Leggo in un'intervista questo botta e risposta:
«"Allora, il leader africano verrà a Roma?". "Dopo la firma del trattato non ci saranno motivi di impedimento a venire in Italia"».
Trovate giusta quella finale implicita? Non rischia di perdersi il soggetto logico, cioè "chi" deve venire? Io userei a che venga, ma qualcuno mi avverte che è una locuzione non molto amata da certi studiosi.
La locuzione «a che»
Moderatore: Cruscanti
Sono d’accordo con lei, ma è lingua parlata, e nel contesto si capisce comunque di chi si sta parlando.
Riguardo a a che: chi ne sconsiglia l’uso e perché?
Riguardo a a che: chi ne sconsiglia l’uso e perché?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Per qualche ragione Leo Pestelli:Marco1971 ha scritto:Riguardo a a che: chi ne sconsiglia l’uso e perché?
Leo Pestelli (in [i]Parlare italiano[/i]) ha scritto:E via anche la balorda congiunzione a che (« Tutti hanno interesse a che sia fatta giustizia »). La particella A non ci ha che vedere; e il duro, dicasterico « a che » può essere benissimo sostituito con Affinché Acciocché o meglio ancora dal semplice Che, per chi non abbia perduto (ma purtroppo si perde) il gusto dell’ellissi.
« Laonde sconsolato, piangendo guardava d’intorno, dove porre si potesse, che addosso non gli nevicasse »: cosí il Boccaccio.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Giusto:bartolo ha scritto:Ricordo anche che Serianni, nella Grammatica che ora non ho sotto mano, accennava a una qualche diffidenza da parte di alcuni grammatici...
La locuzione a che, di diffusione tardo-ottocentesca, suscitò la censura dei grammatici del tempo (Fanfani-Arlia 1881:9; Fornaciari 1881:377, ecc.). (XIV.126d)
Tale censura, di dubbia motivazione, non ha [piú] ragion d’essere.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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