultura materiale, dimensione normativa, sono espansioni di questo omeostato molto particolare che è l'uomo. E l'uomo riflette le sue caratteristiche di omeostato alle sue creazioni culturali, linguaggio compreso. Una lingua, come omeostato, oscilla pendolarmente, con moto irregolare, fra due estremi, che nascono tutti e due dall'esigenza di una comunicazione efficace. Da un lato, la trasparenza e la maneggevolezza di fonetica, lessico e struttura, con tendenza all'uniformità e all'analogia (che però, estremizzata, porterebbe alla riduzione di tutto il sistema a un'unica parola pansemica e monofonematica); dall'altro, la distintività e la riconoscibilità delle forme (che però, estremizzata, porterebbe a un codice comunicativo senza elementi ricorsivi, dunque a un non codice, a un non segno). I due poli della doppia articolazione delle lingue esprimono poi diverse posizioni, nel dibattito sul linguaggio e sullo stile: ad esempio, analogisti contro anomalisti, puristi contro barbarofili (se così li si può chiamare, deprivando il termine di ogni connotato valutativo). I materiali linguistici disponibili in una comunità di parlanti in una data epoca vengono trattati da entrambe le prospettive, e la lingua che quell'epoca consegna alle generazioni successive, quella determinata Zeitsprache, mi si passi il neoconio germanico fra Hegel e Saussure, non è altro che il risultato dell'equilibrio omeostatico derivante, per autoorganizzazione semicosciente, dalle pressioni delle opposte tendenze. Qui però interviene un altro fattore, stavolta concreto, si potrebbe dire, marxianamente parlando, materiale. Questo fattore, che condiziona il materiale linguistico, è costituito dalle circostanze storiche e dalle pressioni di influenza interne ed esterne che la comunità dei parlanti subisce.

Come ha detto una volta Uri Burton in un suo bellissimo intervento, l'inglese è oggi una lingua forte, perché a parlare inglese è tutta la tecnologia dell'età dell'informazione. Cercherò di rendere l'idea della situazione con una analogia storica. Circa diecimila anni fa l'agricoltura si diffuse dal medio-oriente con un'inesorabile ondata di avanzamento che, tramite la dinamica di reazione-diffusione, determinò una recessione della popolazione pre-neolitica ovunque, tranne là dove alcune comunità riuscirono a padroneggiare l'agricoltura, cosa che accadde per l'area abitata dai Baschi, che costituiscono infatti un relitto del tardo mesolitico europeo. Più tardi, 7000 anni fa, la domesticazione del cavallo e la metallurgia del rame e del bronzo, determinarono, accanto alla diffusione commerciale e al nomadismo, il prevalere delle lingue indoeuropee sulle lingue provenute dal medio oriente con l'agricoltura. Oggi siamo in una situazione analoga. A differenza di altre nazioni, come la Francia, l'Italia ha abdicato quasi completamente ad avere, nei settori vitali della tecnologia dell'età dell'informazione, una ricerca potentemente propositiva. Fallimento dell'Olivetti, affossamento dell'informatica, e in parte della robotica, nella quale abbiamo brillato in passato, scelta di tecnologie e forme di produzione tributarie, da centro-relais secondario del propulsore informatico, energetico, spaziale americano (che parla inglese). Non parliamo dello stato della ricerca universitaria, visto che in larga parte quella di ricercatore universitario in Italia non è una funzione conoscitivamente utile, ma una pura e semplice onorificenza. A differenza di altre epoche, in cui la partita si giocava nell'ambito letterario e culturale, in questa epoca la nostra comunità di parlanti è in concreto in recessione sul piano della produzione di innovazioni di carattere materiale. Dal punto di vista dei due corni del dilemma della doppia articolazione, l'anomalia in forma di esotismo sta diventando la soluzione più "facile" e a portata di tutti, considerando anche un dettaglio non secondario, anzi, l'aspetto più grave del problema: quello che stiamo facendo qui è in buona parte ancora un dibattito di marca nettamente "elitaria" (cioè fra pochi), nonstante l'interesse che, a quanto pare, i mezzi di comunicazione cominciano ad avere (per il momento, un interesse un po' di nicchia)... Il rischio che l'onda di avanzamento dell'inglese dell'era dell'informazione ci travolga linguisticamente è più serio che in passato. Credo pertanto che il problema del forestierismo in italiano, per come si pone oggi, trascenda ampiamente il problema posto dai pensieri di Leopardi. Quei pensieri ci possono fornire: 1) un documento sull'idea di lingua e di stile di Leopardi stesso; 2) un indirizzo per un determinato orientamento di stile, una scelta di selezione che però è opinabile e va calibrata sull'idea del prepon, del decus, dell'opportunità di uno stile "acconcio" e coerente, funzionale ai fini comunicativi; 3) una serie di spunti di riflessione linguistica, che però possono fornire qualche soluzione solo una volta che il problema di fondo (la comunità reale dei parlanti e la sua dimensione materiale) sia stato risolto. Quest'ultimo aspetto storico-materiale (come si pone concretamente l'Italia, come realtà culturale, rispetto all'onda di avanzamento dell'era dell'informazione), agisce da fattore discriminante. Al momento, il rischio è un futuro da Europa occidentale anglizzata, con i Francesi (e un po' gli Spagnoli) a fare da Baschi della postmodernità.

