col + infinito
Moderatore: Cruscanti
col + infinito
Un saluto a tutti.
Vorrei sottoporre alla vostra attenzione la seguente questione. Leggendo vari testi, ho notato il ricorrere di una certa subordinata: quella introdotta da “con il/col + infinito”. Renzi, al riguardo, sostiene che essa è retta da verbi come cominciare, consolarsi, distrarsi, finire, anche se, per esperienza personale, mi sono imbattuto in altri verbi reggenti tale costruzione, per esempio:
Farò del mio meglio col sostenere le tue idee.
Risolveva sempre la situazione con l’ammettere le proprie colpe.
Renzi non definisce in modo palese il tipo di subordinata introdotta da tale costruzione ma sostiene che essa può assumere una funzione strumentale. A questo punto, mi chiedo allora se “col + infinito” possa essere considerata una subordinata di maniera o di strumento visto che, invece, nelle pagine seguenti, Renzi attribuisce questo valore al solo gerundio. È dunque ravvisabile questa funzione nell’infinito?
Vorrei sottoporre alla vostra attenzione la seguente questione. Leggendo vari testi, ho notato il ricorrere di una certa subordinata: quella introdotta da “con il/col + infinito”. Renzi, al riguardo, sostiene che essa è retta da verbi come cominciare, consolarsi, distrarsi, finire, anche se, per esperienza personale, mi sono imbattuto in altri verbi reggenti tale costruzione, per esempio:
Farò del mio meglio col sostenere le tue idee.
Risolveva sempre la situazione con l’ammettere le proprie colpe.
Renzi non definisce in modo palese il tipo di subordinata introdotta da tale costruzione ma sostiene che essa può assumere una funzione strumentale. A questo punto, mi chiedo allora se “col + infinito” possa essere considerata una subordinata di maniera o di strumento visto che, invece, nelle pagine seguenti, Renzi attribuisce questo valore al solo gerundio. È dunque ravvisabile questa funzione nell’infinito?
Salve Tramoggia! 
Il DISC, alla voce con, sotto mezzo o strumento dice questo (sott. mia):
La funzione è data dalla preposizione, non dall’infinito in sé.

Il DISC, alla voce con, sotto mezzo o strumento dice questo (sott. mia):
Nei suoi esempi abbiamo appunto espressioni equivalenti (farò del mio meglio indica azione che dovrà cominciare; risolveva rientra nella sfera semantica del finire).[...] anche seguito da un infinito sostantivato, spec. con verbi come cominciare e finire, o con espressioni equivalenti: con l’insistere ha ottenuto quello che voleva...
La funzione è data dalla preposizione, non dall’infinito in sé.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Tenga conto, poi, che il gerundio italiano continuerebbe proprio l'ablativo del gerundio latino, che conosceva un uso esattamente strumentale/modale (comodamente traducibile proprio coll'infinito accompagnato dal «con»). Così «coll'ammettere» equivale ad ammettendo, «col sostenere» a sostenendo (e il valore è appunto strumentale – il processo verbale, del resto, 'modulato' com'è dall'infinito, è facilmente passibile di nominalizzazione etc.).
Adesso che mi viene fatto notare, è evidente la discendenza di questo costrutto dall'ablativo del gerundio, solo che, non avendo certezze solide su cui basare questa osservazione, avevo qualche titubanza nell’affermare e nel sostenere questo valore riscontrato nella costruzione in questione.
A proposito della nominalizzazione, a cui Ladim fa un accenno, si parla di infinito con valore nominale nel caso in cui esso sia preceduto dalla preposizione “di”.
Ricorro ai seguenti esempi:
Allo scadere del primo tempo il risultato era di uno a uno.
Sul finire del secolo scorso accadde un evento eccezionale.
Resta una traccia indelebile del suo tentativo di rendere ogni cambiare di luminosità sulla tela.
Il fatto che il soggetto dell’infinito sia espresso da un sintagma preposizionale introdotto dalla preposizione “di” è l’unica proprietà che determina il valore verbale o nominale di un infinito o ne esistono altre?
A proposito della nominalizzazione, a cui Ladim fa un accenno, si parla di infinito con valore nominale nel caso in cui esso sia preceduto dalla preposizione “di”.
Ricorro ai seguenti esempi:
Allo scadere del primo tempo il risultato era di uno a uno.
Sul finire del secolo scorso accadde un evento eccezionale.
Resta una traccia indelebile del suo tentativo di rendere ogni cambiare di luminosità sulla tela.
Il fatto che il soggetto dell’infinito sia espresso da un sintagma preposizionale introdotto dalla preposizione “di” è l’unica proprietà che determina il valore verbale o nominale di un infinito o ne esistono altre?
Mi sembra che un infinito acquisti valore nominale se usato con un articolo:
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Era solo un inutile vociare.
