Giacomo Leopardi e i forestierismi

Spazio di discussione su prestiti e forestierismi

Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Il succo del pensiero, ai fini della nostra interessante polemica, sta per me qui:
Quanto all'arricchimento, questo è il punto in cui la lingua nazionale comincia a scadere e scemare sensibilmente, e impoverirsi, e indebolirsi fino al segno che dimenticate e antiquate la maggiore o certo grandissima parte delle sue voci e modi, e anche delle sue facoltà, ella non ha più forza nè capacità di supplire ai bisogni del linguaggio, e di fornire un discorso del suo, senza ricorrere al forestiero.
E qui:
Dov'è da notare che allora il barbarismo non è contrario all'eleganza come forestiero: chè anzi il forestiero bene inteso da' nazionali, e non affettato, è sempre elegante. Ma per l'opposto è inelegante come volgare.
E laddove la prima volta, quand'esso non era volgare, riusciva elegante, e più elegante di quel ch'era nazionale, questa seconda volta il puro nazionale riesce molto più elegante del forestiero, non già come puro nè come nazionale (chè queste qualità non furono mai cagione di eleganza), ma come non volgare, come ritirato dall'uso corrente e domestico, come proprio oramai de' soli scrittori, e questi anche pochi.
Ecco che la purità della favella è divenuta quasi sinonimo dell'eleganza della medesima: e questo con verità e con ragione, ma non per altro, se non perch'essa purità è divenuta pellegrina.
E, riassumendo:
In somma oggi, p.e. fra noi, chi scrive con purità, scrive elegante, perchè chi scrive italiano in Italia scrive pellegrino, e chi scrive forestiero in Italia scrive volgare.
Leopardi distingue dunque un primo barbarsimo e un secondo barbarismo.
E ciò che fa da discrimine tra i due è l'intensità dell'uso. Al primo barbarismo vi ricorrono le persone colte per rifarsi in maniera preziosa e peregrina a certe idee, la loro scelta è quindi il frutto dello studio e della scepsi. Al secondo barbarismo vi ricorrono gli incolti, che quindi non fanno uso della scepsi e dello studio ma usano ciò che sentono comunemente.

Quando ci si trovi nel caso del primo barbarismo lo stile è inteso come filobarbarismo, mentre quando ci si trovi nel secondo barbarismo lo stile è inteso come purismo.
Tuttavia, a me pare che le due situazioni — dico quella in cui c'è il purismo e quella in cui si eccede in filobarbarismo — non sono speculari. È chiaro che il filobarbarsimo esalta l'uso d'una lingua altra dalla propria, la imita e trae dall'imitiazione lo stile. Nel caso del purismo, invece, la fonte non è altra, ma è la lingua nazionale stessa, che viene cosí potenziata attraverso la scrupolosa cernita delle sua ricchezze.
È evidente che in qualche modo le due correnti poi s'influenzino nel corso della storia letteraria, tuttavia a me paiono ben distinte anche nel fine che ottengono. Nell'un caso (il filobarbarismo) la ricchezza è data davvero solo dalla peregrinità del vocabolo o dell'espressione; mentre nell'altro (il purismo) la ricchezza è data anche dalla riscorperta e dal potenziamento della lingua nazionale.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Mi permetto di rispondere su questo punto
Freelancer ha scritto:Ma se ci sono poche parole straniere, perché vi preoccupate tanto del loro influsso?
rimandandola a un mio precedente intervento.

Ma tornerò sul sistema fonologico italiano tra breve…
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Vorrei chiedere all’illuminato bubu7 di che cosa parla Leopardi nel pensiero del 9-10 settembre 1823 e in quello del 20 ottobre dello stesso anno (se della riproduzione dei salmoni o della pesca al tonno: i fiochi miei lumi divisar non ponno :D) e congratularmi per l’ottimo metodo, consistente nell’ignorare nei discorsi altrui la parte, foss’anche «marginale», che non gli torna comoda.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Vorrei chiedere all’illuminato bubu7 di che cosa parla Leopardi nel pensiero del 9-10 settembre 1823 e in quello del 20 ottobre dello stesso anno (se della riproduzione dei salmoni o della pesca al tonno: i fiochi miei lumi divisar non ponno :D)...
Mi dispiace deluderla ma i Pensieri a cui si riferisce non parlano di nessuno dei due argomenti che mi propone in alternativa. Ancora una volta devo constatare che lei ha travisato il pensiero di Leopardi cercando, questa volta, di farlo passare per un ittiologo o un pescatore.

