[VEC] «Si» passivante

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Sixie
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Intervento di Sixie »

Infarinato ha scritto:Ma prendiamo un altro esempio, che rende la dicotomia ancora piú evidente: la frase di sapore toscaneggiante che citavo nel mio intervento precedente, S’invita i parenti, è dal punto di vista storico e letterario (della tradizione, insomma) del tutto corretta, ma al giorno d’oggi per molti parlanti italofoni è addirittura agrammaticale. :!:
Per un parlante venetofono suona perfettamente naturale. :)
Abbiamo, in veneto, desinenze coincidenti per la terza persona singolare e plurale che non garantiscono la possibilità di distinguere l'una dall'altra : tale informazione viene delegata alla forma pronominale atona che si prepone al verbo, diventando obbligatoria.
Nel caso di S'invita i parenti il problema non si pone apparentemente ma se io dicessi : (A) s'invita i parenti, quel 'a' ( che potrebbe non comparire) è una forma proclitica atona con funzione di soggetto, corrispondente a 'noi'.
La stessa frase potrebbe essere resa con : i s'invita i parenti / e solo che lori, dove quel 'i' sta per la forma tonica.
L'attore Marco Paolini, nella sua lingua teatrale, ricorre spesso a tale fenomeno morfologico, come in :
i nostri paesi non è stati costruiti; quanti ragazzi scende dalle frazioni; con gli animali che muggisce nelle stalle e
La Sade spadroneggia, ma i montanari se difende.
(Gli esempi sono tratti da: Fernando Marchiori, Mappa Mondo Il teatro di Marco Paolini, Einaudi, Torino, 2003, pp.58-59).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Nel caso di S'invita i parenti il problema non si pone apparentemente ma se io dicessi : (A) s'invita i parenti, quel 'a' ( che potrebbe non comparire) è una forma proclitica atona con funzione di soggetto, corrispondente a 'noi'.
Su questo ho forti dubbi. Quell’a infatti può comparire come forma enfatica davanti a tutte le persone: «A so’ indormezà!» (lett. «Sono addormentato», vale anche «Sono proprio svagato!» e simili), «A te sì semo!» («Tu sei scemo!»), «A l’è nà al bar» («È andato al bar»), «A sì stà gentili» («Siete stati gentili»), «A i è brai asè» («Sono molto bravi»).

La frase in esame, peraltro, dovrebbe essere scritta «Se invita i parenti», giacché, almeno nella mia varietà, si fa un parco ricorso l’elisione: non si usa di norma per gli articoli e i clitici femminili («’Na ongia», «Un’unghia»; «La erba»; «La úcula», «Lei urla») e nemmeno per il si (se) passivante o impersonale («Nol se àldega», «Non si arrischia» o anche «Non si scomoda»).
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Sixie ha scritto:i nostri paesi non è stati costruiti; quanti ragazzi scende dalle frazioni; con gli animali che muggisce nelle stalle e
La Sade spadroneggia, ma i montanari se difende.
Anche da noi accade la stessa identica cosa: terza persona plurale e verbo al singolare.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Ferdinand Bardamu ha scritto:La frase in esame, peraltro, dovrebbe essere scritta «Se invita i parenti», giacché, almeno nella mia varietà, si fa un parco ricorso l’elisione: non si usa di norma per gli articoli e i clitici femminili («’Na ongia», «Un’unghia»; «La erba»; «La úcula», «Lei urla») e nemmeno per il si (se) passivante o impersonale («Nol se àldega», «Non si arrischia» o anche «Non si scomoda»).
Toscaneggiavo :)
ha ragione, caro Ferdinand.
Torniamo alla frase di Marco Treviglio : Penserei che una differenza si dovesse avvertire; come la tradurrebbe lei, nella sua varietà dialettale?
Io direi : A se gheva da catar-ghe-la na difarenza, mi penso;
I gheva da catar-ghe-la na difarenza, mi penso;
Mi penso che na difarenza i gheva da catarghela.
Al posto di catàre per 'trovare' si può usare sentire come in italiano e così dovere per avere da : Mi penso che na difarenza i dovea sentirghela.
Il problema, per noi venetofoni, sta nel posizionare quel se all'interno della frase e, prima ancora, nel capire quale significato possa assumere.
Quel se potrebbe corrispondere a un ci in italiano, forma pronominale atona in funzione di complemento oggetto, di termine e con i verbi riflessivi;
se nelle costruzioni impersonali, corrispondente al 'si' italiano.
Si antepone a quel ghe misterioso, locativo 'ci' in italiano, o anche col significato di dativo di terza persona.
Non è semplice, per noi rendere frasi come : se ne sentono tante; ci si va; gli si dice; ci si pente; ci si raccomanda, ci si mette dietro... solo i veneziani ci riescono :

