Tre metri sopra il...?

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Decimo
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Intervento di Decimo »

Infarinato ha scritto:si ricorra in primo luogo ai segni che fornisce già belli e pronti l’alfabeto latino, e che quindi si scriva (ci sono anche latinismi, ovviamente —sopra sono stato un po’ approssimativo) <gente> con la <g> di <gens>, <ginocchio> con la <g> di <geniculum>, <generoso> con la <g> di <generosus>, <gielo> con la <g> di <gelu>, etc.
Per <g> iniziale tutti esempi di origine latina...
Infarinato ha scritto:per una parola come [ra'Zo:ne] (ragione) il latino ratio non aiuta, e in una come [ka'Zo:ne] (cagione) lo scrivente può persino stentare a riconoscere il latino occasio, che non sarebbe comunque di alcun aiuto.
... ma perché non dovremmo aspettarci lo stesso per una parola come gioia?
Infarinato ha scritto:è altrettanto ovvio che lo scrivente non senta la necessità d’usare una grafia diversa per rappresentarlo (…e per la stessa ragione usa [anche] <g> per rappresentare lo [Z] intervocalico dei latinismi)
Non mi pare poi cosí ovvio, essendoci un preciso e noto [e forse non unico] precedente: <sc>.
(«Sul piano grafico non è possibile distinguere tra il [S] di bascio, cascio ['ba:So, 'ka:So] e il [SS] di fascio, lascio ['faSSo, 'laSSo], ecc.», ci ricorda il Larson.)
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Decimo ha scritto:Per <g> iniziale tutti esempi di origine latina...
Appunto! Ché —eccezion fatta per gli esiti di [j] e [dj] iniziali [tardo]latini— sono la maggioranza, e hanno quindi fornito l’ovvio grafema per trascrivere il [dZ] iniziale (e posconsonantico, e.g. in ergere, che fra l’altro trova un comodo riscontro [grafico] nelle forme con [g], creando serie [graficamente] omogenee quale ergo, ergi, etc.), cioè <g(i)>. ;)
Decimo ha scritto:…ma perché non dovremmo aspettarci lo stesso per una parola come gioia?
Perché, come Lei senz’altro non ignora, deriva dal[l’antico] francese joie con [dZ-] (non ancora passato a [Z-]), il quale, per quanto appena detto (cioè, per l’esempio grafico delle voci con chiaro corrispondente latino) verrà trascritto con <gi> (…che è la stessa ragione per la quale vengono trascritti con <g(i)> anche gli esiti [tutti italiani] di [j-] e [dj-]).
Decimo ha scritto:
Infarinato ha scritto:…è altrettanto ovvio che lo scrivente non senta la necessità d’usare una grafia diversa per rappresentarlo (…e per la stessa ragione usa [anche] <g> per rappresentare lo [Z] intervocalico dei latinismi)
Non mi pare poi cosí ovvio, essendoci un preciso e noto [e forse non unico] precedente: <sc>.
Caro Decimo, non pretendo di convincerla: le posso solo dire che i linguisti storici sembrano concordi su questo punto. Per dirla col Castellani (sostituisco per comodità la grafia fonetica diacritica col SAMPA),
[l]a sibilante palatale sonora, nei testi volgari del Dugento, è resa in modo vario: con si, con sc(i), con sg(i), con g(i). La notazione sg(i) è certo piú logica di sc(i) (che però ha riscontri latini, sia pure con altro valore), ma non di g(i), dato che [Z], probabilmente fin da tempi molto antichi, non è piú un fonotipo-fonema, ma un fonotipo scaduto a variante di posizione del fonema [dZ] (cfr. i miei Nuovi testi fiorentini, Firenze 1952, pp. 31–33)
(A. Castellani, «Lingua parlata e lingua scritta nella Toscana medievale» [relazione presentata al XIV Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza, Napoli, 15–20 aprile 1974], in: —, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946–1976), vol. I, Roma, «Salerno Editrice», 1980, pp. 39–40, sott. mie).

