Contoidi approssimanti dell’italiano
Moderatore: Cruscanti
Contoidi approssimanti dell’italiano
I contoidi approssimanti dell'italiano sono /j/ (palatale) e /w/ (velo-labiale).
Ora, se confrontiamo gli orogrammi di /i/ con /j/ e di /u/ con /w/ notiamo che, staticamente, sono pressoché identici (per non dire identici del tutto: la fonetica naturale è scienza artistica). Lo stesso spazio articolatorio — che distingue i contoidi dai vocoidi — è, in ottima approssimazione, il medesimo.
Detto questo, arrivo a dire che io duro non poca fatica a distinguere /i/ da /j/ e /u/ da /w/, tanto che a me paiono lo stesso suono, o, meglio, fono.
Dunque, com'è possibile che /j/ e /w/ siano addirittura fonemi — con carattere distintivo, dunque — quando, per esempio, il contoide vibrato alveolare [r]¹ di ['caro] è « solo » un fono, pur essendo dimolto piú netta la distinzione dal fonema vibrante alveolare /r/ di ['re], che però non produce coppie minime?
Dove sono le coppie minme tra /i/ e /j/ e /u/ e /w/? La mia sarà allora solo una provocazione?
¹ Il grafema che ho usato non è quello esatto, ma non so quale altro simbolo usare.
Ora, se confrontiamo gli orogrammi di /i/ con /j/ e di /u/ con /w/ notiamo che, staticamente, sono pressoché identici (per non dire identici del tutto: la fonetica naturale è scienza artistica). Lo stesso spazio articolatorio — che distingue i contoidi dai vocoidi — è, in ottima approssimazione, il medesimo.
Detto questo, arrivo a dire che io duro non poca fatica a distinguere /i/ da /j/ e /u/ da /w/, tanto che a me paiono lo stesso suono, o, meglio, fono.
Dunque, com'è possibile che /j/ e /w/ siano addirittura fonemi — con carattere distintivo, dunque — quando, per esempio, il contoide vibrato alveolare [r]¹ di ['caro] è « solo » un fono, pur essendo dimolto piú netta la distinzione dal fonema vibrante alveolare /r/ di ['re], che però non produce coppie minime?
Dove sono le coppie minme tra /i/ e /j/ e /u/ e /w/? La mia sarà allora solo una provocazione?
¹ Il grafema che ho usato non è quello esatto, ma non so quale altro simbolo usare.
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Re: Contoidi approssimanti dell'italiano
Si è molto dibattuto dello status fonemico di [j] e [w]. Il Canepàri parla di «semifonemi [stilistici]» (uso per comodità una trascrizione «simil-SAMPA»):
Per concludere, due parole sul fatto che le coppie minime citate non sarebbero in realtà tali perché in uno dei due elementi i foni sono separati da una differenza accentuale o appartengono a sillabe diverse: l’argomento è semplicemente «non pertinente».
I due criteri [complementari] per l’individuazione dei fonemi d’una data lingua sono la commutazione (se io commuto, in un dato contesto, un fono con un altro e il significato della frase viene mutato o reso irriconoscibile, questo significa che i due foni appartengono a due fonemi diversi) e la distribuzione (se due o piú foni sono in distribuzione complementare, e quindi totalmente determinata dal contesto, possono appartenere allo stesso fonema [e ne sono allora dei «tassofoni» o «allofoni combinatòri»]; altrimenti [«distribuzione distintiva»], devono appartenere a due fonemi diversi). Come si vede, esula da questa indagine l’analisi d’ogni tratto «soprasegmentale» o «prosodico».
Del resto, se adottassimo un «approccio sillabico», non potremmo ad esempio dire che la durata consonantica è distintiva in italiano, ché, e.g., /tt/ non ricorre mai all’interno d’un’unica sillaba, per cui non può mai opporsi a /t/, e fatto /'fat.to/ ['fat:.to] e fato /'fa.to/ ['fa:.to] non potrebbero costituire una coppia minima né per durata consonantica né per durata vocalica.
Inoltre, trattandosi qui di opposizione fra contoidi [j w] e vocoidi [i u], è praticamente inevitabile che la sillabazione [e l’accentazione] sia diversa nella stragrande maggioranza dei casi. Comunque, anche a dispetto di ciò, beccatevi la seguente coppia subminima: nocque /'nOk.kwe/ ['nOk:.kwe] e nocue («nocive») /'nO.kue/ /'nO:.kue/, dove non interviene alcuna differenza accentuale e il numero di sillabe [fonetiche] è lo stesso.
