Pronuncia di nomi stranieri in una discussione o lettura
Moderatore: Cruscanti
Pronuncia di nomi stranieri in una discussione o lettura
Vorrei porre il seguente quesito.
Mettiamo di dover leggere (o discutere) un testo scritto da un viaggiatore nel quale si presentano varie parole straniere. Ne faccio un elenco in ordine sparso: Miami, club, Köln, Michael Schumacher, français, Kilimangiaro, Helsinki, ecc. ecc.
Insomma, sia da leggere un testo zeppo di parole straniere, ben note in italiano, meno note o addirittura sconosciute.
Come si devono leggere? Come stanno scritte, cioè utilizzando le nostre regole? O si devono leggere secondo la pronuncia della lingua corrispondente?
Ad esempio, Miami si deve leggere e pronunciare come in inglese, Köln in tedesco? français come in francese?
Se è così siamo costretti a sapere tutte le lingue del mondo!
PS: Per quelli che suggeriscono di leggere nella lingua corrispondente le parole conosciute (pronuncia conosciuta in lingua) o di utilizzare la corrispondente parola in italiano (Colonia per Köln, ad esempio), propongo di riflettere su un testo pieno di parole sconosciute.
Grazie dell'attenzione
Mettiamo di dover leggere (o discutere) un testo scritto da un viaggiatore nel quale si presentano varie parole straniere. Ne faccio un elenco in ordine sparso: Miami, club, Köln, Michael Schumacher, français, Kilimangiaro, Helsinki, ecc. ecc.
Insomma, sia da leggere un testo zeppo di parole straniere, ben note in italiano, meno note o addirittura sconosciute.
Come si devono leggere? Come stanno scritte, cioè utilizzando le nostre regole? O si devono leggere secondo la pronuncia della lingua corrispondente?
Ad esempio, Miami si deve leggere e pronunciare come in inglese, Köln in tedesco? français come in francese?
Se è così siamo costretti a sapere tutte le lingue del mondo!
PS: Per quelli che suggeriscono di leggere nella lingua corrispondente le parole conosciute (pronuncia conosciuta in lingua) o di utilizzare la corrispondente parola in italiano (Colonia per Köln, ad esempio), propongo di riflettere su un testo pieno di parole sconosciute.
Grazie dell'attenzione
Premesso che un testo pieno zeppo di parole straniere è indice di cattivo gusto, i forestierismi andrebbero pronunciati all’italiana, per evitare di cadere in una specie di linguaggio senza capo né coda. La pronuncia italianizzata si trova ad esempio nel DiPI (è in formato PDF).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Quindi club va letto e pronunciato "club" e non "cleb", Miami fa pronuncianto "mi-ami" e non " maiemi"...ecc. ecc.?
Se è così sono perfettamente d'accordo, anche se può sembrare paradossale ai tempi di oggi, perchè solo così si evita il problema di dover conoscere tutte le lingue e si riesce a dare una regola generale.
Ma quanti saranno pronti a dire "mi-ami" in luogo di "maiemi"?
Se è così sono perfettamente d'accordo, anche se può sembrare paradossale ai tempi di oggi, perchè solo così si evita il problema di dover conoscere tutte le lingue e si riesce a dare una regola generale.
Ma quanti saranno pronti a dire "mi-ami" in luogo di "maiemi"?
Il problema è questo: si deve seguire la grafia o adattare ai suoni dell’italiano quelli della lingua d’origine? Mi sembra chiaro che pronunciare /'klub/ sia impensabile (o bisognava farlo sin dall’inizio). Quindi, per le parole di lunga data almeno, l’adattamento dev’essere fonetico e non fondarsi sulla rappresentazione grafica. Tutti questi dubbi e oscillazioni non sussisterebbero se si fosse adottato il metodo castellaniano (e mio): adattamento grafico conforme alla pronuncia, quindi cleb o clab – ma di questa parola non c’è proprio bisogno, visto che si può dire, secondo i casi, circolo o locale (vedi circolo nautico, locale notturno, ecc.).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
E in genere sarebbe opportuno ricorrere il piú possibile alle risorse dell'italiano: per cui, se abbiamo Colonia, usiamola!
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Si si si ... tutto si poteva fare dall'inizio ma non si è fatto.
