Ventitre o ventitré?
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Ventitre o ventitré?
Il linguista del "Corriere della Sera" in rete, in risposta alla domanda di un lettore, sostiene la non obbligatorietà dell'accento nei numerali composti con tre: cinquantatre.
A me sembra, invece, obbligatorio segnare l'accento perché la maggior parte delle parole hanno la pronuncia piana di conseguenza leggeremmo:
cinquantàtre; ventítre; novantàtre ecc.
A me sembra, invece, obbligatorio segnare l'accento perché la maggior parte delle parole hanno la pronuncia piana di conseguenza leggeremmo:
cinquantàtre; ventítre; novantàtre ecc.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Esatto. Cito Serianni (VI.18):
I composti con tre vanno accentati, indipendentemente dal fatto che tre, da solo, rifiuti l’accento (cosí come da re – senz’accento – si ricava viceré, da me, nontiscordardimé, ecc.: GABRIELLI 1985: 272).
Poi dice che l’uso è oscillante. Ma in questo caso l’uso può anche andare a farsi benedire.

P.S. E non dimentichiamo gialloblú.
I composti con tre vanno accentati, indipendentemente dal fatto che tre, da solo, rifiuti l’accento (cosí come da re – senz’accento – si ricava viceré, da me, nontiscordardimé, ecc.: GABRIELLI 1985: 272).
Poi dice che l’uso è oscillante. Ma in questo caso l’uso può anche andare a farsi benedire.


P.S. E non dimentichiamo gialloblú.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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È vero.
Ma dice comunque «meno bene» per le forme non accentate, e a lemma ha ventitré.
È una questione, una volta ancora, di coerenza del sistema: vogliamo scrivere ventitre? E sia! Ma allora scriviamo anche perche, poiche, benche, ecc., e togliamo pure tutti gli accenti sulle parole tronche: citta, virtu, oblo, pipi, e via disaccentando e deturpando la lingua.

È una questione, una volta ancora, di coerenza del sistema: vogliamo scrivere ventitre? E sia! Ma allora scriviamo anche perche, poiche, benche, ecc., e togliamo pure tutti gli accenti sulle parole tronche: citta, virtu, oblo, pipi, e via disaccentando e deturpando la lingua.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ricordiamoci anche: viceré, autogrú, rossoblú. Insomma tutte le parole composte con un "monosillabo finale" (mi si passi il termine).Marco1971 ha scritto:P.S. E non dimentichiamo gialloblú.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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