«Delinking»

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Federico
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«Delinking»

Intervento di Federico »

Sempre Tonino Perna 1998:
Certo, c'è anche il rovescio della medaglia, frutto perverso dello stesso meccanismo [di globalizzazione]: le guerre etniche, di secessione, il delinking delle aree forti.
Che significa?
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Re: «Delinking»

Intervento di Infarinato »

Federico ha scritto:
…il delinking delle aree forti.
Che significa?
Dissociazione, disaccoppiamentose mal non m’appongo.
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Federico
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Intervento di Federico »

E infatti l'ho già sentito usare in questo senso a proposito di disaccoppiamento di pil e consumo delle risorse ecc., ma non capisco che significhi «delinking delle aree forti» (dopo aver parlato di secessione): una sempre maggiore distanza fra le aree forti e ricche e quelle povere?
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Intervento di Infarinato »

Federico ha scritto:…ma non capisco che significhi «delinking delle aree forti» (dopo aver parlato di secessione): una sempre maggiore distanza fra le aree forti e ricche e quelle povere?
Non lo capisco nemmeno io (bisognerebbe che mi leggessi un bel po’ di scritti del Nostro, visto che anche il contesto non pare esser di grande aiuto): nel caso fosse vera la sua ipotesi, io avrei allora scritto «dalle aree forti». Potrebbe anche trattarsi del «disaccoppiamento delle aree forti tra di loro», ma siamo, appunto, nel campo delle congetture… :roll:
CarloB
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Intervento di CarloB »

Forse il delle si giustifica perché si intende che sono le aree forti a volersi staccare, a voler allentare il legame con le altre, come dice Federico. Un po' come quando la Repubblica Ceca si staccò dalla Slovacchia, considerandola una palla al piede. In questo senso l'eventuale secessione del Lombardo-Veneto da qualcuno auspicata sarebbe un caso nostrano di delinking.
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Intervento di Infarinato »

CarloB ha scritto:Forse il delle si giustifica perché si intende che sono le aree forti a volersi staccare, a voler allentare il legame con le altre…
La vostra interpretazione ha senz’altro piú senso… ma allora si potrebbe forse dire proprio dissociazione (discostamento, distacc[ament]o, allontanamento,…) o, piú esplicitamente, secessione, appunto.
CarloB
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Intervento di CarloB »

La butto lì. Secessione ha un significato abbastanza preciso: una parte di uno stato, generalmente minoritaria a vario titolo, si stacca dall'insieme. Gli stati del Sud dagli Stati Uniti d'America nel 1861; il Biafra dalla Nigeria negli anni '60 del Novecento (qualcuno se lo ricorda?). Già il distacco di Repubblica Ceca e Slovacchia fu una novità e un'eccezione, perché era la parte maggioritaria (demograficamente, territorialmente ed economicamente) del paese che voleva far parte per se stessa.
Quello di delinking mi pare un concetto più fluido e indeterminato. In fondo si potrebbe verificare nell'Unione Europea, che non è uno stato vero e proprio. Oppure si potrebbe verificare in modo informale all'interno di uno stato esistente. Ad esempio la Catalogna, che chiede il controllo pieno sulle sue entrate fiscali, può pensare di stabilire legami più stretti con altre aree europee che non con il resto della Spagna.
Non saprei proporre una traduzione precisa. Distanziamento, distacco mi sembrano più adatti che non secessione.
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Federico
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Intervento di Federico »

CarloB ha scritto:Non saprei proporre una traduzione precisa. Distanziamento, distacco mi sembrano più adatti che non secessione.
Oppure allontanamento, divaricazione (cfr. divario, per gli anglofoni gap).
Insomma, qualunque cosa volesse dire, avrebbe facilmente potuto essere piú chiaro.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

CarloB ha scritto:Forse il delle si giustifica perché si intende che sono le aree forti a volersi staccare [...] Un po' come quando la Repubblica Ceca si staccò dalla Slovacchia, considerandola una palla al piede.
È possibile parlare di sganciamento?
CarloB
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Intervento di CarloB »

È possibile parlare di sganciamento?
In effetti.... Parrebbe trattarsi proprio di questo.
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Anche qui, se ci riporta quello che si dice un po' prima e un po' dopo...
Comunque, qualunque ipotesi sia quella esatta, usando l'anglismo s'è solo fatta confusione. (Come spesso càpita.)
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Federico
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Intervento di Federico »

