Dal francese décapotable. Esiste la variante decapottabile (secondo me preferibile), ma il GRADIT rimanda alla forma con due P. In italiano esiste anche cappotta, ma come variante meno comune di capotta, che è ancor meno comune del prestito integrale capote («copertura in tessuto impermeabile di carrozze e automobili, che può essere rimossa o ripiegata»).
Si tolgono le doppie dove dovrebbero esserci (piucchepperfetto > piuccheperfetto) e si aggiungono là dove non hanno ragion d’essere. Non è tutto questo un po’ leggero? Poco serio, intendo.
Ora mi si dirà che la forma filologicamente migliore sarebbe decapotabile, e io concorderei con chi mi movesse tale obbiezione. Ma risponderei che la doppia T si giustifica anche solo per un motivo di coerenza interna: -potabile fa pensare all’acqua che si può bere; aggiungendo deca- sarebbe lecito arrivare a un’associazione del tipo «che può bere/contenere dieci litri d’acqua [potabile]».
Ma il nòcciolo della questione è l’incoerenza e la mancanza di normatività, che conduce all’accettazione di forme concorrenti per nulla funzionali in un sistema linguistico efficiente.
«Decap[p]ottabile»
Moderatore: Cruscanti
«Decap[p]ottabile»
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Infatti l’ho letto scritto cosí in un libro tradotto dall’inglese che la cara Arianna sta leggendo, e subito le ho detto: «Che strano!» Poi ho controllato e per questo ne ho scritto qui.
Concordo con lei: foneticamente fluisce meglio con una sola P.
Concordo con lei: foneticamente fluisce meglio con una sola P.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ripensandoci – dopo aver consultato altri vocabolari, che parlano tutti di ‘cappotta’ – trovo di gran lunga preferibile scappottabile.
(Scappottare è registrato in tal senso.)

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Cappottarsi
Direi che il maggior affermarsi di queste varianti con raddoppiamento si debba (fino a curiosamente giusto un opposto del contesto semantico per il verbo "cappottare/cappottarsi", che vale "a testa in giù") a un certo imporsi del termine "cappotta" con sentimento di "copertura" piuttosto che "capotta" nel senso di "in capo".
Inteso che nell'un caso è un riferirsi con derivazione dal tardolatino "cappa" (cfr "cappello" "cappuccio" "cappotto"...), nell'altro appunto dal basilare "caput" (la germinazione tra questi dell'una dall'altro peraltro non così diretta e scontata).
Inteso che nell'un caso è un riferirsi con derivazione dal tardolatino "cappa" (cfr "cappello" "cappuccio" "cappotto"...), nell'altro appunto dal basilare "caput" (la germinazione tra questi dell'una dall'altro peraltro non così diretta e scontata).
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