«Italiano, vecchio capitano…»
Moderatore: Cruscanti
«Italiano, vecchio capitano…»
Ho sempre difeso l’italiano, e continuerò a farlo in questa sede. Ma mi rendo conto che è una lingua pomposa, adatta piú alla lirica, alla poesia, all’arte, che non alla tecnica e alla scienza. Preferisco di gran lunga che si passi all’inglese piuttosto che a un italiano ibrido, ormai noto come itangliano, che per una lingua è il maggior insulto possibile.
C’è da considerare anche la poca omogeneità idiomatica della nostra lingua: se un inglese dice out of the blue o you’re head and shoulders above everybody, tutti capiscono intimamente, perché queste sono espressioni usate da tutti; se io dico quando sei in comodo di farlo (porto quest’esempio perché l’ho vissuto sulla pelle) qualcuno vi dirà che non è espressione panitaliana, ecc. Lo stesso si potrebbe dire di altri idiotismi, registrati dai dizionari, ma che poco o nulla dicono al popolo italiano preso come un’entità.
La lingua italiana, purtroppo, non ha nessun futuro, se non quello di accrescere il suo lessico di forestierismi crudi. Ho già dato esempi di come sarà l’italiano e non mi ripeto qui. In fondo non mi posso sentire troppo triste, pensando a quanta vita tale lingua ha dato al mondo attraverso la letteratura e la musica.
Per tutto c’è un fine. C’è una fine per tutto.
C’è da considerare anche la poca omogeneità idiomatica della nostra lingua: se un inglese dice out of the blue o you’re head and shoulders above everybody, tutti capiscono intimamente, perché queste sono espressioni usate da tutti; se io dico quando sei in comodo di farlo (porto quest’esempio perché l’ho vissuto sulla pelle) qualcuno vi dirà che non è espressione panitaliana, ecc. Lo stesso si potrebbe dire di altri idiotismi, registrati dai dizionari, ma che poco o nulla dicono al popolo italiano preso come un’entità.
La lingua italiana, purtroppo, non ha nessun futuro, se non quello di accrescere il suo lessico di forestierismi crudi. Ho già dato esempi di come sarà l’italiano e non mi ripeto qui. In fondo non mi posso sentire troppo triste, pensando a quanta vita tale lingua ha dato al mondo attraverso la letteratura e la musica.
Per tutto c’è un fine. C’è una fine per tutto.
Ultima modifica di Marco1971 in data dom, 30 dic 2007 1:00, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Inani i farmaci, inane è tutto per curare l’etterno dolore... 
O Italiano, vecchio capitano, giunt’è l’ora! l’àncora leviamo!
Questo paese ci annoia, o Italiano! La nave approntiamo!
Se neri com’inchiostro son cielo e mare,
I nostri cuori che conosci son colmi di rai!
Il tuo veleno versaci perché ci conforti!
Noi vogliamo, tanto questo fuoco il cervello ci brucia,
In fondo all’abisso, Inferno o Cielo, che importa? sprofondare,
In fondo all’Ignoto per trovare del nuovo!

O Italiano, vecchio capitano, giunt’è l’ora! l’àncora leviamo!
Questo paese ci annoia, o Italiano! La nave approntiamo!
Se neri com’inchiostro son cielo e mare,
I nostri cuori che conosci son colmi di rai!
Il tuo veleno versaci perché ci conforti!
Noi vogliamo, tanto questo fuoco il cervello ci brucia,
In fondo all’abisso, Inferno o Cielo, che importa? sprofondare,
In fondo all’Ignoto per trovare del nuovo!
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Riporto una riflessione di Tullio De Mauro posta a conclusione dell’introduzione alla seconda appendice del GRADIT (2007).
Ancora una volta il lavoro lessicografico ci mette dinanzi a una “lingua antica e nuova”, specchio di una società che sa adoperare la sua lingua a pieno regime e, quindi, anche in modo appropriatamente innovativo sia talora attingendo a parole d’altra lingua, come altre grandi lingue dall’inglese al russo fanno anche più largamente dell’italiano, sia formando con propri materiali nuove parole o, come si è detto, dando nuovi sensi alle parole già esistenti. Così, accanto all’uso di parole offerte dal patrimonio di secoli tuttora ben vivo, gli italiani mostrano di saper trovare nel loro parlare anche nuovi strumenti per meglio intendersi ed esprimersi.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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- umanista89
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Re: «Italiano, vecchio capitano…»
A tale catastrofismo, secondo me, risponde lei stesso quando, con larga dose di veridicità, afferma:Marco1971 ha scritto:Ho sempre difeso l’italiano, e continuerò a farlo in questa sede. Ma mi rendo conto che è una lingua pomposa, adatta piú alla lirica, alla poesia, all’arte, che non alla tecnica e alla scienza.
Opino che, coerentemente, se per tutto v'è una fine, vi sarà una fine anche per la tecnica e la scienza. E, citando il buon Battiato, il giorno della fine non ti servirà l'inglese.Marco1971 ha scritto:Per tutto c’è un fine. C’è una fine per tutto.
Re: «Italiano, vecchio capitano…»
Sarà prima o dopo la fine degli studi umanistici?umanista89 ha scritto: vi sarà una fine anche per la tecnica e la scienza.
- umanista89
- Interventi: 39
- Iscritto in data: lun, 14 ago 2006 22:22
Re: «Italiano, vecchio capitano…»
Gli studî umanistici sono stati declassati da tempo. Attendo, con pazienza, il ritorno dell'età dell'oro.Bue ha scritto:Sarà prima o dopo la fine degli studi umanistici?umanista89 ha scritto: vi sarà una fine anche per la tecnica e la scienza.
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Re: «Italiano, vecchio capitano…»
Non condivido questo catastrofismo perché ogni tanto vedo qualcosa che mi conforta anche se la mia visione non riesce a spingersi abbastanza oltre nel futuro per averne conferma rassicurante.Marco1971 ha scritto:La lingua italiana, purtroppo, non ha nessun futuro, se non quello di accrescere il suo lessico di forestierismi crudi.
Ad esempio mi imbatto or ora in un documento tecnico nella comunissima espressione How to keep track of the data (parlando di dati informatici) e vedo in rete 2.280 occorrenze di tenere traccia dei dati; ahi noi, mi dico, lo stupido calco/falso amico continua a diffondersi, anche perché so che nelle traduzioni della funzione Revision di Word to keep track è proprio tradotto con tenere traccia.
Ma poi mi dico: aspetta, controlliamo un po', e sì, ci sono 47.100 occorrenze di seguire i dati, quindi la giusta parola italiana non è dimenticata e anzi viene adoperata.
Ma quale sarà il rapporto tra le due espressioni fra cinque anni? Questo non lo so, ecco perché dico che mi sento un po' confortato ma non interamente rassicurato. Bisognerebbe esaminare centinaia di questi esempi, seguirne le variazioni e cercare di vedere se esiste una tendenza. Ci vorrebbe un tesista di linguistica che si interessi a questo argomento.

Speriamo che qualche tesista ci si interessi. Per il resto, nessuno si curerà piú della valanga di xenismi non adattati, che sono ormai considerati del tutto normali. Estinto tutto, tutto sia, anche l’onor.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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