se se ghe mete drìo. :D
Ultima modifica di Sixie in data ven, 18 set 2015 13:20, modificato 1 volta in totale.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Io direi: «Mi (a) pensaría che ’na difarenza la gavaría da [lett. «avrebbe da»] sentirse». Da notare che quel la prima di gavaría è, come nel vernacolo toscano, il soggetto non l’oggetto del verbo sentire.
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Millermann
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Sixie ha scritto:Torniamo alla frase di Marco Treviglio : Penserei che una differenza si dovesse avvertire; come la tradurrebbe lei, nella sua varietà dialettale?
Posso intrufolarmi, anche se non parlo veneto? :D
Mi attrae l'idea di confrontare versioni dialettali di frasi non propriamente banali, come quella in esame.
Provo a trasporla nel mio vernacolo calabrese:

1. Traduzione "quasi letterale", con doppio condizionale (ma che mi sembra davvero poco naturale!):

Mi penzère ca 'na differenza s'avère da sènte!
[(Mi) penserei che una differenza si avrebbe da sentire]
Attenzione a quel mi: non è il soggetto (qui sottinteso), è che in dialetto pensare (nel senso di credere) è un verbo pronominale, cosí come lo sono mangiare, bere, ecc.

Traduzioni più spontanee:
Ppè mmía, 'na differenza s'avère da sènte!
[Per me, una differenza si avrebbe da sentire]

Ji' dicu ca 'na differenza s'avère da sènte!
[Io dico che una differenza si avrebbe da sentire]

Oppure con l'imperfetto indicativo:
...'na differenza s'avíe da sènte!
[...una differenza si aveva da sentire]

In altri dialetti limitrofi si userebbe anche l'imperfetto congiuntivo:
...'na differenza s'avísse da sènte!
[...una differenza si avesse da sentire]

In ogni caso, il si è sempre in posizione proclitica. :)
In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Non è semplice, per noi rendere frasi come : se ne sentono tante; ci si va; gli si dice; ci si pente; ci si raccomanda, ci si mette dietro... solo i veneziani ci riescono
Dice? Io direi, nell’ordine: «Se ne sente tante»; «Se ghe va»; «Se se pente»; «Se se racomanda»; «Se se mete drio».

