«Case sensitive»

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Moderatore: Cruscanti

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Intervento di Freelancer »

Anzitutto lei non legge attentamente quanto ho scritto, le ho appena spiegato sopra perché non c'è motivo di inventarsi *sensibile alla cassa quando esistono già maiuscolo e minuscolo, in secondo luogo fa una gran confusione mettendo sullo stesso piano il calco di un termine generale fatto tanto tempo fa e termini di una lingua speciale, quella dell'informatica. Ma ricominciamo a girare in tondo, quindi forse è meglio smetterla qui.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ma certo, io confondo tutto. Non dia troppo peso a quanto ho scritto. Come sa, non soppeso le parole: scrivo a caso.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Vorrei aggiungere che cassa, in senso tipografico, rimonta al 1585 (‘case’, in inglese, secondo lo Shorter Oxford, è attestato nello stesso periodo, fine Cinquecento [L16]) ed è quindi patrimonio linguistico italiano da oltre quattro secoli. Una citazione di Carena:

‘Cassa’, nome collettivo di due casse di legno, a basse sponde, quadrilunghe, simili, divise in molti spartimenti, nei quali stanno riposti separatamente i caratteri, i segni e altro che occorra per la composizione delle pagine. – ‘Cassa di sopra’... contiene le lettere maiuscole, le accentate, i numeri. – ‘Cassa di sotto’... contiene le lettere minuscole, gli spazi e altro.

Sensibile alla cassa avrebbe dunque tutte le carte in regola, oltre a essere piú snello e elegante rispetto a «che distingue fra maiuscole e minuscole» (riducibile solo scherzosamente a «che distingue le úscole» :D).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Faccio parte di coloro che dicono computer e mouse, ma questa volta sono d'accordo con Marco. Computer e mouse sono entrati nell'uso, e credo sia una battaglia persa tentare di soppiantarli. Ma case sensitive io l'ho sempre letto solo in inglese, quindi con un buon traducente e un po' di buona volontà da parte dei divulgatori lo si potrebbe tranquillamente dire in italiano.
Faccio parte anche di coloro che ritengono che se non si trova un traducente sintetico come l'originale l'operazione si fa difficile, e sensibile alle maiuscole/minuscole mi sembra davvero chilometrico. Sensibile alla cassa non mi dispiace (davvero interessante l'origine di case, che non conoscevo), ma esistendo già in italiano parole composte in -sensibile, perché non cassasensibile?
Basterebbe cominciare a scriverlo nei manuali di informatica, magari con una nota esplicativa, e in poco tempo entrerebbe nell'uso (informatico).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Forse cassasensibile è un po’ troppo ardito: in italiano – credo – le parole composte con -sensibile hanno un prefisso (e cassa prefisso non è): ipersensibile, fotosensibile, ecc.

Ciò detto, io sono per l’introduzione di novità sintattiche (avevo proposto retedipendenza ad esempio), sicché non mi disturberebbe un cassasensibile: riprendendo a orecchio (non le ricordo letteralmente) le parole di Insolera, bisogna svecchiare l’italiano per poter competere con l’inglese.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

In generale però non mi sembra che sensibile a sia «patrimonio linguistico italiano da oltre quattro secoli» come cassa, specie in questa accezione particolare.
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Intervento di Freelancer »

Quindi chi preferisce *sensibile alla cassa per coerenza segua per favore l'inglese nel suo intero percorso storico tipografico-linguistico e cominci a dire alta cassa e bassa cassa anziché maiuscolo e minuscolo, cassa piccola invece di maiuscoletto e così via.
:wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Federico ha scritto:In generale però non mi sembra che sensibile a sia «patrimonio linguistico italiano da oltre quattro secoli» come cassa, specie in questa accezione particolare.
Quanti secoli abbia può anche non avere importanza. Ma sensibile significa anche (cito dal Battaglia):

8. Molto preciso nelle sue funzioni tanto da rilevare variazioni minime (un apparecchio). – Anche in un contesto figur.

Cito l’ultimo e piú moderno esempio fornito, quello di Eco:

È... irrilevante se una macchina sia sensibile al secondo principio della termodinamica o al suo opposto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