Ora però la situazione è quella che ho descritto. Ossia è facile trovarsi davanti un testo con più parole straniere e di lingue differenti. Allora come ci si comporta? Mettiamo che siano tutte parole a noi non note (la stessa parola club potrebbe non essere nota a qualcuno, non possiamo stare dietro a tutte le parole straniere che diventano d'uso comune)... che facciamo? Come leggiamo?
Gli amanti dell'inglese seguono le loro conoscenze e quindi quasi da vip diranno cleb o clab, ma poi cadranno magari su Schumacher facendo sentire quella r finale fino all'infinito oppure cadranno su una parola africana che io ho imparato e per me è d'uso corrente perchè un mio amico viene dal Senegal. Insomma è ora di dare una regola generale, siamo o non siamo nell'era della globalizzazione?
O dobbiamo imparare tutte le lingue del mondo?
Forza proponete una regola generale!
Ora però la situazione è quella che ho descritto. Ossia è facile trovarsi davanti un testo con più parole straniere e di lingue differenti. Allora come ci si comporta? Mettiamo che siano tutte parole a noi non note (la stessa parola club potrebbe non essere nota a qualcuno, non possiamo stare dietro a tutte le parole straniere che diventano d'uso comune)... che facciamo? Come leggiamo?
Gli amanti dell'inglese seguono le loro conoscenze e quindi quasi da vip diranno cleb o clab, ma poi cadranno magari su Schumacher facendo sentire quella r finale fino all'infinito oppure cadranno su una parola africana che io ho imparato e per me è d'uso corrente perchè un mio amico viene dal Senegal. Insomma è ora di dare una regola generale, siamo o non siamo nell'era della globalizzazione?
O dobbiamo imparare tutte le lingue del mondo?
Forza proponete una regola generale!
L’unica regola che si possa dare è di consultare un buon vocabolario o un dizionario di pronuncia (DOP e DiPI). Per il resto, chi infarcisce i propri discorsi di forestierismi sciorina la propria incultura.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Facendo il caso d'un elenco di nomi di città straniere, l'unica cosa fattibile è usare i nomi italiani il piú possibile, e per quelle città che non hanno un traducente italiano ricorrere alla corretta pronuncia della lingua d'origine.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Apro a caso un giornale e oggi trovo scritto:
"Finlandia, spari in un mall...la sparatoria è avvenuta ad Espoo, vicino Helsinki"
Come leggere mall? Come leggere Espoo? E se vogliamo come leggere Helsinki?
Il trafiletto riportato è solo un esempio, ogni giorno su tutti i quotidiani verifico (e penso verificate) la stessa situazione.
Non è più possibile delegare ai vocabolari, alla fine dobbiamo girare con il vocabolario sulle spalle? Inoltre dubito che troverei tutte le risposte che mi servono in un vocabolario.
Lo spagnolo, ad esempio, assorbe, per così dire, le parole straniere e le pronuncia secondo le regole proprie. Ad esempio, in spagnolo club si legge club. Altrettanto penso faccia il francese, ma non tutte le lingue.
Ad ogni modo io credo che nella nostra epoca abbiamo bisogno di una semplificazione, o dobbiamo ridurci a ridicolizzare, o ad essere ridicolizzati, ogni qual volta ci deve pronunciare una parola straniera, aggiungendo lo scudo "non conosco il francese"... ecc. ecc.
Un esempio per tutti. Un mio amico sempre attento a dare lezioni di pronuncia sull'inglese sbaglia tutte le pronunce di parole tedesche. Ma accade anche di ben più grave. Per molto tempo ha corretto ad altri amici la pronuncia della parola stage. Si dice "stege", sentenziava, è inglese. Poi è arrivato un inglese o meglio un signore che lavora per la Deutsche Bank a Londra e ci ha detto: " ma stage è francese e noi a Londra diciamo stage e non stege".
Insomma oltre il paradosso o le stranezze occore una semplificazione ed effettivamente una regola per poter leggere e pronunciare in santa pace.
