Un'accentazione del tutto erronea come «Upùpa ilàre uccello calunniato» non soltanto cambierebbe il significato dell'aggettivo (
ilàre = «relativo all'ilo»), ma anche sviserebbe completamente il magnifico andamento dattilico del primo emistichio: «
Ù-pu-pa
ì-la-re».
Quanto poi al verso «sopra l'aereo stollo del pollaio», cito il commento di Floriana d'Amely (da
Ossi di seppia, edizione a cura di Pietro Cataldi e Floriana d'Amely, Oscar Mondadori, 2003):
lo "stollo" è propriamente il palo in legno attorno al quale si appoggia la paglia dei pagliai; qui si indica una pertica slanciata verso l'alto (cfr. «aereo») e soprastante un pollaio. Proprio è invece l'uso pascoliano da cui probabilmente deriva questo luogo: «il pagliaio con l'aereo stollo» (Dialogo, in Myricae, v. 5); citazione che, secondo Bonfiglioli, avrebbe un «sapore ironico, antinaturalistico e in definitiva antipascoliano».
Mi piacerebbe ricordare (sperando che la mia piccola divagazione sia tollerata in questo splendido fòro che ha per oggetto la lingua) che Montale dichiarò apertamente il suo antipascolismo nell'articolo
La fortuna del Pascoli, apparso il 30 dicembre 1955 sul
Corriere della sera. Scriveva Montale: «A nostro avviso le maggiori sfortune del Pascoli non furono i salti di tono (frequenti anche nel Baudelaire) o l'assenza dei grandi versi memorabili di cui è ricco anche il difficilissimo Mallarmé. Più ancora della costante indecisione formale e psicologica che si avverte nelle sue poesie, lascia perplessi il fatto che raramente una sua lirica è un "oggetto" distaccato, che può vivere per conto suo».
Ricordo infine che, tra le poesie rifiutate da Montale e recentemente rinvenute nel Fondo Manoscritti di Autori Moderni e Contemporanei dell'Università di Pavia, figura questo distico:
G. PASCOLI
Gli è mancata purtroppo l'autoironia
(la più importante che sia)
Scusate, mi sono dilungato troppo.