Ausiliare con verbi servili che reggono infinito pronominale
Moderatore: Cruscanti
Per noi, caro Marco, in questo caso gli esempi non sono necessari.
È ovvio che la naturalezza di un costrutto dipende dal registro e dal contesto ma una frase ammissibile in qualche contesto come, per giudizio di alcuni linguisti, quelle contestate, non potranno essere mai definite "agrammaticali", cioè esempi costruiti in laboratorio.
Mi sembra che stia trascinando inutilmente questa discussione con una polemica speciosa. Ma questo e solo un mio (anzi un nostro
) parere.
È ovvio che la naturalezza di un costrutto dipende dal registro e dal contesto ma una frase ammissibile in qualche contesto come, per giudizio di alcuni linguisti, quelle contestate, non potranno essere mai definite "agrammaticali", cioè esempi costruiti in laboratorio.
Mi sembra che stia trascinando inutilmente questa discussione con una polemica speciosa. Ma questo e solo un mio (anzi un nostro

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Ho l’impressione che lei veda polemiche dappertutto. 
Restiamo coi piedi per terra: nessun linguista serio fa mai teorie senza suffragarle con esempi di enunciati realmente prodotti (o inventati, quando non c’è da dimostrare, perché il costrutto è cosí ben radicato da essere naturalmente accettato come naturale). Finché gli esempi non sono addotti, la teoria rimane teoria piú o meno condivisibile, un parere e basta. Abbiamo visto che nell’uso effettivo della lingua si usa l’ausiliare avere nei casi qui discussi. Punto. L’unico modo costruttivo di prolungare questa discussione, se non accetta le conclusioni tratte (e lei non ha inteso la mia posizione, che è mutata rispetto all’inizio del filone), è quella della controargomentazione attraverso gli esempi. Ogni discorso generico è vano.

Restiamo coi piedi per terra: nessun linguista serio fa mai teorie senza suffragarle con esempi di enunciati realmente prodotti (o inventati, quando non c’è da dimostrare, perché il costrutto è cosí ben radicato da essere naturalmente accettato come naturale). Finché gli esempi non sono addotti, la teoria rimane teoria piú o meno condivisibile, un parere e basta. Abbiamo visto che nell’uso effettivo della lingua si usa l’ausiliare avere nei casi qui discussi. Punto. L’unico modo costruttivo di prolungare questa discussione, se non accetta le conclusioni tratte (e lei non ha inteso la mia posizione, che è mutata rispetto all’inizio del filone), è quella della controargomentazione attraverso gli esempi. Ogni discorso generico è vano.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
Però Serianni non è un linguista che può essere definito "non serio", né gli altri citati qui che non definiscono «sono potuto entrarci» come agrammaticale: dunque resta ancora da capire perché dei linguisti di provato valore ammettono un costrutto privo di precedenti letterari e neppure tanto diffuso.Marco1971 ha scritto:[...] nessun linguista serio fa mai teorie senza suffragarle con esempi di enunciati realmente prodotti
Le costruzioni poco o non attestate, né in letteratura né nell’uso vivo della lingua, possono suscitare reazioni diverse. Anche i linguisti hanno un orecchio condizionato dalla loro storia personale, e per questo il grado di accettabilità varia dall’uno all’altro: per Serianni è corretto, per molti altri è marginale o molto marginale. Siamo giunti alla conclusione che l’impiego di essere, qui, pur non essendo del tutto agrammaticale, appartiene a un italiano da laboratorio, non spontaneo, e che sarà meglio evitarlo nella lingua piú sorvegliata.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
Voglio sperare che un linguista serio faccia ricorso ad argomenti ben più solidi del proprio orecchio nel giudicare i casi al limite, proprio sapendo quanto sia opinabile un giudizio basato solo su questo.Marco1971 ha scritto:Anche i linguisti hanno un orecchio condizionato dalla loro storia personale, e per questo il grado di accettabilità varia dall’uno all’altro: per Serianni è corretto, per molti altri è marginale o molto marginale.
L’orecchio, nel caso di linguisti seri, si forma sull’acquisizione di una competenza linguistica determinata in primo luogo da moltissima lettura e dallo studio diacronico della grammatica. Piú si è letto in una lingua, piú l’orecchio è sensibile (non si parla dell’orecchio del primo capitato di poca cultura!).
Quando scarseggiano le attestazioni, ci si rifà alla grammatica e all’orecchio (ripeto: l’orecchio cólto, addestrato, direi scaltrito, come quello d’un musicista che ben conosca lo stile della musica che interpreta).
Quando scarseggiano le attestazioni, ci si rifà alla grammatica e all’orecchio (ripeto: l’orecchio cólto, addestrato, direi scaltrito, come quello d’un musicista che ben conosca lo stile della musica che interpreta).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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