In quanto alla posizione del se, e dei clitici in generale, coi verbi modali e fraseologici, a me pare ch’essa non dia adito a dubbi: di norma è enclitica, es. «Nol podea mia farlo lu» («Non lo poteva far lui»), «El volea narghe» («[Lui] ci voleva andare»), ecc. La posizione proclitica mi suona come un italianismo — o, comunque, mi sembra meno spontanea — ma ci potrebbero essere controesempi che mi confutano.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data ven, 18 set 2015 17:57, modificato 1 volta in totale.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Grazie, Millermann, della sua partecipazione e grazie anche a Ivan :) .
Confrontare le differenti versioni è sempre utile alla riflessione linguistica e poi è anche sorprendente, a volte, scoprire che si danno costrutti comuni da un capo all'altro del Paese.
Pensi a quel ca : ca lo dòparo anca mi. :D
Interessante la distinzione di quel mi penzère da (mi) penzère; se non ho inteso male dovrebbe corrispondere al mio mi digo e me-digo.
Provo a esemplificare :
Mi digo che i dovea sentirghela na difarenza ( io dico : si doveva sentire la differenza);
I dovea sentirghela na difarenza, me-digo ( si doveva sentire la differenza, io dico).
Nel secondo caso lo sto dicendo fra me e me, che na difarenza i dovea sentirghela.
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Intervento di Sixie »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Io direi: «Mi (a) pensaría che ’na difarenza la gavaría da [lett. «avrebbe da»] sentirse». Da notare che quel la prima di gavaría è, come nel vernacolo toscano, il soggetto non l’oggetto del verbo sentire.
La frase è elegante ma non è, a mio giudizio, prettamente vèneto.
Mi (a) pensarìa che na difarenza la gavarìa da sentirse : questi sono i due punti, secondo me, nei quali l'italiano prevale sul veneto.
Non che non si possa dire, e chissà quanti la diranno in questo modo, ma c'è qualcosa che m'impedisce di riconoscerla appieno.
Manca il ghe, caro Ferdinand. :)
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Ferdinand Bardamu ha scritto:
Sixie ha scritto:Non è semplice, per noi rendere frasi come : se ne sentono tante; ci si va; gli si dice; ci si pente; ci si raccomanda, ci si mette dietro... solo i veneziani ci riescono
Dice? Io direi, nell’ordine: «Se ne sente tante»; «Se ghe va»; «Se se pente»; «Se se racomanda»; «Se se mete drio».

In quanto alla posizione del se, e dei clitici in generale, coi verbi modali e fraseologici, a me pare ch’essa non dia adito a dubbi: di norma è enclitica, es. «Nol podea mia farlo lu» («Non lo poteva far lui»), «El volea narghe» («[Lui] ci voleva andare»), ecc. La posizione proclitica mi suona come un italianismo — o, comunque, mi sembra meno spontanea — ma ci potrebbero essere controesempi che mi confutano.
Gianna Marcato ha scritto:Nelle costruzioni impersonali in italiano il 'si' precede il ne, trasformandosi in se : non se ne può fare a meno; ma segue tutti gli altri clitici, mantenendosi si : mi si dice, mi si sente, mi si vede, la si prende, la si guarda, gli si parla, ci si vede? ci si va, ecc.
Nei dialetti veneti 'si' precede ugualmente il ne, ma se il ne è partitivo è obbligatoria l'inclusione del ghe : se ghe ne tol do 'se ne prendono due', se ghe ne sente tante 'se ne sentono tante'.

Il si impersonale precede il ghe, sia che esso sia locativo (ci), sia che esso sia dativo di terza persona (gli,le) :
se ghe va ci si va;
se ghe riesse ci si riesce;
se ghe dise gli si dice/le si dice;
no se ghe pol dir de no non gli si può dire di no.
Dalle traduzioni è evidente l'inversione nell'ordine dell'italiano delle due forme pronominali.
Così G. Marcato alle pp. 175-176 della sua Dialetti veneti Grammatica e storia.
Però io dico: no se pòe dirghe de no.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:
Ferdinand Bardamu ha scritto:Io direi: «Mi (a) pensaría che ’na difarenza la gavaría da [lett. «avrebbe da»] sentirse». Da notare che quel la prima di gavaría è, come nel vernacolo toscano, il soggetto non l’oggetto del verbo sentire.
La frase è elegante ma non è, a mio giudizio, prettamente vèneto.
Mi (a) pensarìa che na difarenza la gavarìa da sentirse : questi sono i due punti, secondo me, nei quali l'italiano prevale sul veneto.
Non che non si possa dire, e chissà quanti la diranno in questo modo, ma c'è qualcosa che m'impedisce di riconoscerla appieno.
Manca il ghe, caro Ferdinand. :)
E dove lo metterebbe, codesto ghe, nella mia resa col verbo sentire? La frase in esame, tradotta nella mia varietà il piú letteralmente possibile, è come l’ho espressa (spontaneamente) io, di là da qualunque volontà d’apparire elegante. :)