…Ovviamente, ai «fonologi» del GRADIT dev’essere sfuggita quest’ultima frase , come anche il paragrafo sui dittonghi [«discendenti» e {le «sequenze eterofoniche» note come «dittonghi»} «ascendenti»] del Mioni (A. M. Mioni, «Fonetica e fonologia» in Introduzione all’italiano contemporaneo – Le strutture, a cura di A. A. Sobrero, «Laterza», Bari 1993), al termine del quale si può leggere:Luciano Canepàri (MaPI², p. 95, grassetto mio) ha scritto:…la differenza tra gli approssimanti /j w/ e i vocoidi corrispondenti /i u/ non è sempre cosí evidente, né cosí salda. Infatti, quando si parla lentamente, o si vuole essere precisi o enfatici, è senz’altro possibile che /j w/ si realizzino <come> [i u] (e in certe parole, si hanno regolarmente entrambe le varianti):Ugualmente, è piú che possibile che, parlando spontaneamente o velocemente, molti /i u/ si realizzino come [j w], e viceversa; infatti, per molte forme del DiPI sono indicate due possibilità:
- piano, quando; fiala
/'pjano, pi'ano; 'kwando, ku'ando/; /'fjala, fi'ala/.In effetti, dal punto di vista comunicativo, anche per /j w, i u/ si potrebbe abbastanza tranquillamente parlare di semifonemi stilistici, piú che di veri e propri fonemi, nonostante casi, teorici piú che pratici, come
- piolo, d’ieri, arcuato, attenuo
/pi'Olo, 'pjO-; di'Eri, 'djE-; arku'ato, -'kwa-; at'tEnuo, -nwo/.Comunque, è in ogni caso decisamente piú conveniente mantenere, anche a livello di trascrizione fonematica, i quattro simboli /j w, i u/…
- piano (di Pio), spianti (che spiano); arcuata, lacuale
/pi'ano, spi'anti; arku'ata (-'kwa-), laku'ale (-kwa-)/
piano (lentamente), (tu) spianti; Arcuata, la quale
/'pjano, s'pjanti; ar'kwata (-ku"a-), la'kwale (-ku"a-)/.
(…In realtà basterebbe adottare una concezione puramente fonologica e non «morfofonologica» di fonologia. )Alberto Mioni (op. cit., grassetto mio) ha scritto:Si è molto discusso se semiconsonanti {[j w]} e semivocali {[i u] asillabiche} siano fonemi separati dalla V{ocale} di cui sono la variante sillabica. Le regole che rendono conto della perdita di sillabicità di taluni suoni vocalici in italiano non sono totalmente appurate. Quello che è certo è che coppie come spianti [spi.'anti] “che spiano” ~ (tu) spianti ['spjanti] “voce del v. spiantare” o li odio [li 'O:djo] ~ l’iodio ['ljodio] sono vere coppie minime solo se non si tiene conto delle frontiere morfologiche (spi+ant+i, s+piant+i; li+odi+o, <l’>+iodi+o), e cioè se si adotta una concezione molto concreta di fonologia, vicina ai fatti fonetici.
Per concludere, due parole sul fatto che le coppie minime citate non sarebbero in realtà tali perché in uno dei due elementi i foni sono separati da una differenza accentuale o appartengono a sillabe diverse: l’argomento è semplicemente «non pertinente».
I due criteri [complementari] per l’individuazione dei fonemi d’una data lingua sono la commutazione (se io commuto, in un dato contesto, un fono con un altro e il significato della frase viene mutato o reso irriconoscibile, questo significa che i due foni appartengono a due fonemi diversi) e la distribuzione (se due o piú foni sono in distribuzione complementare, e quindi totalmente determinata dal contesto, possono appartenere allo stesso fonema [e ne sono allora dei «tassofoni» o «allofoni combinatòri»]; altrimenti [«distribuzione distintiva»], devono appartenere a due fonemi diversi). Come si vede, esula da questa indagine l’analisi d’ogni tratto «soprasegmentale» o «prosodico».
Del resto, se adottassimo un «approccio sillabico», non potremmo ad esempio dire che la durata consonantica è distintiva in italiano, ché, e.g., /tt/ non ricorre mai all’interno d’un’unica sillaba, per cui non può mai opporsi a /t/, e fatto /'fat.to/ ['fat:.to] e fato /'fa.to/ ['fa:.to] non potrebbero costituire una coppia minima né per durata consonantica né per durata vocalica.
