Della terminologia informatica anglosassone
Moderatore: Cruscanti
Della terminologia informatica anglosassone
È convinzione diffusa, anche presso molti linguisti d’oggi, che bisogna accogliere tale e quale la terminologia informatica anglosàssone perché le invenzioni in tal campo provengono quasi esclusivamente dagli Stati Uniti. Ecco per esempio quel che si può leggere in questa breve storia della lingua italiana:
Tutta la terminologia dell’informatica è fittamente intessuta di parole inglesi, prestiti o calchi, perché tutta la tecnologia dell’informatica è stata sviluppata lontano dall’Italia: è quindi naturale che il relativo linguaggio settoriale sia di importazione.
Se a prima vista un simile giudizio può sembrare ragionevole, a guardar bene è una visione semplicistica e di comodo. Quasi tutti i termini dell’informatica, in inglese, sono frutto di analogie con la realtà preesistente all’avvento degli ordinatori e della Rete, e solo in pochi casi si tratta di neoconiazioni: file significa ‘fascicolo’ o ‘archivio’, toolbar ‘barra degli strumenti’, thumbnail ‘unghia del pollice’, bookmark ‘segnalibro’, window ‘finestra’, desktop ‘piano di scrivania’, ecc.
Il fatto che un oggetto, come l’ordinatore o elaboratore o calcolatore o computiere, di uso quotidiano in tutto il mondo, sia stato inventato altrove non significa che tutta la nomenclatura a esso legata debba prendersi nella forma originale: non si tratta, infatti, d’un oggetto e d’un’attività indissolubilmente connessi alla realtà locale in cui nacquero, come può essere un piatto tipico o un’usanza folcloristica. Si tratta di realtà ormai in mano al pianeta intero, senza odore o sapore locale. È quindi giusto che ogni lingua si costruisca una terminologia, possibilmente, in linea di massima (e non necessariamente in tutti i casi), in sintonia con le altre lingue sorelle.
Mi si dirà: e la terminologia della musica non è italiana in tutto il mondo? E io risponderò: sí, è vero, è cosí. Ma 1) i termini musicali riguardano i musicisti e non la gente comune; 2) si usano di rado nel parlato e nello scritto quotidiano; e 3) presentano una morfologia che non li rende incompatibili con quella della maggior parte delle lingue di cultura (certamente non contrastano con quella di francese, inglese, portoghese, spagnolo, tedesco e molte altre).
D’altra parte, tornando alla citazione di cui sopra, ci si potrebbe domandare perché alcuni termini vengono tradotti (intestazione e piè di pagina, tastiera, sfondo...) e altri invece no (file, layout, software...): ecco l’incoerenza. O si considera che si riceve il tutto tale e quale, o il tutto viene adattato alle esigenze della lingua degli utenti. Non ci sono scuse del tipo «questa parola è intraducibile», ché tutto è o traducibile o adattabile, e la prova ce l’abbiamo sotto gli occhi guardando quel che succede negli altri paesi europei. Siamo noi a sbagliare.
Tutta la terminologia dell’informatica è fittamente intessuta di parole inglesi, prestiti o calchi, perché tutta la tecnologia dell’informatica è stata sviluppata lontano dall’Italia: è quindi naturale che il relativo linguaggio settoriale sia di importazione.
Se a prima vista un simile giudizio può sembrare ragionevole, a guardar bene è una visione semplicistica e di comodo. Quasi tutti i termini dell’informatica, in inglese, sono frutto di analogie con la realtà preesistente all’avvento degli ordinatori e della Rete, e solo in pochi casi si tratta di neoconiazioni: file significa ‘fascicolo’ o ‘archivio’, toolbar ‘barra degli strumenti’, thumbnail ‘unghia del pollice’, bookmark ‘segnalibro’, window ‘finestra’, desktop ‘piano di scrivania’, ecc.
Il fatto che un oggetto, come l’ordinatore o elaboratore o calcolatore o computiere, di uso quotidiano in tutto il mondo, sia stato inventato altrove non significa che tutta la nomenclatura a esso legata debba prendersi nella forma originale: non si tratta, infatti, d’un oggetto e d’un’attività indissolubilmente connessi alla realtà locale in cui nacquero, come può essere un piatto tipico o un’usanza folcloristica. Si tratta di realtà ormai in mano al pianeta intero, senza odore o sapore locale. È quindi giusto che ogni lingua si costruisca una terminologia, possibilmente, in linea di massima (e non necessariamente in tutti i casi), in sintonia con le altre lingue sorelle.