Mi chiedo se non siano adeguati traducenti come ricettivo alle maiuscole (credo sia inutile, quasi pleonastico, specificare anche minuscole) o ricettivo ai caratteri speciali, dato che non se n'è fatto parola.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Io mi domando se ricettivo sia acconcio semanticamente. Il concetto è il riconoscimento di certi caratteri, e la definizione di sensibile riportata sopra risponde perfettamente a questo significato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Freelancer ha scritto:Quindi chi preferisce *sensibile alla cassa per coerenza segua per favore l'inglese nel suo intero percorso storico tipografico-linguistico e cominci a dire alta cassa e bassa cassa anziché maiuscolo e minuscolo, cassa piccola invece di maiuscoletto e così via.
Non mi sembra un paragone pertinente: non esiste un'espressione consolidata equivalente a case sensitive.
Marco1971 ha scritto:È... irrilevante se una macchina sia sensibile al secondo principio della termodinamica o al suo opposto.
E che cosa significa questa frase? Non capisco.
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Intervento di Freelancer »

Federico ha scritto:
Freelancer ha scritto:Quindi chi preferisce *sensibile alla cassa per coerenza segua per favore l'inglese nel suo intero percorso storico tipografico-linguistico e cominci a dire alta cassa e bassa cassa anziché maiuscolo e minuscolo, cassa piccola invece di maiuscoletto e così via.
Non mi sembra un paragone pertinente: non esiste un'espressione consolidata equivalente a case sensitive.
Invece esiste, ed è per l'appunto il semicalco sensibile al maiuscolo/minuscolo. Ricordo di aver visto questa espressione agli inizi della carriera, quindi quasi vent'anni fa. Da allora sarà comparsa in innumerevoli traduzioni nel settore dell'informatica. Dato il suo carattere specializzato, non ci si può aspettare di vederne un numero enorme di occorrenze in rete, ma ce n'è abbastanza per confortare questo giudizio. L'altra espressione possibile ma meno frequente, non distingue tra maiuscolo/minuscolo è, per così dire, più italiana, perché non ricorre a nessun calco, per questo io la preferisco. Ma è questione di gusti.

Tornando un momento al semicalco, è chiaro che l'uso di sensibile è stato immediato perché come già osservato in altri interventi non stride, anzi se ne trova almeno un altro esempio sempre nel settore dell'informatica, in sensibile al contesto (context-sensitive) riferito alle guide in linea.
Però chi per primo ha fatto il semicalco da case sensitive si è giustamente fermato alla prima metà perché l'uso consolidato in italiano dei termini maiuscolo/minuscolo anziché di cassa ha quasi imposto la scelta, se posso così dire.

In Purismo e neopurismo Bruno Migliorini ci ha insegnato che le parole - adattamenti o calchi o cavalli di ritorno - vengono più facilmente accolte dai parlanti quando si inquadrano in serie analoghe e ben articolate. Vi ha accennato anche Giovanni Nencioni in Autodiacronia linguistica laddove scrive
Si dà infine anche il caso di parole che vengono preferite ad altre per la loro maggiore produttività derivativa: l'anglofrancesimo esaustivo, ad esempio, consente di formare l'astratto esausitività, mentre l'italianismo esauriente è, per il medesimo fine, sterile. E anche tra due parole schiettamente italiane, come capire e comprendere, il fatto che la seconda, di uso più colto della prima, prenda il sopravvento è certo dovuto alla sua capacità di proliferazione: vedi appunto comprensione, comprensibile, comprensivo, comprensività e finanche lo scherzoso comprendonio, mentre capire, nonostante la sua più acuta intelligenza, se ne sta solo soletto. La fecondità sembra dunque uno dei fattori - ci sia concesso di dire - promozionali della lingua.
Appare dunque chiaro perché urti l'orecchio di un madrelingua che non sia reso ottuso dall'abitudine a procedere per calchi quel cassa che vorrebbe soppiantare due parole produttive - nel loro piccolo, specializzato ambito - come maiuscolo e minuscolo in un altro possibile (anzi, ormai abbastanza diffuso) sintagma. E chiunque non se ne rende conto mostra in questo caso, dispiace dirlo, ridotta sensibilità linguistica.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Appare dunque chiaro perché urti l'orecchio di un madrelingua che non sia reso ottuso dall'abitudine a procedere per calchi quel cassa che vorrebbe soppiantare due parole produttive - nel loro piccolo, specializzato ambito - come maiuscolo e minuscolo in un altro possibile (anzi, ormai abbastanza diffuso) sintagma. E chiunque non se ne rende conto mostra in questo caso, dispiace dirlo, ridotta sensibilità linguistica.
Sentiamo quali sono i derivati di maiuscolo e minuscolo: a parte maiuscoletto non ne vedo. Si può dunque parlare di «parole produttive»?