Ne sono felice. Un estratto dalle pp. 26-28 (molto rapido, scusate le imprecisioni).
d) Il dominio dell'economia finanziaria sull'economia reale. La degenerazione del capitalismo in economia di carta che serve a drenare il surplus da tutto il mondo e consegnarlo nelle mani di pochi parassiti era, com'è noto, una tesi forte presente negli scritti di Hilferding e Lenin all'inizio del secolo. Oggi il fenomeno ha assunto connotati diversi, con rilevanti conseguenze sul piano dell'economia reale e delle istituzioni nazionali.
Innanzi tutto, registriamo un incredibile salto quantitativo che comporta un mutamento qualitativo del rapporto tra economia monetaria ed economia reale. Il fatto che ogni giorno si scambiano nel mondo qualcosa come 1500 miliardi di dollari (più del valore del reddito nazionale italiano!) e che solo il 2 per cento di questi flussi monetari corrisponde a contropartite di scambi in merci, la dice lunga sul peso raggiunto dalla sfera monetaria nel capitalismo contemporaneo. Mai, come in quest'ultimo decennio, il capitale finanziario era stato, in proporzione alla produzione mondiale, così elevato e così libero di muoversi dove più gli aggrada. Lo spiega bene l'economista Chossudovsky:
Nel 1995, le transazioni valutarie giornaliere (1500 miliardi di dollari) superavano in valore le riserve di tutte le banche centrali del pianeta (1202 miliardi). In altre parole, gli «speculatori istituzionali» detengono sulle riserve un potere molto superiore a quello degli istituti di emissione. I quali non sono più in grado, né individualmente né collettivamente, di lottare contro la speculazione.
In sostanza si è rovesciato il rapporto tra moneta e produzione di beni e servizi (come vedremo nel secondo capitolo) e questo mutamento qualitativo ha un peso enorme sulla legittimità delle istituzioni nazionali (banche, governi ecc.). Nessun paese al mondo, neanche gli Stati Uniti, può scegliere una via allo sviluppo che contrasti radicalmente con gli interessi del capitale finanziario. Per esempio, una politica di redistribuzione del reddito che tassasse i capital gains produrrebbe una fuga di capitali dalla borsa e dalle istituzioni finanziarie di quel paese con una serie di conseguenze disastrose: svalutazione della moneta, inflazione, caduta degli investimenti produttivi, crescita della disoccupazione ecc.
Nell'era della libera circolazione dei capitali le autonomie nazionali si riducono fortemente e mettono in discussione la stessa categoria di Stato-nazione` nata in Europa nel secolo xv: uno Stato che non può controllare il valore della propria moneta, espressione suprema della sovranità, perde legittimità e potere con tutte le conseguenze che sono sotto i nostri occhi (guerre etniche comprese).
Dagli elementi e considerazioni di cui sopra emergono alcune prime conclusioni e molte domande. La globalizzazione, per cominciare, ci appare come un processo di lungo periodo che caratterizza la storia del capitalismo contemporaneo. Ciò non significa che non stiamo vivendo una fase storica caratterizzata da grandi e rilevanti novità. Abbiamo visto come c'è un livello politico-culturale e ideologico che non va sottovalutato, così come c'è la dura realtà di una «globalizzazione finanziaria» (Plihon, 1997) che pesa come un macigno sulla vita d'intere popolazioni. C'è una visione della globalizzazione che ha aspetti mitologici: una partecipazione alla spartizione della torta che è smentita dai dati. Ma c'è anche un approccio demonizzante che rischia di non farci cogliere le grandi e nuove opportunità che si aprono.`
La globalizzazione, infatti, comporta, per reazione, la nascita di grandi e crescenti «mercati comuni» (Unione Europea, NAFTA, Mercosur ecc.),` aree di libero scambio che tendono, inevitabilmente, a unificare anche - come sta avvenendo a livello europeo - le monete e le istituzioni politiche. Stati e nazioni che si erano scontrati per secoli, che avevano prodotto guerre devastanti - il migliore esempio rimane sempre la vecchia Europa - sono costretti, per difendersi dagli artigli dei mercati finanziari, a vivere e lavorare insieme. Certo, c'è il rovescio della medaglia, frutto perverso dello stesso meccanismo: le guerre etniche, di secessione, il delinking delle aree forti (Perna, 1994, cap. 5). Ma, grandi sono le-opportunità che si offrono alle nuove organizzazioni sociali, come vedremo meglio nel terzo capitolo, per ridisegnare il «villaggio globale», per costruire un'alternativa che coniughi «locale e globale» in una molteplicità di networks, di scambi culturali e di lotte comuni che, nel rispetto della biodiversità locale, costruisca un mondo più vivibile. Se le vie nazionali (al socialismo, a un altro modello di sviluppo ecc.) sono morte per sempre, c'è ormai un'ampia consapevolezza che occorrano nuove organizzazioni popolari e istituzioni su base internazionale per opporsi efficacemente alla polarizzazione sociale che avanza.
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

L'espressione m'è poco chiara.
Con delinking, in senso assoluto, spesso s'intende la spinta di zone e comunità economiche al rifiuto del modello di mercato in favore di scelte di tipo autarchico.
Questo per delinking.

A questo punto il dubbio rimane sul concetto di area forte, però c'è anche il riferimento all'opera di Perna...
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Avatara utente
Federico
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Intervento di Federico »

Incarcato ha scritto:L'espressione m'è poco chiara.
Con delinking, in senso assoluto, spesso s'intende la spinta di zone e comunità economiche al rifiuto del modello di mercato in favore di scelte di tipo autarchico.
Questo per delinking.
Grazie.
Incarcato ha scritto:però c'è anche il riferimento all'opera di Perna...
...che però non ho voglia di cercare, anche se qui a Milano sembra essercene una copia.
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