A Genova dopo una donna sindaco abbiamo per la prima volta una donna prefetto.
Solo che la sindaco, come ha voluto espressamente definirsi, ha creato un precedente spinoso: se lei è la sindaco, la neonominata dovrebbe essere la prefetto. I giornalisti si sono però trovati in imbarazzo di fronte a questa novità, esitano a cavalcare l'analogia e prudentemente si interrogano: il/la prefetto, la prefetta, che altro? E aspettano risposte.
«La sindaco» è un’aberrazione. Quanto a «la prefetta», non istà bene perché, come dice il Battaglia, è termine scherzoso. Anche «la prefettessa» ha perlopiú valore scherzoso. Direi che bisogna dire il sindaco, il prefetto, che sono cariche. Bisogna smettere di pensare che il genere grammaticale maschile rappresenti il sesso maschile (altrimenti un uomo non sarebbe piú una sentinella ma un sentinello); il maschile grammaticale rappresenta la forma neutra, non marcata.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Sono perfettamente d'accordo, caro Marco, che la sindaco sia un'aberrazione.
Mi chiedo però: se Hillary (Rodham) Clinton diventasse presidente degli Stati Uniti d'America, la chiameremmo il presidente o la presidente? Le cariche assumono sempre e comunque il maschile? Non diciamo senatrice e deputata e consigliera? (Io lo dico, ma forse sbaglio )
Certo, quelle forme femminili sancite dalla tradizione ce le teniamo, perché prive di connotazioni discriminanti. Inoltre, le parole in -e, in particolare se participi, si prestano facilmente al femminile: il presidente/la presidente, ma anche il giudice/la giudice (come provvidamente si fece in una serie della Piovra). Ricordo inoltre che, sebbene si dica dottoressa, nel momento in cui viene conferito il titolo, anche una donna è dottore.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Sebbene condivida l'approccio di Marco, segnalo che il Devoto-Oli 2008, per esempio, indica a lemma prefetto 1. s.m. (f. -a). Per cui non si può considerare la prefetta come errato.
Questo dei femminili mi pare uno dei problemi aperti dell'italiano di oggi: nemmeno Serianni ha un chiaro punto di vista in proposito, almeno io nel leggere la sua grammatica non colgo una direttrice netta.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Sí, è verissimo, la questione del femminile dei nomi indicanti professioni è lungi dall’essere risolta. Se n’era parlato in un filone intitolato «La donna negli uffici». A me pare che la femminizzazione da taluni propugnata non serva la causa di chi giustamente si batte per l’uguaglianza tra uomo e donna nel mondo del lavoro: il femminile, in questi casi, accentua maggiormente la differenza, mentre il termine unico, al maschile, appare unificante (e, ripeto, il maschile funge da neutro).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Marco1971 ha scritto: Bisogna smettere di pensare che il genere grammaticale maschile rappresenti il sesso maschile (altrimenti un uomo non sarebbe piú una sentinella ma un sentinello); il maschile grammaticale rappresenta la forma neutra, non marcata.
D'accordissimo con Marco, stiamo parlando di una carica, e secondo me il problema non si dovrebbe neppure porre.
Felice chi con ali vigorose
le spalle alla noia e ai vasti affanni
che opprimono col peso la nebbiosa vita
si eleva verso campi sereni e luminosi!
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In effetti il problema si è posto, a Genova, perché la nostra prima cittadina ha insistito e insiste per essere definita la sindaco. Con la conseguenza che chi non la ama per dispetto la chiama la sindaca.
Mi pare di capire che la questione del femminile dei nomi indicanti professioni e cariche resterà irrisolta per un bel po', tra nomi al femminile che ci teniamo, nomi al maschile con significato neutro, e nomi dall'incerto avvenire: il ministro Anna Rossi o la ministra Anna Rossi? Il segretario del partito Valeria Bianchi o la segretaria del partito Valeria Bianchi?
A proposito di giudice, ricordo che Eleonora d'Arborea viene definita giudicessa. Ma non penso certo che questo debba valere per le donne magistrato di oggi
In effetti. E non credo che sarà mai risolta. Perché? Perché in Italia ognuno fa come vuole, non ci sono regole linguistiche, né accademie che dicano chiaramente, inequivocabilmente, stentoreamente come ci si deve regolare. Basta che l’ultimo giornalista di turno inventi una sciocchezza perché entri nei vocabolari un tempo templi della lingua. Ormai i dizionari racimolano il peggior uso senza dignità alcuna.
Per quanto riguarda i nomi femminili, rimando all’Académie française, di cui trascrivo e traduco questo breve passo:
Comme l’Académie française le soulignait déjà en 1984, l’instauration progressive d’une réelle égalité entre les hommes et les femmes dans la vie politique et économique rend indispensable la préservation de dénominations collectives et neutres, donc le maintien du genre non marqué chaque fois que l’usage le permet. Le choix systématique et irréfléchi de formes féminisées établit au contraire, à l’intérieur même de la langue, une ségrégation qui va à l’encontre du but recherché.
Come sottolineato dall’Académie française nel 1984, il progressivo instaurarsi di una reale uguaglianza fra uomini e donne nella vita politica e economica rende indispensabile la preservazione di denominazioni collettive e neutre, e quindi il mantenimento del genere non marcato ogni volta che l’uso lo permetta. La scelta sistematica ed irriflessa di forme femminizzate stabilisce invece, nello stesso seno della lingua, una segregazione che non è in sintonia con lo scopo ricercato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
CarloB ha scritto:Il segretario del partito Valeria Bianchi o la segretaria del partito Valeria Bianchi?
Decisamente la prima: purtroppo "segretaria" e` uno di quei termini per cui il maschilismo vige ancora imperante: diversamente da "guardia" e "sentinella", se riferito a un maschio viene maschilizzato, ma il contrario (femminilizzazione del segretario di partito, che ha un ruolo - e uno stipendio - ben diverso da quello della sua segretaria) purtroppo non accade.
Per tornare al confronto con il francese, ricordo di aver sentito in una trasmissione televisiva che in Francia esisteva un unico esemplare di sage femme (ostetrica) maschio. Da noi "ostetrica" e` maschilizzabile e maschilizzato. Penso che un equivalente immaschilizzabile sia invece levatrice, o sbaglio?
CarloB ha scritto:Mi chiedo però: se Hillary (Rodham) Clinton diventasse presidente degli Stati Uniti d'America, la chiameremmo il presidente o la presidente?
Io in realtà vorrei che venisse eletta solo per vedere Bill Clinton citato come First Lady…
Sarebbe certamente utile istituire in Italia un Dizionario ufficiale delle professioni, sulla falsariga, per esempio, del Dictionary of Occupational Titles americano (chiedo: esiste nulla di simile, qui da noi?).
Aggiungo che la prefetta è anche la forma consigliata da Alma Sabatini tra le raccomandazioni per un uso non sessita della lingua.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Le Raccomandazioni (del 1987) di Alma Sabatini sono leggibili qui, per chi fosse interessato.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Molte grazie, caro Incarcato, per il rinvio a questo testo che non conoscevo.
A una prima scorsa mi pare ci sia parecchio da commentare. Temo che non mi tratterrò dal farlo.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.