Infarinato ha scritto:Appunto, ma la mia era una critica «strutturale» (rivolta —come le ho già scritto in privato— non tanto al Devoto, ma a chi [non Lei] vorrebbe fare passare il suo terzo sistema per quello che non è)
Questo riferimento indiretto che
Infarinato fa a me e a quello che ho scritto, mi porta a ritenere che esista un equivoco di fondo basato su un’interpretazione errata del mio pensiero, e mi dispiace di non essere stato abbastanza chiaro. Non è che io, parlando ogni tanto del terzo sistema fonologico del Devoto, lo abbia voluto elevare a norma; tutte le volte che vi ho accennato è stato solo per cercare di mostrare l’inadeguatezza di tentativi di adattamento – processo che sappiamo ormai essere rifiutato dalla maggioranza dei parlanti – di parole facilmente accettate anche se hanno terminazione consonantica. Come già ottimamente chiarito da
bubu7, la caratteristica del sistema formulato da Devoto non si esaurisce nella regolamentazione delle finali consonantiche accettate delle parole straniere.
Infarinato accenna alle condivisibili considerazioni sviluppate da Devoto due paragrafi dopo quello sulle finali consonantiche, là dove egli parla anche dell’apertura illimitata alle sigle, che come sappiamo ormai possono considerarsi né più né meno che parole, in grado di generarne altre attraverso suffissazioni e composizioni. È quando si considerano tutti questi aspetti che il sistema si presenta “aperto”. Considerarlo quindi “tale solo nel senso [minimalistico] d’«insieme necessario per classificare un buon numero di forestierismi non adattati correntemente in uso in italiano, nonché l’attuale tendenza dei parlanti al mancato adattamento»” significa, a mio parere, dare un’interpretazione riduttiva del pensiero di Devoto.
Infarinato accenna anche alla mia espressione “mutamento strutturale” che gli sembra fuori luogo; quando l’ho usata, avevo in mente esclusivamente il lessico, e sì penso che l’entrata di un numero massiccio di forestierismi nella lingua possa considerarsi un mutamento strutturale dato che il lessico è una delle strutture della lingua. Se non è così, mi si spieghi a cosa pensava Arrigo Castellani quando, sia in
Morbus Anglicus sia in
‘Vendistica’ e il concetto di bizzarro, diceva che l’afflusso di anglismi era dannoso per l’italiano in quanto, pur essendo normale che una lingua si trasformi non solo per sviluppi interni ma anche rispondendo a sollecitazioni esterne
“basta che questo avvenga senza mettere in pericolo le sue strutture fondamentali. E per l’italiano le strutture fonetiche sono fondamentali.”
Vorrei anche far notare a
Infarinato che esiste una contraddizione irrisolvibile nel voler da un canto minimizzare un fenomeno cercando di classificarlo in senso minimalistico come un insieme sterile di termini, ma allo stesso tempo nel preoccuparsi dei suoi effetti – quali che essi siano – al punto da ritenere necessario proporre alternative a parole ormai a tutti gli effetti italiane come
bar,
computer,
film e così via.
Acclarato il fatto che il terzo sistema non si esaurisce nelle finali consonantiche, e sottolineato che le finali consonantiche non sono suffissi – suffissi inglesi sono
ing,
ize come in italiano sono
ale,
izzare e così via – risulta ovvio che è improponibile il confronto tra la mancata produttività per suffissazione delle parole stranieri inquadrate in tale sistema e la produttività dei suffissi italiani.
Ma non si può tacere che i forestierismi - e non voglio diventarne il difensore d’ufficio, ma solo constatare la realtà che abbiamo sotto gli occhi – sono ben lungi dall’essere sterili.
Anzitutto entrano in gioco nella formazione delle parole per suffissazione allo stesso titolo di parole italiane, ossia come basi, perché per creare una parola nuova non basta il suffisso, occorre anche la base.
Inoltre i neologismi nascono, oltre che per suffissazione e prefissazione, anche per composizione. E una volta di più, tanti anglismi accettati danno luogo a neologismi.
In merito cito dal recente (2003)
Neologismi quotidiani – Un dizionario a cavallo del millennio di Giovanni Adamo e Valeria della Valle:
La tendenza all’uso di serie compositive appare ormai radicata e stabilizzata [...]. Continuano a prodursi così nuove serie lessicali, nelle quali non di rado si incontrano anche formanti inglesi (tra gli altri, -boom, -killer, -record) che vedono di volta in volta alternarsi in seconda posizione elementi lessicali nuovi: da elettronico a digitale o intelligente, da selvaggio a dipendente o dipendenza, da fantasma a simbolo, fino agli emergenti etico, obiettivo, spazzatura e lumaca (questi ultimi, rispettivamente, sulla scia dell’inglese trash-, junk- e snail-).
Eviterei quindi di parlare di mancanza di produttività, anche se specificandola come “fonomorfologica”, in relazione a qualunque elemento straniero che s’incunei nella nostra lingua.
Chiudo facendo osservare due formazioni che non ritengo necessariamente indicative ma almeno degne di note: la prima è la parola
colf, che ha terminazione consonantica – chi sta imparando l’italiano potrebbe addirittura pensare che è una parola straniera, come
golf – ma è stata creata per contrazione, come parola macedonia, la si chiami come si vuole, e da italiani con parole italiane senza preoccuparsi che terminasse in consonante; la seconda (che leggo nel dizionario citato) è
bossing “vessazione operata nei confronti di dirigenti di uffici e imprese per spingerli alla risoluzione del loro rapporto di lavoro”, creata sul modello di
mobbing prendendo la parola inglese
boss e il suffisso inglese
ing, ma non dagli americani, per i quali
bossing è “l’arte di essere boss”, ossia sapere come essere dirigenti capaci. Falso anglismo? Anche, ma non solo. Merita una riflessione, mi sembra.
Vorrei quindi correggere la mia osservazione, che mi sembra suonasse più o meno “siamo in presenza di un mutamento strutturale”, inquadrandola nel più ampio contesto che ho cercato di illustrare e nel quale si inseriscono, ma solo come uno dei suoi tanti elementi caratteristici, le terminazioni consonantiche dei forestierismi.