Ho offerto a tutti la possibilità di rileggersi nella loro completezza i Pensieri che lei ha utilizzato. Ho anche fornito qualche indicazione storica come stimolo per inquadrare Leopardi nel contesto in cui ha elaborato la sua opera.
Lasciamo la possibilità a tutti di riflettere su queste cose. È l’aspetto più importante della discussione. Altrimenti quest’ultima potrebbe sembrare solo una polemica tra persone che, invece di cercare di capire le cose, cercano solo di prevalere sull’avversario.
Marco1971 ha scritto: ...e congratularmi per l’ottimo metodo, consistente nell’ignorare nei discorsi altrui la parte, foss’anche «marginale», che non gli torna comoda.
Ero sicuro che avrebbe apprezzato la descrizione di un metodo che non mi appartiene e che le è particolarmente congeniale visto che lo ha appena applicato in quest'ultimo suo intervento. :wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Invece d’eludere la questione con goffi vaniloqui, ci mostri piuttosto i suoi talenti esegetici (migliori, ci auguriamo, di quelli scrittòri).
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Invece d’eludere la questione con goffi vaniloqui, ci mostri piuttosto i suoi talenti esegetici (migliori, ci auguriamo, di quelli scrittòri).
Caro Marco, le voglio bene.
La sua scomposta reazione mi fa tanta tenerezza.
Non sia così impaziente di leggere la mia risposta.
Lasciamo lo spazio ad altri perché possano intervenire nella discussione.
Nella vita spesso ci concentriamo troppo sul traguardo finale e non consideriamo che la parte migliore sta nella strada percorsa per raggiungerlo (riflessione zen).

Con viva simpatia.
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arianna
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Intervento di arianna »

Bubu7 ha scritto:
Spero che altri che ci leggono non si lascino intimidire dall’atteggiamento di Marco1971.
Intimidire? :shock:
Perché?

Ho avuto l'occasione di leggere molto di piú di quanto riportato da Marco (non credo che sarebbe stato possibile riportare il tutto, anche perché Leopardi talora si ripete e è molto divulgativo).

La mia interpretazione è simile a quella di Incarcato.
È chiara la distinzione tra un primo barbarismo e un secondo barbarismo.
Il primo è quello raro, ricercato, e usato nella letteratura.
Leopardi ha scritto:
I primi scrittori e formatori di qualsivoglia lingua, e fondatori di qualsivoglia letteratura, non solo non fuggirono il barbarismo, ma lo cercarono. [...] E non è mica da credere nè che questi barbarismi de' primi e classici scrittori, fossero, a quei tempi, comuni nella loro nazione, ed essi scrittori si lasciassero strascinar dall'uso corrente; ne che gli usassero e introducessero per solo bisogno, o per arricchir la loro lingua di parole e modi economicamente utili. Gli usarono, come si può facilmente scoprire, per espresso fine di essere eleganti col mezzo di un parlar pellegrino, e ritirato dal volgare
.
Quando invece il forestierismo diventa comune (secondo barbarismo) non è piú elegante, bensì volgare.
Leopardi ha scritto:
Cresciuta, formata, stabilita la lingua, e la letteratura di una nazione, interviene più volte, che introducendosi il commercio fra questa ed altre lingue e letterature, parte l'uso, e l'assuefazione di udire voci e modi forestieri, parte la necessità di riceverne insieme cogli oggetti coi libri coi gusti cogli usi colle idee che da' forestieri si ricevono, parte l'amor delle cose straniere e la sazietà delle proprie [...] parte fors'anche altre cagioni riempiono la favella nazionale di voci e modi forestieri in guisa che appoco appoco, dimenticate o disuate le voci e maniere proprie, divien più facile il parlare e lo scrivere con quelle de' forestieri, che s'hanno più alla mano, e s'usano più giornalmente, e più familiarmente.
Ed ecco un'altra volta introdotto il barbarismo nella lingua e letteratura nazionale, ma per tutt'altra cagione e fine, e con tutt'altro effetto che l'eleganza e l'arricchimento loro
Grassetto mio.

