bubu7 ha scritto:Sull’adozione, ai giorni nostri, di una variante non è certo un dizionario storico che può darci il consiglio migliore. O meglio, le sue diciture vanno attentamente interpretate. Il rara del Battaglia oggi si dovrebbe leggere come ‘variante rara nella nostra tradizione letteraria’; questa indicazione noi la possiamo completare consultando i vocabolari dell’uso la maggior parte dei quali non riporta la variante incriminata.
Lei sta facendo l’esatto opposto di quello che consiglio io (e chi piú di me è autorevole): si rimette ai dizionari dell’uso e segue le loro indicazioni, che nulla hanno di normativo. Adotta, insomma, un atteggiamento conformista. Quel che dico io – come lei ben sa – affonda le radici nella filosofia del neopurismo:
Bruno Migliorini, in ‘Purismo e neopurismo’, ha scritto:Una nozione non ha bisogno di essere espressa con una parola italiana finché si tratta di nozioni esclusive [sott. mia] di altri popoli (oggetti, usi, titoli, ecc.). Chi scrive harakiri o tomahawk può adoperare la voce straniera, senza bisogno d’assimilarla: chi si sforza di conoscere l’uso o l’oggetto esotico si sforzi anche d’imparare anche il nome.
Ma non appena la conoscenza si fa piú approfondita e l’uso piú frequente, sarebbe desiderabile che cominciasse ad apparire una forma italianizzata. Accanto alla forma norvegese fjord si usa oggi frequentemente fiordo: il termine, pur riferendosi a una particolarità geografica locale, si conosce largamente per spedizioni e crociere nordiche, è applicato come termine geografico generale, ecc. Ma perché non s’è italianizzato iceberg in *isbergo? L’analogia lo avrebbe facilmente sostenuto (cfr. Islanda e Spilimbergo) solo che un esploratore o un giornalista l’avesse lanciato.
Se Migliorini si fosse attenuto alle indicazioni dei dizionari dell’uso, non ci avrebbe di certo regalato, ad esempio,
autista e
regista, parole «strane» e allora non registrate poiché uscite dal suo cervello.
bubu7 ha scritto:La lingua italiana non è obbligata, per mantenersi in salute, a adattare tutti i forestierismi che riceve. Essa ha diverse strategie tra cui scegliere.
Su questo siamo d’accordo, almeno in parte: l’assimilazione riguarderebbe unicamente i termini stranieri
indispensabili (
cauboi, ecc.) e di diffusione internazionale.
bubu7 ha scritto:In questo caso, a mio giudizio, la soluzione migliore è lasciare invariato il forestierismo (neanche tanto ostico) per il senso proprio del termine e seguire le indicazioni del Gabrielli che giudica disusata la variante clano e ci sommerge di un profluvio di sinonimi da usare, caso per caso, per il senso traslato (sinonimi da alternare, volendo, a un uso moderato di clan): gruppo, brigata, famiglia, compagnia, congrega, banda, setta, chiesuola, cricca, conventicola, combriccola, casta, classe…
In questo modo, il forestierismo perde gran parte della sua virulenza.
Clan rientra nella casistica riportata sopra nel brano miglioriniano e pertanto non c’è motivo linguistico per non adattarlo. Il Gabrielli, in fatto di forestierismi, sembra che avesse le idee poco chiare e si lasciasse andare a giudizi personali privi di fondamento scientifico, come quando giudica ‘brutta’ o ‘inutile’ una forma italianizzata a cui il suo orecchio non è avvezzo. Naturalmente concordo – nel caso in esame – sulla raccomandazione di avvalersi, per il senso traslato, del proposto ventaglio di sinonimi. Ma, per il senso proprio,
s’avea a far «clano».