Ps Pensando pensando mi viene in mente che non possiamo, o non potete, far diventare, come indirettamente suggerite, i giornalisti i maestri della lingua. Non possiamo aspettare che un giornalista ci segnali l'esistenza di una città sconosciuta nella lingua d'origine, magari pronunciata malissimo, per poter poi pronunciare o nominare quella città. Forse dobbiamo dire "bip" per ogni parola che A conosce e B non conosce? O forse il patrimonio culturale di A si trasferisce a B per opera dello spirito santo? Io credo che gli esperti della lingua devono dettare e per così dire ordinare la giusta pronuncia, tenendo anche conto del mondo che cambia.
"Finlandia, spari in un mall...la sparatoria è avvenuta ad Espoo, vicino Helsinki"
Come leggere mall? Come leggere Espoo? E se vogliamo come leggere Helsinki?
Il trafiletto riportato è solo un esempio, ogni giorno su tutti i quotidiani verifico (e penso verificate) la stessa situazione.
Non è più possibile delegare ai vocabolari, alla fine dobbiamo girare con il vocabolario sulle spalle? Inoltre dubito che troverei tutte le risposte che mi servono in un vocabolario.
Lo spagnolo, ad esempio, assorbe, per così dire, le parole straniere e le pronuncia secondo le regole proprie. Ad esempio, in spagnolo club si legge club. Altrettanto penso faccia il francese, ma non tutte le lingue.
Ad ogni modo io credo che nella nostra epoca abbiamo bisogno di una semplificazione, o dobbiamo ridurci a ridicolizzare, o ad essere ridicolizzati, ogni qual volta ci deve pronunciare una parola straniera, aggiungendo lo scudo "non conosco il francese"... ecc. ecc.
Un esempio per tutti. Un mio amico sempre attento a dare lezioni di pronuncia sull'inglese sbaglia tutte le pronunce di parole tedesche. Ma accade anche di ben più grave. Per molto tempo ha corretto ad altri amici la pronuncia della parola stage. Si dice "stege", sentenziava, è inglese. Poi è arrivato un inglese o meglio un signore che lavora per la Deutsche Bank a Londra e ci ha detto: " ma stage è francese e noi a Londra diciamo stage e non stege".
Insomma oltre il paradosso o le stranezze occore una semplificazione ed effettivamente una regola per poter leggere e pronunciare in santa pace.
Ps Pensando pensando mi viene in mente che non possiamo, o non potete, far diventare, come indirettamente suggerite, i giornalisti i maestri della lingua. Non possiamo aspettare che un giornalista ci segnali l'esistenza di una città sconosciuta nella lingua d'origine, magari pronunciata malissimo, per poter poi pronunciare o nominare quella città. Forse dobbiamo dire "bip" per ogni parola che A conosce e B non conosce? O forse il patrimonio culturale di A si trasferisce a B per opera dello spirito santo? Io credo che gli esperti della lingua devono dettare e per così dire ordinare la giusta pronuncia, tenendo anche conto del mondo che cambia.
Come le dicevo:
1. i nomi propri stranieri graficamente non adattati e di uso comune si pronunciano all’italiana, quindi /'Elsinki/ (lo trova nel DiPI, di cui ho dato il collegamento sopra); se si ha un dubbio sull’accento, si cerca nel DiPI, e si memorizza;
2. quelli di uso occasionale non registrati nel DiPI, se proprio si vuole pronunciarli correttamente, si cercano s’un’enciclopedia; ma francamente il caso di Espoo non è rilevante: quante volte nella vita dovremo pronunciare il nome di questa città sconosciuta?
3. i nomi comuni stranieri si cercano in un vocabolario: mall /'mol/, ma forse l’adatteremmo in /'mOl/. Però ecco il caso d’un forestierismo inutile, da non usare proprio (vale centro commerciale, essendo abbreviazione di shopping mall, che in inglese britannico puro sarebbe shopping centre).
Sarebbero appunto i giornalisti televisivi a dover imparare la pronuncia italiana corretta, in modo da renderla familiare al pubblico.
1. i nomi propri stranieri graficamente non adattati e di uso comune si pronunciano all’italiana, quindi /'Elsinki/ (lo trova nel DiPI, di cui ho dato il collegamento sopra); se si ha un dubbio sull’accento, si cerca nel DiPI, e si memorizza;
2. quelli di uso occasionale non registrati nel DiPI, se proprio si vuole pronunciarli correttamente, si cercano s’un’enciclopedia; ma francamente il caso di Espoo non è rilevante: quante volte nella vita dovremo pronunciare il nome di questa città sconosciuta?
