È vero che è discorso indiretto libero (ma che nome stupido, però), ma del resto metà del libro è cosí.Perché lui, no: dava ragione alle banche, la Cassa Agricola di Ferrara compresa, pronte a concedere i loro finanziamenti a chicchessia, addirittura a un Bellagamba, ma non a certi «relitti del passato» – come c'era caso di leggere perfino su giornali governativi tipo il Giornale dell'Emilia –.
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Come sempre, si trovano le cose solo quando non le si cerca. Da L'airone, di Bassani, uno dei tanti esempi possibili:
Ultima modifica di Federico in data dom, 28 mag 2006 15:26, modificato 2 volte in totale.
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Che cosa cercava?Federico ha scritto:Come sempre, si trovano le cose solo quando non le si cerca. Da L'airone, di Bassani, uno dei tanti esempi possibili:È vero che è discorso diretto libero (ma che nome stupido, però), ma del resto metà del libro è cosí.Perché lui, no: dava ragione alle banche, la Cassa Agricola di Ferrara compresa, pronte a concedere i loro finanziamenti a chicchessia, addirittura a un Bellagamba, ma non a certi «relitti del passato» – come c'era caso di leggere perfino su giornali governativi tipo il Giornale dell'Emilia –.
Quale nome è stupido?
Intendeva discorso indiretto libero?
Grazie,
Uri Burton
Caspita, quel rosso scuro è troppo scuro: era la sequenza «–.»Uri Burton ha scritto:Che cosa cercava?
Sí, sí, indiretto...Uri Burton ha scritto:Quale nome è stupido?
Intendeva discorso indiretto libero?


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LINEETTA. DIL.
Caro Federico,
per un uso disinvolto e spregiudicato della lineetta potrebbe leggere Vittorio G. Rossi.
Se invece le interessa il discorso indiretto libero (e i modi di narrare) e se legge agevolmente l'inglese, le consiglio questo studio del tedesco Manfred Jhan QUI.
Se poi la cosa le interessa al punto da essere disposto a spendere l'equivalente in euro di 104 sterline le direi di acquistare The Fictions of Language and the Languages of Fiction dell'austriaca Monika Fludernik (Londra: Routledge, 1993].
Cordialmente,
per un uso disinvolto e spregiudicato della lineetta potrebbe leggere Vittorio G. Rossi.
Se invece le interessa il discorso indiretto libero (e i modi di narrare) e se legge agevolmente l'inglese, le consiglio questo studio del tedesco Manfred Jhan QUI.
Se poi la cosa le interessa al punto da essere disposto a spendere l'equivalente in euro di 104 sterline le direi di acquistare The Fictions of Language and the Languages of Fiction dell'austriaca Monika Fludernik (Londra: Routledge, 1993].
Cordialmente,
Uri Burton
Quest’esempio pirandelliano potrebbe dipendere da una scelta tipografica della casa editrice: nella raccolta di novelle La giara («La camera in attesa», Ed. Scol. Mondadori, Collana l’Airone, 1965, p. 292), trovo invece quest’esempio:
Bisognerebbe vedere com’era nel manoscritto. Comunque, nella mia edizione del Giardino dei Finzi-Contini c’è in effetti questa sequenza di lineetta (da inciso, non da discorso diretto) seguita dal punto; ma è un uso dal quale rifuggono i linguisti e gli scrittori piú attenti ai particolari tipografici della pagina stampata.C’è un’altra, c’è un’altra – non qua, nella casa, ma che nella casa, forse domani, chi sa! potrebbe essere la regina – Claretta, la fidanzata del fratello – c’è lei, sí purtroppo, che fa pensare al tempo che passa.
Magnifico! Con questo esempio ha dimostrato esattamente quello che ipotizzavo, cioè che quando la lineetta indica solo un cambio di tono non viene chiusa, ma quando invece rappresenta un inciso vero e proprio sí.
Cosí almeno la interpreto...
Poi naturalmente potrebbe essere un errore di stampa, e di certo Pirandello non adopera le lineette in maniera molto ortodossa, ma del resto non ho mai negato che non è un uso normale.
