Rispolvero questo filone perché ho notato che ATTENZIONARE, ahimè, è registrato anche nel Gabrielli in rete. Non so in quello cartaceo bivolume.
Se il cartaceo non lo attesta Aldo Gabrielli si starà rivoltando nella tomba...
«Attenzionare»
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Nel bivolume non c’è, né poteva esserci: il verbo attenzionare è attestato dal 2001, è di basso uso e limitato – secondo il GRADIT – al linguaggio burocratico.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Si veda qui
Mi sembra che il collegamento precedente non funzioni sempre. Si provi con questo: http://www.treccani.it/Portale/sito/lin ... onare.html
Mi sembra che il collegamento precedente non funzioni sempre. Si provi con questo: http://www.treccani.it/Portale/sito/lin ... onare.html
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Attenzionare è stato oggetto di una risposta sul foglio della Crusca, che però non è stata messa in rete, quindi occorrerebbe trascriverla, purtroppo non ne ho il tempo adesso.
Ecco qua, ho usato lo scanner, quindi potrebbe esserci qualche errore ortografico. La risposta è di Marina Bongi e risale all'ottobre 2004:
Ecco qua, ho usato lo scanner, quindi potrebbe esserci qualche errore ortografico. La risposta è di Marina Bongi e risale all'ottobre 2004:
Idem per una parola correlata, attenzionalità, sulla quale ha detto qualcosa Giovanni Nencioni sempre sul foglio La Crusca per voi. La risposta di Giovanni Nencioni a una signora che diceva di non avere trovato attenzionalità nei dizionari risale all'ottobre 1997:Il verbo attenzionare non è registrato nei vocabolari sincronici né in quelli storici della lingua italiana consultati; tuttavia, pur avendo recentemente acquisito una nuova vivacità nell’uso, non può essere considerato un neologismo, dal momento che il Dizionario del nuovo italiano di C. Quarantotto (Roma, Newton Compton, 1987) lo lemmatizza riportando, all’interno della definizione. un riferimento bibliografico che risale agli anni ’60: «v. tr. Sottoporre all’attenzione. Citato da Gino Palletta (Dizionario della politica italiana, Pisani, 1964) che lo definisce ‘mostriciattolo’ del lessico burocratico, trasferitosi tuttavia, talora, nelle aule parlamentari». Attenzionare, dunque, fa parte di quei verbi utilizzati principalmente in ambito tecnico-specialistico e massimamente nel linguaggio burocratico, passati poi al linguaggio politico e da questo, eventualmente, a settori contigui quali il linguaggio giornalistico o dell’economia e, grazie all’influenza esercitata dai media, anche nel linguaggio comune. In corrispondenza di un sostantivo molto frequente nell’uso, può nascere in una lingua l’esigenza di avere a disposizione il corrispettivo semantico nella categoria grammaticale del verbo e viceversa, anche se non tutte le neoformazioni risultano necessarie o ben formate.
Vediamo più accuratamente il caso di attenzionare. Rispetto ad altri verbi denominali, attenzionare è diverso perché non equivale a ‘sottoporre qualcuno’, bensì ‘qualcosa’, cioè cambia il referente dell’azione del verbo. Il sostantivo attenzione dà luogo a molte locuzioni verbali: fare/prestare attenzione (‘stare attento a qualcosa/ a qualcuno’), fare attenzione, con valore interiettivo(‘esortare qualcuno a stare attento’) e, specialmente al plurale, avere attenzioni per qualcuno significa ‘coprire qualcuno di premure’.
Attenzionare si inserisce tra tutti questi significati, ma non è sinonimo di nessuno perché è transitivo ed esprime il significato di ‘sottoporre qualcosa all’attenzione di qualcuno’. Anche dal punto di vista grammaticale, la formazione attenzionare non è scorretta perché segue la flessione morfologica dei verbi denominali della prima coniugazione. Probabilmente, il fatto che questo verbo sia nato e sia normalmente usato in ambito burocratico fa sì che esso venga percepito, al di fuori dei settori nei quali comunemente si usa, come scorretto o, quanto meno, cacofonico; dal momento, perciò, che il verbo attenzionare è usato soltanto nel gergo tecnico degli uffici e nelle sedi amministrative piuttosto che nel linguaggio comune, non parlerei di "abuso" perché questo termine implica un uso eccessivo e, soprattutto, in situazioni e in ambiti inadeguati. Le stesse riflessioni si potrebbero fare per altre forme verbali che hanno avuto ultimamente un rilancio nell’uso di alcuni ambiti settoriali come urgenzare, coniato, secondo il GRADIT (Grande Dizionario Italiano dell’Uso, a cura di Tullio De Mauro, Torino, UTET, 1999 -2000 con aggiornamento del 2003) nel 1935, in epoca fascista, col significato di ‘sollecitare con urgenza’ e ingressare usato nell’ambito della biblioteconomia col significato di ‘registrare un libro acquisito dalla biblioteca’. Sia attenzionare sia urgenzare hanno una costruzione transitiva che prevede una ‘cosa’ e non una ‘persona’, come oggetto diretto: "io ti attenzione questa pratica" e "il direttore urgenza questa pratica". Questi verbi non pare abbiano avuto finora una rilevante diffusione nel linguaggio comune; tuttavia, sulla base dei dati emersi da una ricerca libera su Internet, possiamo fare alcune considerazioni in merito alla distribuzione di attenzionare nella nostra lingua: in primo luogo, notiamo che i siti che contengono questa forma verbale (circa 699) sono, per la massima parte, siti a carattere politico, amministrativo, medico, burocratico. giornalistico, dato che conferma quello che abbiamo già evidenziato; in secondo luogo, emerge che un numero consistente dei siti in cui viene utilizzato il verbo attenzionare è legato alla Sicilia: siti della regione e di comuni siciliani, testate giornalistiche regionali e siti di altro genere o argomento ma sempre legati alla regione Sicilia.
