Calchi sintattici

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Calchi sintattici

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Nell'ultimo numero del foglio La Crusca per Voi, Luca Serianni, rispondendo a un quesito sui calchi, cita una tesi di dottorato discussa all'Università di Ginevra il 25 maggio 2007, Innovazioni sintattiche in italiano alla luce della nozione di calco scaricabile. È lunga quasi 300 pagine e non so quando potrò cominciare a darle un'occhiata, ma ho pensato che intanto chi è interessato e ha tempo potrebbe consultarla e magari iniziare a discuterne.

Ho anche osservato, nella bibliografia, il rimando a questo sito L'anglicizzazione della lingua italiana e anch'esso, mi sembra, richiede un certo tempo (che io per il momento non ho) per la consultazione.
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Marco1971
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Tiuned steiamo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971 ha scritto:Tiuned steiamo.
Ma che lingua è? Che significa?
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Marco1971
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Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971 ha scritto:Stay tuned.
In effetti il fatto che il tizio che parla dell'anglicizzazione dell'italiano chiuda la sua presentazione con questo cliché è un po' una profezia che si autoavvera o, se si vuole, una conferma inequivocabile. Un po' come l'inglese che lei e qualcun altro ogni tanto butta qui e lì magari giocosamente, ma che in fin dei conti rivela una certa dipendenza linguistica, l'impossibilità di riuscire a parlare senza condire la propria lingua con un po' di inglese, la necessità di ricorrere a modi di dire inglesi per sottolineare il proprio discorso.
:wink:
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Nessuna dipendenza o impossibilità: io amo l’inglese e mi posso permettere – come quegli altri a cui allude – di usarlo occasionalmente in citazioni (sempre in corsivo) perché lo so scrivere e pronunciare (con ossoniense accento: ho registrato un passo dell’Orlando di Virginia Woolf, si vous êtes preneur). ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971 ha scritto:Nessuna dipendenza o impossibilità: io amo l’inglese e mi posso permettere – come quegli altri a cui allude – di usarlo occasionalmente in citazioni (sempre in corsivo) perché lo so scrivere e pronunciare (con ossoniense accento: ho registrato un passo dell’Orlando di Virginia Woolf, si vous êtes preneur). ;)
Accetto la sua affermazione. Mi resta però il convincimento che lei, come il 99,99% delle persone - che lo parlino più o meno bene - gli dia troppa importanza; non riesce a mantenere il sufficiente distacco perché non vive in un paese anglofono e quindi non lo vede all'opera quotidianamente. Prova ne è la sua tendenza a coniare calchi per veicolare significati magari banali per i quali esistono già termini o espressioni italiane.
:wink:
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Intervento di Marco1971 »

Si ricreda: in casa mia parlo inglese tutti i giorni (e non si tratta di soliloquio). E non sottovaluti la mia conoscenza della lingua di Dante: non creo calchi inutili. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971 ha scritto:Si ricreda: in casa mia parlo inglese tutti i giorni (e non si tratta di soliloquio). E non sottovaluti la mia conoscenza della lingua di Dante: non creo calchi inutili. ;)
La sua conoscenza dell'italiano non la sottovaluto di certo, ci mancherebbe. Muovo solo amichevoli appunti al suo trattamento dell'inglese nei rapporti con l'italiano. Ma sto divagando. Forse possiamo ritornare a discutere non appena avremo dato un'occhiata alla tesi di cui sopra, che ne dice?
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Sí. Appena ci avremo dato un’occhiata. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971 ha scritto:Sí. Appena ci avremo dato un’occhiata. :)
Se scrive questo, allora deve riportare l'intero scambio epistolare che abbiamo avuto in privato, citazione dal libro di Leone inclusa.
:wink:
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