Il fatto è, cara Sixie, che lei non ha tradotto letteralmente la frase, ma l’ha rielaborata, in maniera certamente corretta ma non fedele all’originale. Se vogliamo mantenere la forma impersonale dell’originale dobbiamo infatti ricorrere all’analogo costrutto passivante1: «’Na difarenza la gavaría da sentirse», in cui il soggetto è dislocato «a sinistra».

Nelle sue riformulazioni, invece, «’na difarenza» è complemento oggetto. In tal caso concordo con lei sulla necessità di aggiungere il clitico locativo ghe.

Sia la mia sia la sua versione sono corrette; semmai, il difetto della mia sta nell’aver ricalcato quanto piú potevo l’italiano. Forse, al di fuori dell’esercizio linguistico che abbiamo fatto qui, avrei scelto una delle sue traduzioni col verbo catare (=«trovare»).

Riguardo a «Se ne sentono tante», ha ragione! :oops: Nello scriverla, la mia traduzione non sonava benissimo neanche a me; sentivo che mancava qualcosa. Se me la fossi ripetuta a voce alta, non avrei sbagliato.

__________
1 A quanto mi risulta, non esiste in dialetto veneto un costrutto impersonale con clitico oggetto di terza persona, come in italiano. Ma in lingua, è d’uopo ricordarlo, tale costrutto è un’innovazione degli scrittori settentrionali, innovazione dovuta a un equivoco.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Millermann ha scritto:Mi attrae l'idea di confrontare versioni dialettali di frasi non propriamente banali, come quella in esame.
Lei è un provocatore nato. :D

Pènzo che 'na differenza se dée [da] senti' o pènzo che 'na differenza se duvría senti'. :)
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Sixie ha scritto:
Gianna Marcato ha scritto:[...]
Il si impersonale precede il ghe, sia che esso sia locativo (ci), sia che esso sia dativo di terza persona (gli,le) :
se ghe va ci si va;
se ghe riesse ci si riesce;
se ghe dise gli si dice/le si dice;
no se ghe pol dir de no non gli si può dire di no.
Dalle traduzioni è evidente l'inversione nell'ordine dell'italiano delle due forme pronominali.
È cosí anche nel mio dialetto. Perfino la particella locativa/dativa, ngi, ha qualche assonanza con ghe! :D
Osservi come suonano le stesse frasi:
«Si ngi va»
«Si ngi riesce»
«Si ngi dice»
«No'ssi ngi pò dice 'i no»

Direi ch'è anche la causa di uno dei tipi d'errore più frequenti del mio italiano regionale: «*Si ci può andare a piedi». :oops:

Le rispondo adesso su «mi penzère»: il verbo pensare, si sa, ha diversi significati. Quando vuol dire «credere, immaginare» in dialetto è pronominale (io mi penso che = io credo che), cosí come lo sono, sempre, mangiare (io mi mangio una mela), bere e altri.

Il suo esempio «mi digo/me-digo» corrisponde invece a «ji' dicu/dicu ji'»: Ji' dicu ca 'na differenza s'avère da sènte!
'Na differenza s'avère da sènte, dicu ji'! :)

P.S. La ringrazio, caro Ivan! :D
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Carnby
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Ivan92 ha scritto:Pènzo che 'na differenza se dée [da] senti' o pènzo che 'na differenza se duvría senti'.
Pènzo (ch')una diferenza si dovea sentì.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Grazie dello spunto. M'ero dimenticato di pènzo che 'na differenza se duvéa senti'. :)
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