Questa particolarità può essere dovuta al fatto che il verbo attinziunari è attestato nel dialetto siciliano, come conferma il Vocabolario siciliano a cura di G. Piccitto (Catania-Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1977) in cui il lemma, marcato come ‘antiquato’, è registrato con il significato di ‘rendere ossequio a qualcuno; fare a qualcuno una visita di omaggio’. Attinziunari e attenzionare sono formalmente equivalenti (ma non semanticamente), con la sola differenza che nel verbo siciliano l’oggetto diretto è una persona, mentre nel verbo italiano è piuttosto una cosa. Recentemente, il participio sostantivato del verbo attenzionare è entrato, con molta probabilità dal gergo delle questure e delle caserme, nel linguaggio giornalistico (fonte: www.repubblica.it e www.corriere.it) con una sfumatura ancora diversa rispetto a quelle finora considerate: gli attenzionati sarebbero le persone sottoposte ad un’intensa sorveglianza da parte delle forze dell’ordine, con particolare riferimento a coloro che sono sospettati di collaborare o di far parte di gruppi terroristici e, comunque, persone considerate di particolare pericolosità per la comunità internazionale.
La formazione di nuove parole con i molti prefissi e suffissi di cui dispone l’italiano è una delle virtù creative della nostra lingua e non può essere limitata dalla registrazione nei dizionari. Nessun dizionario registra tutto il lessico italiano né può tenere il passo con la creatività dell’uso linguistico. L’unico criterio per distinguere il neologismo accettabile è la sua necessità significativa. Il suffisso complesso -alità, per fare un esempio calzante con la domanda, è generativo di astratti e superastratti, dei quali è famelica la cultura moderna; un esempio: da funzione che è un astratto, diciamo così, di primo grado, e dal suo derivato aggettivale funzionale, esce funzionalità, che indica la qualità di essere funzionale. In altri casi il suffisso -alità non è collegabile al sostantivo che indirettamente: sindacalità, la qualità di essere sindacale, non risale formalmente alla base sindacato. Data dunque la formale ampiezza delle neoformazioni derivative, il loro principale freno non sarà di natura morfologica ma logica: bisognerà verificare se la nuova parola in cui c’imbattiamo, o siamo tentati di proporre noi stessi, è veramente opportuna o necessaria nel quadro della sua famiglia lessicale; se, cioè, riempie un vuoto createsi col sorgere di nuovi concetti. Per esempio: è di recente coniazione il neologismo direzionalità, che non è superfluo e ingombrante doppione di direzione, ma indica l’attitudine a dirigere e la sua qualità: "La direzione di quell’azienda è in mano a persona di debole e antiquata direzionalità". Concludendo: prima di accettare nel nostro dizionario mentale la parola attenzionalità, che ha colpito la signora Degl’Innocenti, dobbiamo domandarci: la sua presenza è giustificata? Se noi non vediamo occasioni nostre per usare quell’astratto, possono esserci campi di attività diverse dalle nostre, per es. pedagogiche o psicologiche, in cui quel vocabolo assuma un preciso compito tecnico? Non potrebbe uno scolaro essere dichiarato scarso di capacità di attenzione, cioè scarso di capacità attenzionale, quindi - creando un astratto di sapore professionale - di attenzionalità? Le vie della lingua, come quelle della Provvidenza, sono infinite.
Grazie, Roberto. Nel GRADIT troviamo anche attenzionalità (1995), «capacità di suscitare attenzione». Stranamente, il verbo attenzionare non ha il significato di cui si parla nella risposta qui sopra (ed è riferito a persone): «nel linguaggio burocratico, avvisare, allertare: a. le forze dell’ordine». 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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