Leggasi poi quanto parla dell'arricchimento, e dell'impoverimento (riportato nel testo che Marco ha ricopiato).
Lì il Leopardi scrive qualcosa che non è affatto d'altri tempi, ma che anzi riscontriamo:
[...] fino al segno che dimenticate la maggiore o certo grandissima parte delle sue voci e modi, ella non ha più forza nè capacità di supplire ai bisogni del linguaggio, e di fornire un discorso del suo, senza ricorrere al forestiero. (E la nostra lingua è già vicina a questo segno...)
Solo che allora erano i francesismi e oggi invece sono gli anglicismi.
Questa è la mia interpretazione.
Ultima modifica di arianna in data sab, 20 mag 2006 0:27, modificato 2 volte in totale.
Felice chi con ali vigorose
le spalle alla noia e ai vasti affanni
che opprimono col peso la nebbiosa vita
si eleva verso campi sereni e luminosi!
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Arianna
Bue
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Intervento di Bue »

A me sembra invece di capire quel che intende bubu7: il punto di Leopardi in quel pensiero era sostenere che il concetto di eleganza e` legato all'uso di una parola rara o, se comune, usata in un'accezione rara, in quanto e` elegante cio` che non e` volgare, ossia usato comunemente. Per questo dice che quando la lingua e` giovane gli scrittori per essere eleganti ricorrono al barbarismo, mentre quando la lingua e` a uno stadio successivo e i barbarismi (di secondo tipo) sono usati da tutti nel parlare comune, ecco che per essere ricercati si ricorre alla lingua "pura", che nessuno usa piu`.
Mi e` sembrato molto interessante e ringrazio bubu per il collegamento.
Avatara utente
Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Sí, questo è quanto emerge in prima istanza dalla riflessione leopardiana. E da cui sono partito anch'io per la mia riflessione. Tuttavia, a me pare che la peregrinità data dai forestierismi sia qualcosa di sostanzialmente differente da quella data dal « purismo » (uso questo termine per coerenza con il mio intervento precedente). Se posso permettermi un paragone tratto dall'economia che mi viene in mente, ma che mi pare curiosamente calzante... al rovescio!: migliorare la bilancia commerciale riducendo le importazioni non è la stessa cosa che aumentando le esportazioni, sebbene il risultato contabile sia il medesimo.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Un articolo per allargare la riflessione.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

A chi s’affaccia sulla nostra piazza do l’immediata possibilità di leggere in versione integrale il terzo fra i pensieri di Leopardi che avevo riportato in forma ridotta, quello del 20 ottobre 1823.

