Non c'è bisogno di sforzi onomaturgici per trovare la traduzione di questo forestierismo modaiolo e ridicolo (quasi quanto i prodotti anti-age ).
Ogniqualvolta rispunta il dibattito fra sostenitori e nemici dell'eutanasia, ecco che occhieggia sui giornali e nei telegiornali pro-life.
Per fortuna è ancora minoritario nei mèdia (anche se il suo uso nei titoli – e non mi si venga a dire per ragioni di spazio, ché vita ha pure quattro lettere – mi fa disperare di vederlo scomparire): meglio non pensare alle risate che susciterebbero, in opposizione al "vezzoso" movimento pro-life, i minacciosi fautori del pro-death.
Scriveva anni fa Arrigo Castellani (non so piú in quale articolo) che un giorno non troppo lontano sarebbe diventato normale usare parole inglesi in italiano. Aveva ragione. Oggi ne abbiamo riprove quotidiane, e la situazione non accenna a migliorare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ho ritrovato la frase, era in ‘Velopattino’ (e altro) («Studi Linguistici Italiani», 21/2, 1995, pp. 244-247, grassetto mio):
È curioso che la Signora Poli metta nella categoria delle mie stranezze («i neologismi del professor Castellani») anche parole del tutto normali. C’è da temere che a un certo momento la normalità sarà rappresentata soltanto dall’inglese. Nel foglio della Crusca io rispondevo a una lettera in cui una studentessa di Parma, la Signorina Natalia Borri, mi chiedeva di suggerirle gli equivalenti italiani di vari termini stranieri. In alcuni casi ho semplicemente indicato i termini italiani corrispondenti, già nell’uso comune e offerti dai dizionari: cosí per budget = bilancio di previsione o piú brevemente bilancio, trend = tendenza, lay-out = progetto o, secondo i casi, tracciato, network = rete, input = immissione. Non sono – evidentemente – neologismi miei!
La normalità, per molti italiani, è quello che martellantemente si sente per radio e televisione. Peccato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Grazie. Il lato ridicolo di tutto ciò è che impieghiamo una valanga di termini inglesi, pur essendo ultimi (o giú di lí) nelle classifiche europee sulla conoscenza dell'inglese. Col risultato di sembrare dei villani rifatti che credono di sprovincializzarsi dicendo budget e week-end.
Infatti! Mi raccontava anni orsono un mio amico forlivese che la sua professoressa d’inglese gli aveva insegnato che la parola key si pronuncia /kEi/ (correttamente /ki:/)... E chissà quante altre castronerie! Ma questo non è appannaggio dell’Italia; quando davo lezioni private, un alunno mi disse che la professoressa d’inglese insisteva, dopo che avevo corretto *How much did you pay it? in How much did you pay for it?, e sosteneva che non ci voleva il for con questo stolido ragionamento: si dice forse, in francese, Combien as-tu payé pour ça? Cose dell’altro mondo!
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ferdinand Bardamu ha scritto:Ogniqualvolta rispunta il dibattito fra sostenitori e nemici dell'eutanasia, ecco che occhieggia sui giornali e nei telegiornali pro-life.
Per fortuna è ancora minoritario nei mèdia (anche se il suo uso nei titoli – e non mi si venga a dire per ragioni di spazio, ché vita ha pure quattro lettere – mi fa disperare di vederlo scomparire)…
Proprio sul Corriere della Sera di oggi c'è un articolo: "Vespa fa l'anti-Saviano, movimenti pro-vita invitati a Porta a Porta". E nell'articolo viene ripreso il termine pro-vita.
Cercando in tutto l’archivio del Corriere della Sera, però, si trovano 12.600 occorrenze di pro-life, contro 605 di pro-vita. La Repubblica invece ha una proporzione inversa (pro-life: 368; pro-vita: 5130). La Stampa, infine, è piú equilibrata (pro-life: 246; pro-vita: 320).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Marco1971 ha scritto:Scriveva anni fa Arrigo Castellani (non so piú in quale articolo) che un giorno non troppo lontano sarebbe diventato normale usare parole inglesi in italiano. Aveva ragione. Oggi ne abbiamo riprove quotidiane, e la situazione non accenna a migliorare.
Io abito all'estero.
Quando io visito la mia famiglia ed i miei amici in Italia, mi capita di dimenticare qualche parola. Quando accade una situazione del genere, e sono costretto ad utilizzare una parola inglese per esprimermi, io provo profonda vergogna.
Ha un suono veramente brutto sentire il forestierismo usato indiscriminatamente nella lingua italiana.
Io sono d’accordo con lei, ma eviterei anche il verbo utilizzare quando significa semplicemente usare/adoperare/impiegare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.