Concludo con un’osservazione, che può forse essere d’aiuto (anche in rapporto alla resa grafica dei prestiti [antichi] comincianti per [dZ] [come appunto joie] o degli esiti di [j-] e [dj-] tardolatini di cui sopra): in fiorentino/toscano [antico e moderno] il tassofono non marcato del fonema /dZ/ è, appunto, [dZ], e questo perché, sebbene, considerando anche la situazione all’interno di frase (e non solo di parola), la posizione intervocalica sia senz’altro assai ricorrente, [dZ] ricorre, oltre che in posizione posconsonantica, anche in posizione iniziale, cioè pospausale. Questo è un fatto fondamentale, ché, quando un locutore toscano [che non sia anche un linguista ;)] s’interroga sulla pronuncia d’un g dolce iniziale, pensa alla parola in isolamento, e la pronuncia è necessariamente con [dZ]. Anzi, può addirittura non accorgersi dell’esistenza del tassofono [Z]… ma qui rivengo a un discorso già fatto, e faccio punto.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

Infarinato ha scritto:Perché, come Lei senz’altro non ignora, deriva dal[l’antico] francese joie con [dZ-] (non ancora passato a [Z-]), il quale, per quanto appena detto (cioè, per l’esempio grafico delle voci con chiaro corrispondente latino) verrà trascritto con <gi> (…che è la stessa ragione per la quale vengono trascritti con <g> anche gli esiti [tutti italiani] di [j-] e [dj-]).
Invero non lo sapevo. Ricordi confusi m’avevano convinto che l’italiano gioia, com’anche il siciliano aulico joi (cfr. Pir meu cori alligrari), fosse piuttosto un provenzalismo (non che questo sia importante, dacché sconosco la fonetica occitana)...
Ma il punto, caro Infarinato, come lei ha dimostrato di non ignorare, era un altro: non la corrispondenza fonetica con joie (qualsiasi esempio, anche il latino juvenis, mi sarebbe stato utile), ma la corrispondenza grafica.
Infatti,
Infarinato ha scritto:se è vero (com’è verosimile) che [Z] costituisce già un tassofono di /dZ/, è altrettanto ovvio che lo scrivente non senta la necessità d’usare una grafia diversa per rappresentarlo
La mia domanda riemerge spontanea, essendo stata postulata la spirantizzazione di [dZ] in epoca preletteraria. Perché mai lo scrivente del Dugento sente la necessità d’usare una grafia diversa per rappresentare il suono [Z] in ragione, pregio ecc., che —m’auguro non per coincidenza— non conoscono la pronuncia [dZ], diversamente dalle parole d’origine latina?
Come ho cercato di dimostare colla provocazione di gioia —esempio non infelice, sebbene fosse stato piú chiaro giovane—, l’argomento della reminiscenza grafica latina non parrebbe probante, meno che mai se non perdiamo di vista l’ingombrante presenza di gielo posvocalico.
(Quali dati potrebbero confermare la giocosa alternanza di dizione tra ['dZjE:lo] e ['ZE:lo]?)
Infarinato ha scritto:Caro Decimo, non pretendo di convincerla: le posso solo dire che i linguisti storici sembrano concordi su questo punto.
[...]
ma qui rivengo a un discorso già fatto, e faccio punto.
Ch’io abbia immaginato [Z] fonema nella primissima letteratura toscana è stato forse un capriccio romantico... eppure i quesiti che le ho posto non mi parevano del tutto privi di fondamento, perciò ho preteso che potesse trovarli interessanti.
Ma lei fa punto, e io silenzio.