Come l’interpretate?
Alla p. 3409. Similmente la lettura di que’ nostri classici (e son quasi tutti) che hanno arricchita la lingua col derivar prudentemente vocaboli e modi dal latino, dal greco, dallo spagnuolo o donde che sia, ci giova sommamente ad arricchirci nella lingua, non in quanto noi con tale lettura apprendiamo que’ vocaboli e modi come usati da quegli scrittori, autentici in fatto di lingua; ché questa sarebbe maniera di utilità pedantesca, e nel vero se quei vocaboli e modi riuscissero nell’italiano latinismi e spagnolismi ec. non dovremmo imitar quegli che gli usarono, benché classici ed autentici scrittori, né l’autorità loro ci gioverebbe presso i sani, quando noi volessimo usar di nuovo quelle voci e quei modi. Ma detta lettura ci giova in quanto ella ci ammonisce per l’esperienza presente che ne veggiamo negli scrittori, la lingua italiana esser capacissima di quelle voci e maniere; perocché noi veggiamo sotto gli occhi, che sebben forestiere di origine, elle stanno in quelle scritture come native del nostro suolo, ed hanno un abito tale che non si distinguono dalle italiane native di fatto, e vi riescono come proprie della lingua, e cosí sono italiane di potenza, come l’altre lo sono di fatto, onde il renderle italiane di fatto non dipende che da chi voglia o sappia usarle; e per esperienza veggiamo che quegli scrittori, trasportandole nell’italiano, le hanno benissimo potute rendere, e le hanno effettivamente rese, italiane di fatto, come lo erano in potenza, e come lo sono l’altre italiane natie. Or questo medesimo è quello che nello studio delle lingue altrui dee fare in noi, in luogo dell’esperienza, l’ingegno e il giudizio nostro; cioè mostrarci, non per prova, come fanno gli scrittori nostri classici, ma per discernimento e forza di penetrazione, e finezza e giustezza di sentimento, benché sprovveduto di prova pratica, che tali e tali vocaboli e modi sono italianissimi per potenza, onde a noi sta il renderli tali di fatto, sieno o non sieno ancora stati resi tali dall’uso, o da parlatore, o da scrittore veruno; ché ciò a’ soli pedanti dee far differenza, e soli essi ponno disdire o riprendere che tali voci e forme (greche, latine, spagnuole, francesi, o anche tedesche ed arabe ed indiane d’origine, di nascita e di fatto) italianissime per potenza, si rendano italiane di fatto, senza l’esempio di scrittori d’autorità; siccome essi soli ponno concedere e lodare che mille e mille vocaboli e modi niente italiani per potenza, (qualunque sia la loro origine), pur si usino, perché usati da scrittori classici che infelicemente li derivarono d’altronde, o dalle italiane voci e maniere, o li inventarono. Questi mai non furono né saranno veramente italiani di fatto (se non quando l’uso e l’assuefazione appoco appoco li rendesse tali ancor per potenza); quelli per solo accidente sono nati in Francia o in Ispagna o in Grecia ec. piuttosto che in Italia, ma per propria loro natura non sono manco italiani che spagnuoli ec. né manco italiani di quelli che nacquero in Italia (e di quelli che dall’Italia altrove passarono), e forse talora ancor piú di alcuni di questi, che per solo accidente nacquero tra noi. Siccome per solo accidente e contro la lor natura vennero tra noi que’ vocaboli e modi che nell’italiano son latinismi o francesismi ec., o che i classici scrittori, o che i mediocri, o che i cattivi, o che la corrotta favella gli abbia introdotti e usati, ché queste differenze altresí sono affatto accidentali, e nulle per la ragione.
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arianna
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Intervento di arianna »

Vorrei solo dire due parole riguardo all'articolo proposto da Marco.
Quell'articolo è un bellissimo spunto di riflessione sulle condizioni attuali della lingua italiana.
Le prime sei righe ne sono un esempio...
Questa è la risposta a chi (senza rivolgermi a nessuno in particolare) dice che non bisogna preoccuparsi per la nostra lingua, ch'essa gode di ottima salute...

Secondo me tra un anno a questa parte (ma nel frattempo spero che la gente italiana si sia svegliata), andando avanti così, le parole italiane si potranno contare sulle dita, tutto il resto sarà scritto in inglese :cry:
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Arianna
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Intervento di Brazilian dude »

Non so quando egli abbia scritto l'articolo riportato da Marco, però questo:
La lingua tedesca avanza e precipita come un torrente, e guadagna tutto giorno vastissimi spazi in ogni genere di accrescimento.
non è purtroppo giusto ai giorni nostri. Il tedesco (e in ancor maggior misura l'olandese) ha una pletora di anglicismi. Forse per essi non è un problema tanto grave perché gli viene più comoda la pronuncia dei forestierismi, ma è un fatto che l'inglese non ha risparmiato queste due lingue "sorelle".