Cosí almeno la interpreto...
Poi naturalmente potrebbe essere un errore di stampa, e di certo Pirandello non adopera le lineette in maniera molto ortodossa, ma del resto non ho mai negato che non è un uso normale.
Nell’edizione citata, viene fatta una distinzione tra la lineetta lunga (m), adoperata nei dialoghi, e una meno lunga (n) per gl’incisi. Non sarei cosí frettoloso nelle conclusioni, prima d’aver consultato i manoscritti (che comunque rivelerebbero solo l’uso specifico dell’autore e non la norma attuale). Con ciò non voglio negarle l’uso della sequenza a me invisa; se le garba, l’impieghi pure.
Purtroppo l'edizione che ho citato io non vanta una simile ricercatezza...Marco1971 ha scritto:Nell’edizione citata, viene fatta una distinzione tra la lineetta lunga (m), adoperata nei dialoghi, e una meno lunga (n) per gl’incisi.
Non voglio essere frettoloso, non sia mai. Comunque non intendo certo tentare (capziosamente) di dimostrare che quest'uso faccia parte della «norma attuale», ma solo la sua legittimità comunicativa, per cosí dire.
Mi è capitato un altro esempio – lo cito solo perché ormai stiamo compilando un bel campionario –, in un libro molto piú recente: Gustavo Zagrebelsky, Principî e voti, Einaudi Vele 2005. Zagrebelsky ha, fra l'altro, una scrittura molto attenta (si noti ad esempio l'accento circonflesso); a pagina 120 si legge:
Basti il richiamo al passo del De Republica di Cicerone, dove Scipione l'Africano definisce la res publica – espressione fungibile come res populi e normalmente resa con “stato” per evitare gli equivoci che nascerebbero dalla moderna contrapposizione tra repubblica e monarchia, contrapposizione che presuppone un mutamento di significato del primo termine il quale, originariamente, era neutro rispetto alla questione di chi fosse il detentore del potere –.
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due punti "doppi"
In Revolutionary Road di Richard Yates, edito da miniumum fax, a pag. 167 si legge:
«È stato così che noi due abbiamo accettato quest'enorme illusione, perché di questo si tratta: un'enorme, oscena illusione: l'idea che, una volta messa su famiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e "sistemarsi".»
Di là dalle personali scelte stilistiche dell'autore, certamente funzionali alle sue intenzioni narrative, è corretto un doppio uso consecutivo dei due punti?
Grazie.
«È stato così che noi due abbiamo accettato quest'enorme illusione, perché di questo si tratta: un'enorme, oscena illusione: l'idea che, una volta messa su famiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e "sistemarsi".»
Di là dalle personali scelte stilistiche dell'autore, certamente funzionali alle sue intenzioni narrative, è corretto un doppio uso consecutivo dei due punti?
Grazie.
Hoc unum scio, me nihil scire.
Re: due punti "doppi"
Scrive Bice Mortara Garavelli (Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 103-104):Black Mamba ha scritto:Di là dalle personali scelte stilistiche dell'autore, certamente funzionali alle sue intenzioni narrative, è corretto un doppio uso consecutivo dei due punti?
È generalmente sconsigliata la replica dei due punti tra frasi precedute o seguite dallo stesso segno. Ma quest’uso, fiorente nella prosa letteraria, non è affatto sconosciuto in tipi di testo di tutt’altro genere: ad esempio, nella saggistica scientifica. Né si vede come censurarlo quando si tratti di un susseguirsi di enunciati consequenziali:
(58) Va allora riconsiderata la premessa posta da Austin: il contesto di discorso in si parla di verità [...] è particolare: si tratta di fatti soffici o autoreferenziali, e in cui c’è una differenza tra falsità e negazione. (D’Agostini, DV, p. 220)
Ovviamente, da usare con parsimonia.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Black Mamba
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Prego.
La maiuscola dopo i due punti può trovarsi in due casi: se segue un nome proprio (ovvio) o se segue un discorso diretto racchiuso fra virgolette. Altrimenti si mette sempre la minuscola.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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