In inglese normale, maiuscola si dice capital letter e il termine corrente per minuscola è small letter. I termini upper case e lower case sono tipici di àmbiti tipografici.

Riguardo all’ottusità: io credo, caro Roberto, che il suo sia un giudizio condizionato da una sorta di riflesso da traduttore coscienzioso, che rifugge quasi sistematicamente dai calchi. È del tutto giustificabile, ma non appare molto equilibrato prendere solo sé stessi come giudici e sentenziatori dell’universale percezione e sensibilità.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

È chiaro che se dò un giudizio sulla sensibilità linguistica esso non pretende di essere universale; rimane la mia opinione, alla quale ho diritto, tutto qui. Lei è altrettanto libero di dire che rifuggo dai calchi, che è vero fino a un certo punto, perché li accolgo quando non urtano la mia sensibilità linguistica (rieccoci!) o mi sembrano utili. Ho fatto riferimento sia alla produttività sia all'inserimento in una serie analoga; quindi il semicalco di cui parliamo ben si inserisce in una certa serie, il calco completo stride - questa è la mia osservazione.

Le ricordo che mentre Arrigo Castellani non trovava niente di male in brossura, Bruno Migliorini addirittura si augurava che non attecchisse (per motivi morfologici oltre che di inserimento in una serie non esistente); ossia un purista strutturale - come è lei - ricorre immediatamente al calco immediato pure e semplice quando esistono tante altre soluzioni magari più valide, un esempio per tutte il famoso datino proposto da Castellani per handout al quale possiamo contrapporre la più efficace soluzione (secondo me) allegato proposta da Luca Serianni.

Facciamo il punto: ci si vuole opporre a un inutile case sensitive in italiano? La lingua ha le risorse e le parole adatte per farlo (e lo ha già fatto) senza fare ricorso a un improbabile calco globale, mi si conceda l'espressione.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:...ossia un purista strutturale - come è lei - ricorre immediatamente al calco immediato pure e semplice quando esistono tante altre soluzioni magari più valide...
Questo è falso. Non so quante volte l’avrò detto, ma secondo ogni evidenza lei non ha ancora assimilato i criteri del purismo strutturale, che non ricorre sistematicamente al calco (che rientra nel punto 3 qui sotto). Li ricito:
Arrigo Castellani ha scritto:Forestierismi accettabili, cioè compatibili colle strutture della nostra lingua: s’accettano (tango e simili). Forestierismi che non si possono accettare senza cambiamenti: 1) s’adattano (è il caso di filme e simili); 2) si sostituiscono con voci già esistenti (barca che estromette yacht); 3) si sostituiscono con neoformazioni.
Alla base di tutto c’è il criterio principe dell’utilità: serve a colmare una lacuna o è un doppione inutile (challenge non serve perché esiste sfida, ecc.)? Poi si valuta caso per caso quale soluzione appare preferibile.
Freelancer ha scritto:Facciamo il punto: ci si vuole opporre a un inutile case sensitive in italiano? La lingua ha le risorse e le parole adatte per farlo (e lo ha già fatto) senza fare ricorso a un improbabile calco globale, mi si conceda l'espressione.
Come ho detto ieri, per me va bene anche sensibile a maiuscole e minuscole, e non è questo il punto. Il punto è che, oggi, la maggioranza dei parlanti vuole espressioni concise e in parte per questo motivo ricorre all’inglese. Sensibile alla cassa è un calco, sí, ma non sconvolge la lingua italiana, né nella semantica, né nella sintassi, né nella fonetica. Ma se nei manuali si scrive sensibile alle maiuscole e alle minuscole io sono felice e contento. Temo soltanto che si ricorra al prestito integrale, tutto qui.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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