Brazilian dude
Avatara utente
Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Certo, oggigiorno il tedesco è invaso dagli anglismi non meno dell'italiano; ma ai tempi di Leopardi le cose stavano diversamente. Ciò comunque non inficia il ragionamento. :wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

A parziale complemento del nesso fornito piú sopra, in cui si cita parte del pensiero leopardiano dell’8-14 marzo 1821, aggiungo, dallo stesso pensiero, questi due brani — naturalmente «travisando». Non lo faccio per chi già possiede e conosce perfettamente l’opera di Giacomo Leopardi, ma per chi è interessato e non ha facilmente la possibilità di accedervi (e chi facilmente accedervi può si legga tutto!).
Né osservò [Frontone] che siccome la lingua cammina sempre, perch’ella segue le cose le quali sono istabilissime e variabilissime, cosí ogni secolo anche il piú buono e casto ha la sua lingua modificata in una maniera propria, la quale allora solo è cattiva, quando è contraria all’indole della lingua, scema o distrugge 1. la sua potenza e facoltà, 2. la sua bellezza e bontà naturale e propria, altera perde guasta la sua proprietà, la sua natura, il suo carattere, la sua essenziale struttura e forma ec. [...]

Quanto poi ai derivati d’ogni specie (purché sieno secondo l’indole e le regole della lingua, e non riescano né oscuri né affettati) e a qualunque parola nuova che si possa cavare dalle esistenti nella nostra lingua, che stoltezza è questa di presumere che una parola di origine e d’indole italianissima, di significazione chiarissima, di uso non affettata né strana ma naturalissima, di suono finalmente non disgrata all’orecchio, non sia italiana ma barbara, e non si possa né pronunziare né scrivere, per questo solo, che non è registrata nel Vocabolario? [...]
Aggiungo ancora questo, del 10-12 ottobre 1821.
Imperocché la lingua italiana essendo stata applicata alla letteratura, cioè formata, innanzi a tutte le colte moderne; la sua formazione, e quindi la sua indole viene ad essere propriamente parlando di natura antica. Quindi ella, a differenza della francese, non può rinunziare alle sue ricchezze antiche, senza rinunziare alla sua indole, e a se stessa. Potrà ben rinunziare a questa o quella voce o modo, potrà anche coll’andar del tempo antiquarsi la maggior parte delle sue voci e modi primitivi, ma sempre la forma delle sue voci e modi o nuovi o vecchi dovrà corrispondere a questi, per corrispondere alla sua indole, altrimenti non potrà fare ch’ella non si componga di elementi e ragioni e spiriti discordanti, e non si corrompa: giacché in questo finalmente consiste la corruzione di tutte le lingue, e di questo genere è la presente corruzione della lingua italiana. [...]

Ben è verissimo che quanto la lingua italiana è incorruttibile nella teoria, tanto nelle presenti circostanze è piú d’ogni altra corruttibile nella pratica. I riformatori del moderno stile corrotto, in luogo di conservarle la libertà essenziale alla sua indole, gliela tolgono, ed oltre ch’essi stessi con ciò solo la corrompono, assicurano poi la sua corruzione riguardo agli altri, mentre la libertà è il principale e indispensabile preservativo di questo male. Gli altri non istudiano la lingua, non la conoscono, si prevalgono della sola sua libertà, senza considerare come vada applicata ed usata, non sanno le forze della lingua, ed in vece di queste, adoprano delle forze straniere ec. L’indole antica della lingua italiana pare a prima vista incompatibile con quella delle cose moderne. Senza cercare dunque né scoprire come queste indoli si possano accordare (il che non può conoscere chi non conosce la lingua), si sacrifica quella a questa, o questa a quella, o si uniscono mostruosamente con danno di tutt’e due. Laddove la lingua italiana deve e può conservare la sua indole antica adattandosi alle cose moderne, esser bella trattando il vero; parere anche antica qual è, senza però mancare a nessuno de’ moderni usi, e adattarvisi senza alcuno sforzo.
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