Mi si dirà: e la terminologia della musica non è italiana in tutto il mondo? E io risponderò: sí, è vero, è cosí. Ma 1) i termini musicali riguardano i musicisti e non la gente comune; 2) si usano di rado nel parlato e nello scritto quotidiano; e 3) presentano una morfologia che non li rende incompatibili con quella della maggior parte delle lingue di cultura (certamente non contrastano con quella di francese, inglese, portoghese, spagnolo, tedesco e molte altre).
D’altra parte, tornando alla citazione di cui sopra, ci si potrebbe domandare perché alcuni termini vengono tradotti (intestazione e piè di pagina, tastiera, sfondo...) e altri invece no (file, layout, software...): ecco l’incoerenza. O si considera che si riceve il tutto tale e quale, o il tutto viene adattato alle esigenze della lingua degli utenti. Non ci sono scuse del tipo «questa parola è intraducibile», ché tutto è o traducibile o adattabile, e la prova ce l’abbiamo sotto gli occhi guardando quel che succede negli altri paesi europei. Siamo noi a sbagliare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Ferdinand Bardamu
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Re: Della terminologia informatica anglosassone
Un'argomentazione del tutto condivisibile.Marco1971 ha scritto:Il fatto che un oggetto, come l’ordinatore o elaboratore o calcolatore o computiere, di uso quotidiano in tutto il mondo, sia stato inventato altrove non significa che tutta la nomenclatura a esso legata debba prendersi nella forma originale: non si tratta, infatti, d’un oggetto e d’un’attività indissolubilmente connessi alla realtà locale in cui nacquero, come può essere un piatto tipico o un’usanza folcloristica. Si tratta di realtà ormai in mano al pianeta intero, senza odore o sapore locale. È quindi giusto che ogni lingua si costruisca una terminologia, possibilmente, in linea di massima (e non necessariamente in tutti i casi), in sintonia con le altre lingue sorelle.
L'accodarsi acriticamente alla corrente statunitense e anglofona, tipico di noi italiani, è, a mio avviso, indice di pigrizia intellettuale da un lato, e di ignorante diffidenza dall'altro. Pigrizia (o, meglio, accidia), perché la nobiltà e il lustro della nostra lingua permetterebbero con agio di costruire un solido lessico informatico rispettoso della morfologia e fonetica nostre; diffidenza, perché accettare termini stranieri senz'analisi alcuna mostra una certa ritrosia ad apprendere.
Vorrei qui riportare anche un esempio "illuminante":
FonteGoogle ha finalmente distribuito il componente aggiuntivo per l'opt-out dal servizio di tracking delle visite per siti web. Admin e webmaster stiano sereni: l'useranno in pochi, secondo BigG
Lungi da me gridare «O tempora, o mores», ma esprimo comunque profonda tristezza per la china su cui l'informazione in ambito informatico (scusate il bisticcio) s'inerpica irrimediabilmente da anni.
Volevo chiedere cosa ne pensavano di creare una versione di Ubuntu con i termini contenuti nella lista dei forestierismi?
Se colui che tradusse Windows avesse usato la parola "elaboratore" adesso nessuno avrebbe saputo che cos'era un "computer"...
Se colui che tradusse Windows avesse usato la parola "elaboratore" adesso nessuno avrebbe saputo che cos'era un "computer"...
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Giallino mi perdonerà se mi permetto di fargli notare che la locuzione ex novo (tutte quelle composte con ex) si scrive senza trattino.Giallino ha scritto: oppure creiamo una traduzione ex-novo?
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Tentar non nuoce, ma so già: «È ridicolo! Sono termini registrati nei dizionari, siamo nel 2010, bla bla bla...».Giallino ha scritto:Come si potrebbe fare? Proponiamo le nostre traduzioni al gruppo che sta traducendo Ubuntu per poi sentirci presi per fascistioppure creiamo una traduzione ex-novo?

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non quando, come qui, ci si rivolge non direttamente, ma in terza persona. La frase di Fausto Raso è corretta.Giallino ha scritto:Ricambio la cortesia facendole notare che in questo caso si usa il pronome personale complemento "le".
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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