Rinnovo la mia sincera gratitudine per l’attenzione e il tempo che mi ha concessi, e per le fonti riportate.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Decimo ha scritto:…eppure i quesiti che le ho posto non mi parevano del tutto privi di fondamento, perciò ho preteso che potesse trovarli interessanti.
Ma lei fa punto, e io silenzio.
Caro Decimo (comincio dal fondo), [ovviamente] i suoi quesiti non erano affatto «privi di fondamento» e mi sono divertito a cercare di trovarvi una risposta. Ho «fatto punto» semplicemente perché ho costatato (e devo tuttora onestamente costatare: lo dico —sia chiaro— senza il minimo paternalismo) che argomenti che io e altri troviamo assolutamente convincenti non la persuadono punto, e perché mi trovo —ahimè— nell’incapacità di escogitarne di nuovi. :(

Veniamo al merito (ben sapendo che non riuscirò a convincerla nemmeno questa volta :?):
Decimo ha scritto:Ricordi confusi m’avevano convinto che l’italiano gioia, com’anche il siciliano aulico joi (cfr. Pir meu cori alligrari), fosse piuttosto un provenzalismo (non che questo sia importante, dacché sconosco la fonetica occitana)...
Non sono un esperto: mi sono limitato a seguire le indicazioni etimologiche di GRADIT e DISC. In ogni caso, come Lei ben pronosticava, non cambierebbe nulla, ché anche in provenzale antico <j> valeva [dZ] (che si scriveva invece [perlopiú] <g> davanti a e e i: cfr., e.g., L. Renzi & G. Salvi, Nuova introduzione alla filologia romanza, «Il Mulino», Bologna, 1994², p. 377).
Decimo ha scritto:Perché mai lo scrivente del Dugento sente la necessità d’usare una grafia diversa per rappresentare il suono [Z] in ragione, pregio ecc., che —m’auguro non per coincidenza— non conoscono la pronuncia [dZ], diversamente dalle parole d’origine latina?

[…]

l’argomento della reminiscenza grafica latina non parrebbe probante…
Alcuni scriventi sentono la «necessità» di rappresentare [Z] grafia diversa da <g> (in vario modo, come s’è visto: <si>, <sc>, <sg>… tutte grafie comunque motivate [piú o meno direttamente] dall’esempio grafico latino [*]), altri no.

…Ma non è questo il punto. Il «punto» è racchiuso nell’osservazione conclusiva del mio precedente intervento: mentre in posizione intervocalica non c’è un chiaro/univoco esempio grafico latino per le parole popolari (ed è quindi naturale che l’uso oscilli tra le varie possibilità, almeno fino a quando l’esempio dei latinismi [e delle parole inizianti per <g>] finisce per prevalere), per le parole con /dZ/ iniziale (la cui realizzazione non marcata [pospausale] è, appunto, [dZ]), l’esempio [grafico] latino è univoco e la scelta obbligata.
Decimo ha scritto:Quali dati potrebbero confermare la giocosa alternanza di dizione tra ['dZjE:lo] e ['ZE:lo]?
(Sia chiaro: diversamente che nei casi di cui sopra, qui siamo nel campo delle ipotesi…) Per tre ragioni (già menzionate piú o meno esplicitamente altrove): (1) perché è scritto costantemente gielo in fiorentino/toscano medievale, (2) perché (anche se non mi riesce convincerla :)) [dZ] si riduceva già a [Z] in posizione intervocalica e (3) perché [Zj] è sequenza assai improbabile nel fiorentino d’ogni tempo.

_________________________
(*) «Le lettere dell’alfabeto latino non bastavano per esprimere i nuovi fonemi della lingua volgare. Esclusa l’invenzione di caratteri speciali o segni diacritici (invenzione che sembra possibile, in circostanze normali, solo dove c’è uno stacco netto fra la lingua dalla quale si ricava il modulo alfabetico e la lingua da grammaticalizzare, e che comunque dev’esser l’opera d’un determinato individuo a cui non manchi il mezzo d’imporla), era naturale che si ricorresse a nessi grafici. Tanto piú che il latino (intendo, naturalmente, il latino nella sua pronuncia locale e seriore) ne offriva già tre bell’e pronti: gn per n palatale, sc per s palatale intensa davanti a e, i, sci per s palatale intensa davanti ad a, e altri tre o quattro utilizzabili attraverso accostamenti etimologici: li per l palatale, si per la s palatale di grado tenue (e ssi per la s palatale di grado forte), ci (in qualche caso) per la c palatale di grado forte» (A. Castellani, op. cit., pp. 38–39).
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