Inoltre, trattandosi qui di opposizione fra contoidi [j w] e vocoidi [i u], è praticamente inevitabile che la sillabazione [e l’accentazione] sia diversa nella stragrande maggioranza dei casi. Comunque, anche a dispetto di ciò, beccatevi la seguente coppia subminima: nocque /'nOk.kwe/ ['nOk:.kwe] e nocue («nocive») /'nO.kue/ /'nO:.kue/, dove non interviene alcuna differenza accentuale e il numero di sillabe [fonetiche] è lo stesso.
Quello che continua a lasciarmi dubbioso è la distinzione tra /j/ e /i/ e /w/ e /u/ in contoidi e vocoidi. Su cosa si basa questa distinzione? Non sarebbe piú naturale pensare a differenze nella durata degli stessi vocoidi? Per cui l’italiano avrebbe soli i vocoidi /i/ e /u/, ma con una valenza fonemica dei croni?. Io, usando le orecchie, sento questo. Lei, Infarinato, sente differenze articolatorie tra /i, j/ e /u, w/?
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Sul modo di articolazione: anche se negli approssimanti la frizione è quasi assente (e in quelli sonori è coperta dalla voce, prodotta dalla vibrazione delle pliche vocali), nondimeno esiste.Incarcato ha scritto:Quello che continua a lasciarmi dubbioso è la distinzione tra /j/ e /i/ e /w/ e /u/ in contoidi e vocoidi. Su cosa si basa questa distinzione?
Non è questione di durata, come dimostrano i seguenti esempi, in cui la differenza fra i vari foni è chiaramente percepibile: [i:] fine /'fine/; [i] finto /'finto/, piano («di Pio») /pi'ano/; [j] piano («lentamente») /'pjano/, tre iene /tre'jEne/ [tre'jE:ne]; [j:] tre iene (prn. romana) [trej'jE:ne].
A proposito dei termini contoide e vocoide Arrigo Castellani, nel suo articolo «Terminologia linguistica», esprime delle critiche. Riporto il brano qui sotto.
4. Molti anni fa Robert A. Hall jr., lamentandosi della scarsa attenzione dedicata dagli studiosi europei alle ricerche dei loro colleghi statunitensi, parafrasò così (non mi ricordo più in quale articolo) un noto adagio medievale: Americana sunt, non leguntur. I tempi sono cambiati: quel che si scrive in America è letto e imitato; anche contra fas.
Si veda quest’esempio. Un fonetista americano, Kenneth L. Pike, ha inventato nel 1943 le parole contoid e vocoid per indicare semplicemente le consonanti e le vocali (restringendo il significato di consonant alle consonanti che non funzionano come centri di sillaba e di vowel alle vocali che funzionano come centri di sillaba). Ci si domanda perché, nei due casi speciali di cui tien conto il Pike (e che riguardano il rapporto tra suono e sillaba), non si dovrebbe dire consonanti sillabiche e vocali sillabiche, senza cercar di cambiare il significato dei termini tradizionali e introdurre nuovi termini al loro posto. Ma anche volendo introdurre nuovi termini, e considerando consonantoid e vocaloid come troppo lunghi, non è assolutamente ammissibile che il primo venga ridotto a contoid (vocoid si può ancora giustificare, dato che rimane la radice voc-; ma cont- che cosa rappresenta?).
Eppure i contoidi (e i vocoidi) sono accolti in un manuale italiano per altri rispetti pregevole, l’Introduzione alla fonetica di Luciano Canepari (Torino, Einaudi, 1979).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ritorno dopo lunga assenza
Tuttavia, contoide e vocoide sono ben adattati alla struttura fonetica della lingua. Penso che possano convivere con le perifrasi indicate da Castellani nell'articolo riportato da Marco1971. Una volta tanto che l'adattamento c'è, il buon Marco lo guarda con sospetto?
Re: Ritorno dopo lunga assenza
Caro Amicus, ben tornato!amicus_eius ha scritto:Tuttavia, contoide e vocoide sono ben adattati alla struttura fonetica della lingua. Penso che possano convivere con le perifrasi indicate da Castellani nell'articolo riportato da Marco1971. Una volta tanto che l'adattamento c'è, il buon Marco lo guarda con sospetto?
Ho solo riportato l’opinione non trascurabile del grande studioso, secondo il quale, come ho da lui appreso, non bisogna necessariamente accontentarsi di adattamenti quando le stesse parole forestiere son foggiate male (vedi anche referente, fonotatticamente perfetto ma semanticamente assurdo). Ripongo quindi la domanda: che cosa significa cont-?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Re: Contoidi approssimanti dell’italiano
No, semmai consonantoide (e vocaloide).
Chi c’è in linea
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