«Sindachessa, ambasciatrice…
Altra domanda che molti si fanno, e che i dizionari al solito non risolvono: un sindaco in sottana è una sindachessa o resta sindaco? Un avvocato che si chiama Maria o Maddalena resta avvocato o si tramuta in avvocatessa?
Ricordo le chiacchiere che si profusero quando, per la prima volta al mondo (almeno cosí credo), fu nominato come ambasciatore americano a Roma una donna, la squisita signora Clara Boothe Luce. Nessuno osava chiamarla ambasciatrice; ma tutti “l’ambasciatore Clara Luce” e allora venivan fuori cosette davvero amene, come quella volta che un giornale, nel resoconto di una serata di gala, avvertí compiaciuto che l’ambasciatore americano era intervenuto indossando “un superbo abito di seta color malva molto scollato”, e un altro giornale parlò imperterrito del “marito dell’ambasciatore americano a Roma”, alludendo all’editore Henry Luce, coniuge di Clara. Di fronte a queste baggianate, la logica e la grammatica ebbero alla fine la meglio; e finalmente si sentí dire e si vide stampato l’ambasciatrice Clara Luce.
Voglio dire che per me, che cerco di ragionare sempre a fil di logica, appunto, e di grammatica, certi problemi, come questi del sindaco e della sindachessa, dell’ambasciatore e dell’ambasciatrice, non si pongono neppure. La grammatica insegna una cosa elementare: che per gli uomini esiste un maschile e per le donne un femminile. Non si può fare eccezione per un sindaco o per un ambasciatore. Il fatto è che certe svolte sociali, come oggi si ama dire, portano sempre con sé perplessità e discussioni in ogni campo. Sentite questa, che è storica. Un tempo, tutti i pittori erano maschi, almeno quelli celebri, quelli noti. Ma ecco che tra il Seicento e il Settecento spuntano due astri pittorici femminili, Artemisia Gentileschi e, mezzo secolo piú tardi[,] Rosalba Carriera. Fin allora s’era usata la sola parola pittore (con le varianti piú antiche dipintore e pintore); ora bisognò classificare anche queste donne artiste, e sorse il problema linguistico: come definirle? Il latino classico non suggeriva niente in proposito, offriva solo pictor, pictoris maschile. Esisteva però un aggettivo femminile, pictrix, pictricis, creato nel basso latino: si diceva, per esempio, natura pictrix, natura pittrice; e a questo aggettivo si rifecero i letterati dell’epoca sostantivandolo, e dissero la pittrice Artemisia Gentileschi, la pittrice Rosalba Carriera. Da allora pittrice al femminile diventò comune nell’uso, e nessuno oggi penserebbe di poter dire che la Gentileschi e la Carriera furono “due celebri pittori”.
Solo un centinaio d’anni fa o poco piú, le donne non esercitavano nessuna pubblica professione, e assai rare erano pure le professioni private, sí che i nomi professionali eran tutti maschili. Oggi chi discuterebbe sull’appellativo di maestra da dare a un’insegnante di scuola elementare? Arrivarono poi le professoresse, arrivarono le dottoresse e le medichesse e le ragioniere, e oggi nessuno piú si meraviglia di questi appellativi. Non riesco davvero a capire la perplessità soprattutto di certi giornalisti di fronte a questi problemi che non esito a definire elementari. Un giorno eleggono al senato una donna, e nelle redazioni si crea lo smarrimento. Com’è il femminile di senatore? Si può dire il senatore Merlin? Nessuno pensa che i nomi in -tore fanno normalmente in -trice, come da imperatore si fa imperatrice; alla fine, è vero, spunta il femminile senatrice, ma ce n’è voluto del tempo e del coraggio per decidersi ad appiccicarlo al nome di una donna.
Si è letto anche di donna e donne deputato; ma perché non dire subito la deputata, le deputate? Da una terminazione maschile in -o nasce regolarmente un femminile in -a: dunque deputata; tanto piú che qui si tratta di un participio passato del verbo deputare: cioè persona deputata a rappresentare in parlamento un certo numero di elettori. Una donna che abbia ottenuto questo incarico non può essere che una deputata, e non una deputatessa, come alcuni anche oggi insistono a dire.
Per avvocato, la stessa cosa: altro participio passato, questo di origine latina: advocatus, da advocare, chiamare presso, cioè persona chiamata presso chi deve essere assistito in un giudizio, propriamente assistente, protettore. Maschile in -o, femminile in -a: avvocata, e niente avvocatessa (del resto avvocata nostra, nel senso di “divina protettrice” si recita da secoli nelle preghiere come attributo della Madonna).
Mi torna ora alla mente la perplessità di un presentatore televisivo quando doveva rivolgersi al notaio per risolvere qualche problemuccio procedurale; finché questo notaio fu maschio, tutto semplice: “Signor notaio”; ma un giorno allo stesso tavolino giudicante misero una donna, ed ecco il presentatore domandarsi: notaio o notaia? Poi risoluto spaccò salomonicamente il problema a mezzo e disse: “Signora notaio”. Non pensò che i sostantivi in -aio fanno al femminile -aia, che dal cartolaio si fa la cartolaia, dal fornaio si fa la fornaia, dal lavandaio la lavandaia, e che dicendo signora notaia si evitava di mandare a gambe all’aria la grammatica.
E non parliamo dei ministri in gonnella. L’orgasmo linguistico cominciò quando fu nominata all’alta carica di primo ministro una gentile signora indiana. Ch’io sappia, nessuno ha mai tentato di chiamarla ministra; eppure la grammatica dice che il femminile di sinistro, per esempio, è sinistra.
Qualcuno obietta: esistono da tempo, è vero, alcuni femminili di nomi indicanti professioni, ma usati solo per designare la moglie di chi questa professione esercita. È un ragionamento che non cambia di un pelo la questione. Se ambasciatrice e sindachessa e ministra si usavano fino a ieri per indicare la moglie dell’ambasciatore, del sindaco e del ministro (si usava anche ministressa, ma con valore ironico o scherzoso), che cosa impedisce, dal punto di vista grammaticale, che gli stessi femminili si trasferiscano alle donne titolari delle stesse cariche?
S’intende, e sia ben chiaro, che il maschile resta maschile quando si voglia impersonalmente indicare la carica, il titolo in sé: “La signora tale è stata nominata sindaco di Spello”, “Come ministro sceglieranno la figlia di Nehru”. Ma solo in questo caso.»
Che ne pensate? Per chi legge il francese, l’Académie française è risolutamente opposta alla femminilizzazione:
http://academie-francaise.fr/actualites ... sation.asp
E Luca Serianni, in modo piú sottile e sfumato:
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/ ... &ctg_id=44
Qualunque siano le diverse posizioni in materia, non potremo influenzare l’uso; ma troverei molto interessante sentire i vostri pareri (anche per chiarire il mio!).