P. s. Nel frattempo tutti noi ci siamo goduti i "rumors" delle parti politiche in causa per l'elezione del capo dello Stato... Nel bel linguaggio bastardo del giornalismo lottizzato!
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Intervento di bubu7 »

Grazie, caro Ladim, del suo intervento.
Solo due osservazioni:
Ladim ha scritto:ma siamo certi che la categoria della pellegrinità potesse essere presente al Leopardi in una sua ipotetica considerazione sulle potenzialità della lingua italiana in generale (e non esclusivamente poetico-prosastica)?
Questa è una domanda importante.
Come ben sa, Leopardi individuava due tipi di lingue. Quello a cui apparteneva il francese (e in parte il latino), adatto per la scienza, piatto e inelegante per le esigenze dell’arte; egli chiamava queste lingue ragionevoli e geometriche. Quello a cui apparteneva l’italiano (e il greco e lo spagnolo), da cui nascono civiltà letterarie; egli chiamava queste lingue naturali e poetiche.
Egli parlava anche di parole, evocative di emozioni e poesia, e termini, più indicati per la rappresentazione.
Per lui, nell’italiano, le parole prevalevano sui termini, a differenza del francese.
Anche se quindi la lingua italiana apparteneva a quelle poetiche, non si può, secondo me, affermare che Leopardi auspicasse il pellegrino nella lingua in generale.
Nella lingua poetica, invece, sicuramente sì e anche, sebbene in misura più moderata, nella lingua letteraria.
Di quest’ultimo fatto parla nel primo pensiero che stiamo considerando.
E come si può notare nelle citazioni che lei riporta il pellegrino è una categoria diversa dal barbarismo/arcaismo. Esso può essere un attributo, di volta in volta, di entrambi gli elementi della coppia considerata.
Ladim ha scritto:Una cosa mi pare però chiara: l'insofferenza del Leopardi nei confronti dell'uso (letterario e no) gratuito, dozzinale e 'provinciale' dei forestierismi, tutto sommato, ricorda felicemente la posizione degli attuali Cruscanti...
Mi scusi, ma a me questa cosa non appare affatto così chiara.
L’insofferenza nei confronti dell’uso dei forestierismi che lei descrive è comune a entrambi i partiti che spesso entrano in contrapposizione in questa piazza.
Quello che separa le nostre posizioni è l’individuazione delle strade migliori da seguire perché l’uso indiscriminato dei forestierismi diminuisca.
Ultima modifica di bubu7 in data lun, 22 mag 2006 16:12, modificato 3 volte in totale.
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Intervento di bubu7 »

Un caro saluto anche a lei, amicus.
amicus_eius ha scritto: ...
3) ...in questa discussione, si è piegato al ruolo di fiat metodologico in ambito strettamente linguistico e con valenze strettamente linguistiche (come tutelare il patrimonio linguistico dell'italiano contro l'invasione degli anglismi), l'orientamento stilistico di uno scrittore, pur basato su alcuni argomenti di linguistica...
Lei qui ha centrato il bersaglio.
Questa è stata la mia obiezione principale all'arruolamento di Leopardi tra le schiere dei neopuristi. :)
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:
amicus_eius ha scritto:3) ...in questa discussione, si è piegato al ruolo di fiat metodologico in ambito strettamente linguistico e con valenze strettamente linguistiche (come tutelare il patrimonio linguistico dell'italiano contro l'invasione degli anglismi), l'orientamento stilistico di uno scrittore, pur basato su alcuni argomenti di linguistica...
Lei qui ha centrato il bersaglio.
Questa è stata la mia obiezione principale all'arruolamento di Leopardi tra le schiere dei neopuristi. :)
Manca un importante «spesso» dalla citazione di Amicus eius. In realtà, a me pare che i passi dello Zibaldone siano stati proposti come mero «spunto di riflessione» sull’argomento… :roll:
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bubu7
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Infarinato ha scritto:
bubu7 ha scritto:
amicus_eius ha scritto:3) ...in questa discussione, si è piegato al ruolo di fiat metodologico in ambito strettamente linguistico e con valenze strettamente linguistiche (come tutelare il patrimonio linguistico dell'italiano contro l'invasione degli anglismi), l'orientamento stilistico di uno scrittore, pur basato su alcuni argomenti di linguistica...
Lei qui ha centrato il bersaglio.
Questa è stata la mia obiezione principale all'arruolamento di Leopardi tra le schiere dei neopuristi. :)
Manca un importante «spesso» dalla citazione di Amicus eius. In realtà, a me pare che i passi dello Zibaldone siano stati proposti come mero «spunto di riflessione» sull’argomento… :roll:
Caro Infarinato, i passi dello Zibaldone sono diventati uno spunto di riflessione.
La mia dichiarazione si riferiva alla conclusione del primo intervento:
Marco1971 ha scritto:Quasi un neopurismo ante litteram... :D
... e stendo un velo sull'esordio di quell'intervento.
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