«Si è voluta/o fornire la trascrizione»: non riesco a risolvere il dubbio sulla desinenza del participio: è maschile o femminile? Il Serianni mi dice che «con un verbo impersonale o con un costrutto fondato sul "si passivante", il participio è invariabile, nella forma del maschile singolare». Questo, secondo voi, è il caso?
Aspetto con trepidazione, grazie!
Intervengo ancora, dopo aver di nuovo compulsato il Serianni che, al paragrafo 57 della sua Grammatica, pone il dubbio sulla funzione del "si" passivante con un verbo transitivo. Leggo quanto segue: «Nei tempi composti il participio ha desinenza femminile se l'oggetto è femminile ("si è servita una bibita")». Nel caso in oggetto c'è l'intervento del servile "volere": la norma si estende anche ad esso?
Si è risposto da sé consultando la grammatica di L. Serianni: col siimpersonale il participio è invariabile, quindi Si è voluto fornire la trascrizione.
Il participio invece concorda quando si ha un riflessivo, come nel seguente esempio leopardiano:
Incaricai Paolina di ringraziarla caramente dei formaggi, e della scatola, di cui ella si è voluta privare per amor mio...
Si sarebbe potuto dire ...aveva voluto privarsi.
E, come nel suo esempio della bibita, anche col sipassivante si ha concordanza:
Si è servita una bibita. (= Una bibita è stata servita.)
Si sono servite delle bibite. (= Delle bibite sono state servite.)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
No: nella frase Si è voluto fornire la trascrizione abbiamo un siimpersonale (= «Noi abbiamo voluto fornire»), e quindi il participio rimane obbligatoriamente invariato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Sì, ha ragione, caro Marco: l'impulsività, la fretta («che l'onestade ad ogn'atto dismaga») non mi hanno permesso di fermare il pensiero. Mi scuso e la ringrazio.
Ne approfitto per ricordare questa scheda dell’Accademia.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.