3. i nomi comuni stranieri si cercano in un vocabolario: mall /'mol/, ma forse l’adatteremmo in /'mOl/. Però ecco il caso d’un forestierismo inutile, da non usare proprio (vale centro commerciale, essendo abbreviazione di shopping mall, che in inglese britannico puro sarebbe shopping centre).
Sarebbero appunto i giornalisti televisivi a dover imparare la pronuncia italiana corretta, in modo da renderla familiare al pubblico.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Rimane un ultimo dubbio. Come si fa a sapere quali sono i nomi propri stranieri graficamente non adattati? Forse sono solo e soltanto quelli che stanno nel DIPI? Se è così, andando in giro con il DIPI sulle spalle si risolve il problema. Poco pratico, ma il problema si risolve.
Per tutti gli altri nomi non si sa cosa fare se non cercare in un altro vocabolario. Quindi dovremmo avere almeno due vocabolari con noi tutti i giorni.
Non è più facile creare una regola di convenienza, come a volte avviene nella lingua italiana, e dire che da oggi 1 gennaio 2010 pronunceremo qualunque parola straniera secondo le nostre regole?
Sarà "scomodo" e i primi tempi forse un po' strampalato, ma poi ci si abitua e il problema in sei mesi non esiste più.
I giornalisti devono fare il proprio lavoro e bene, dunque concordo, ma questo non esula me a dover imparare da loro. Io voglio, o vorrei, imparare da una grammatica e da una regola, magari di convenienza, ma da una regola. Solo così posso stare "sicuro", altrimenti devo rinunciare a parlare di quello che non conosco, come diceva Wittgenstein in un altro contesto.
Per tutti gli altri nomi non si sa cosa fare se non cercare in un altro vocabolario. Quindi dovremmo avere almeno due vocabolari con noi tutti i giorni.
Non è più facile creare una regola di convenienza, come a volte avviene nella lingua italiana, e dire che da oggi 1 gennaio 2010 pronunceremo qualunque parola straniera secondo le nostre regole?
Sarà "scomodo" e i primi tempi forse un po' strampalato, ma poi ci si abitua e il problema in sei mesi non esiste più.
I giornalisti devono fare il proprio lavoro e bene, dunque concordo, ma questo non esula me a dover imparare da loro. Io voglio, o vorrei, imparare da una grammatica e da una regola, magari di convenienza, ma da una regola. Solo così posso stare "sicuro", altrimenti devo rinunciare a parlare di quello che non conosco, come diceva Wittgenstein in un altro contesto.
Sono quelli che non hanno una forma italiana. Per esempio, sono adattati Amburgo (Hamburg), Stoccarda (Stuttgart), Ginevra (Genève), Londra (London), ecc. Non sono adattati Bruxelles, Copenhagen, Aberdeen, Brighton, ecc.Arturo ha scritto:Rimane un ultimo dubbio. Come si fa a sapere quali sono i nomi propri stranieri graficamente non adattati?
Quindi /bruk'sElles/, /'brigton/? Ma a questo punto perché non adattarli in Brussella, Copenaga, Aberdina, Braita? Anche cosí si risolverebbe il problema, ma nessuna di queste soluzioni appare proponibile: i nomi propri non si adattano piú e la lunga consuetudine a pronunciarli in un modo che arieggia la pronuncia nella lingua d’origine impedisce il cambiamento.Arturo ha scritto:Non è più facile creare una regola di convenienza, come a volte avviene nella lingua italiana, e dire che da oggi 1 gennaio 2010 pronunceremo qualunque parola straniera secondo le nostre regole?
Sarà "scomodo" e i primi tempi forse un po' strampalato, ma poi ci si abitua e il problema in sei mesi non esiste più.
Che cosa significa «non esula me a»? Non credo che sia il verbo giusto.Arturo ha scritto:I giornalisti devono fare il proprio lavoro e bene, dunque concordo, ma questo non esula me a dover imparare da loro.