Ma attendiamo le precisazioni di Ladim.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Era solo un inutile vociare.
Ma attendiamo le precisazioni di Ladim.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non avevo cercato, ma nella grammatica di Luca Serianni c’è un’ampia trattazione sulla sostantivazione dell’infinito, troppo lunga per riportarla qui. Chi è interessato può leggersi i paragrafi 406-411 del capitolo XI. E chi non la possiede se la procuri al piú presto. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
L'infinito può prendere su di sé il caso nominale anche per ragioni storiche: i modi infiniti (prima latini e poi italiani) sono detti nomi verbali proprio perché derivano da antichi sostantivi (infinito, gerundio; il participio sarebbe un antico aggettivo). L'infinito, quindi, da sempre partecipa della natura nominale etc. Ma per rispondere alle parole di Tramoggia: ogni infinito diviene grammaticalmente un nome quando può essere accompagnato dall'articolo (è il già detto di Marco1971); la preposizione «di», insieme all'articolo, introduce la categoria del caso 'genitivo': «del leggere».
Ma nel «tentativo di rendere» abbiamo una subordinata, una dichiarativa: qui l'infinito ha valore verbale – attua il dominio semantico del sostantivo da cui dipende [«tentativo»] e lo fa attraverso un'azione e un oggetto [«ogni luminosità»]).
La preposizione «di» senz'altro – direi – accompagna un infinito nominalizzato soltanto in un contesto particolare: quello della topicalizzazione partitiva – «di leggere ne ho abbastanza».
E andrebbero rilette le pagine indicate da Marco.
Ma nel «tentativo di rendere» abbiamo una subordinata, una dichiarativa: qui l'infinito ha valore verbale – attua il dominio semantico del sostantivo da cui dipende [«tentativo»] e lo fa attraverso un'azione e un oggetto [«ogni luminosità»]).
La preposizione «di» senz'altro – direi – accompagna un infinito nominalizzato soltanto in un contesto particolare: quello della topicalizzazione partitiva – «di leggere ne ho abbastanza».
E andrebbero rilette le pagine indicate da Marco.
Scusate ma devo essermi espresso male.
Premesso di aver consultato precedentemente il Serianni (mi scuso per non averlo specificato e vi ringrazio comunque per i vostri tempestivi interventi), il mio quesito riguardava la suddetta questione a livello di grammatica generativa. Mi riferivo alle pagine in cui Renzi, nel secondo volume, parla di quando l’infinito assume le proprietà di un nome. Renzi asserisce che l’infinito ha valore di nome nel momento in cui:
1) può essere modificato da un aggettivo posposto;
2) il soggetto dell’infinito può essere espresso da un SP introdotto dalla preposizione di;
3) l’infinito può essere preceduto da un aggettivo;
4) il soggetto dell’infinito può essere rappresentato da un pronome possessivo;
5) il SN può essere introdotto dall’articolo indeterminativo.
Siamo sicuri che questi siano gli unici casi in cui l’infinito ha valore nominale? Il fatto che il soggetto dell’infinito possa essere espresso da un sintagma preposizionale introdotto dalla preposizione “di”, garantisce il valore nominale dell’infinito?
Ripropongo gli esempi:
Allo scadere del primo tempo il risultato era di uno a uno.
Sul finire del secolo scorso accadde un evento eccezionale.
Resta una traccia indelebile del suo tentativo di rendere ogni cambiare di luminosità sulla tela.
Premesso di aver consultato precedentemente il Serianni (mi scuso per non averlo specificato e vi ringrazio comunque per i vostri tempestivi interventi), il mio quesito riguardava la suddetta questione a livello di grammatica generativa. Mi riferivo alle pagine in cui Renzi, nel secondo volume, parla di quando l’infinito assume le proprietà di un nome. Renzi asserisce che l’infinito ha valore di nome nel momento in cui:
1) può essere modificato da un aggettivo posposto;
2) il soggetto dell’infinito può essere espresso da un SP introdotto dalla preposizione di;
3) l’infinito può essere preceduto da un aggettivo;
4) il soggetto dell’infinito può essere rappresentato da un pronome possessivo;
5) il SN può essere introdotto dall’articolo indeterminativo.
Siamo sicuri che questi siano gli unici casi in cui l’infinito ha valore nominale? Il fatto che il soggetto dell’infinito possa essere espresso da un sintagma preposizionale introdotto dalla preposizione “di”, garantisce il valore nominale dell’infinito?
Ripropongo gli esempi:
Allo scadere del primo tempo il risultato era di uno a uno.
Sul finire del secolo scorso accadde un evento eccezionale.
Resta una traccia indelebile del suo tentativo di rendere ogni cambiare di luminosità sulla tela.
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