La regola che lei cerca, nel caso specifico, è l’uso. Non ve n’è altra per i nomi propri. Per quanto riguarda le parole straniere, bisogna semplicemente evitarle ogniqualvolta vi sia (o si possa trovare) un equivalente italiano (si vedano gli esempi sopra e la nostra nutrita lista).Arturo ha scritto:Io voglio, o vorrei, imparare da una grammatica e da una regola, magari di convenienza, ma da una regola.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
"Esula", dal latino exullare: essere estraneo, non riconducibile a quanto è direttamente o indirettamente in questione.
Voglio dire: "Non mi rende estraneo a dover imparare da loro, cioè non sono obbligato a dover imparare da loro."
Dovrebbe essere giusto. Forse un non di troppo? Non mi pare.
A proposito, il nome "Lüdenscheid", città tedesca, come si pronuncia? Avrò degli "ospiti" di lavoro la settimana prossima e nessuno sa come pronunciare il nome di questa cittadina, ma non vorrei dare ai miei ospiti l'idea, pena la perdita di un grosso contratto, che la città sede della loro importante azienda mi sia totalmente sconosciuta.
Consigli?
Voglio dire: "Non mi rende estraneo a dover imparare da loro, cioè non sono obbligato a dover imparare da loro."
Dovrebbe essere giusto. Forse un non di troppo? Non mi pare.
A proposito, il nome "Lüdenscheid", città tedesca, come si pronuncia? Avrò degli "ospiti" di lavoro la settimana prossima e nessuno sa come pronunciare il nome di questa cittadina, ma non vorrei dare ai miei ospiti l'idea, pena la perdita di un grosso contratto, che la città sede della loro importante azienda mi sia totalmente sconosciuta.
Consigli?
A proposito del DIPI, mi piacerebbe sapere come si arriva a decidere le esatte pronunce dei nomi stranieri. Si gira il mondo e si registrano, per così dire o esiste una commissione che dopo uno studio accurato lo decide?
Mi piacerebbe sapere come si fa a decidere il momento in cui una parola straniera viene dichiarata d'uso corrente e magari inserita in un vocabolario italiano.
A proposito del DIPI, non ho trovato "Valencia", ma solo "Valentia". Non è inserita, quindi mi attengo, in Italia, alla pronuncia suggerita dagli amici valenciani.
Mi piacerebbe sapere come si fa a decidere il momento in cui una parola straniera viene dichiarata d'uso corrente e magari inserita in un vocabolario italiano.
A proposito del DIPI, non ho trovato "Valencia", ma solo "Valentia". Non è inserita, quindi mi attengo, in Italia, alla pronuncia suggerita dagli amici valenciani.
Arturo ha scritto:"Esula", dal latino exullare: essere estraneo, non riconducibile a quanto è direttamente o indirettamente in questione.
Voglio dire: "Non mi rende estraneo a dover imparare da loro, cioè non sono obbligato a dover imparare da loro."
Dovrebbe essere giusto. Forse un non di troppo? Non mi pare.
Il verbo esulare ha questi due significati (si costruisce con da e nell’accezione 2 ha come soggetto una cosa, non una persona):
esulare v. intr. [dal lat. exsulare; v. esule] (io èsulo, ecc.; aus. avere). – 1. letter. Andare in volontario esilio: molti patrioti esulavano in Inghilterra. 2. fig. Di cose, non esser proprio o non far parte di qualche cosa: l’argomento esula dalla questione; ciò esula dai nostri patti. (Treccani)
Si pronuncia pressappoco lüdensciait, con l’accento sulla prima sillaba e la ü francese e dei dialetti settentrionali.Arturo ha scritto:A proposito, il nome "Lüdenscheid", città tedesca, come si pronuncia?
Si parte dalla pronuncia nella lingua di partenza e si italianizzano i suoni non esistenti in italiano.Arturo ha scritto:A proposito del DIPI, mi piacerebbe sapere come si arriva a decidere le esatte pronunce dei nomi stranieri.
I lessicografi si fondano sulla frequenza d’uso; hanno a disposizione vasti corpora di lingua contemporanea, che possono interrogare in vari modi per stabilire l’effettiva frequenza d’una data parola.Arturo ha scritto:Mi piacerebbe sapere come si fa a decidere il momento in cui una parola straniera viene dichiarata d'uso corrente e magari inserita in un vocabolario italiano.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Chi c’è in linea
Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 8 ospiti