«Cosa» ~ «che cosa»

Spazio di discussione su questioni di lessico e semantica

Moderatore: Cruscanti

slaros
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Intervento di slaros »

Grazie per la spiegazione.
Ho anche letto le prime parti della "anticaglia" di Marco1971: interessantissimo e piacevole, finirò di leggerlo con adeguata attenzione.
Mi chiedo, e chiedo, sempre nell'argomento: qual è il confine tra "regola" e "non regola"? Se è vero che le regole linguistiche non possono costituire una gabbia per i diretti consumatori, è allora anche vero che domani mi possa aspettare di sentir dire, con il plauso generale, qualcosa come: "Se andrei a Roma, voglio visitare prima di tutto il Colosseo". Grazie.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Evitiamo di accelerare l’evoluzione della lingua, spingendola e spintonandola senza criterio. Io sono sempre stato per il rispetto delle norme, e delle forme piú illustri (su questa linea è impostato il mio Dizionario Normativo della Lingua Italiana, siglato in DiNo, di cui si può leggere nella sezione Inter nos).

Ci sono però anche usi consacrati da oltre un secolo, e quelli vanno accettati tranquillamente quando sono attestati presso i nostri maggiori scrittori, quelli della tradizione. È il caso di cosa interrogativo, che, come s’è visto, rimane però, a tutt’oggi, di registro medio.

Oggi i mutamenti interessano soprattutto il lessico (l’afflusso inutile di parole inglesi), ma le strutture portanti della lingua, come l’uso dei modi e dei tempi verbali, non subiscono grandi stravolgimenti, perché supportate dalla lingua scritta. Sono ormai poche, direi, le persone che non sanno che *Se potrei, lo farei è agrammaticale.

In conclusione, il consiglio che darei è questo: nello scegliere una parola o un costrutto egualmente grammaticali, bisognerebbe valutare bene quali siano i piú idonei nel contesto comunicativo (parlato/scritto, formale/informale, letterario/popolare, ecc.). Solo una buona padronanza dei registri può garantire l’efficacia della comunicazione tra persone che condividono lo stesso codice linguistico, ossia la stessa madrelingua.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
slaros
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Iscritto in data: mar, 15 feb 2011 5:46

Intervento di slaros »

Pienamente d'accordo, in definitiva (rassegnato ma convinto).Tengo solo precisare che, ovviamente, il mio esempio del post precedente, basato sulle forme verbali, era estremo e provocatorio, e che sono altrettanto sicuro che l'odierno livello culturale-linguistico sia superiore rispetto al passato.
Grazie per questa fantastica rubrica, perché è proprio quello che da tempo cercavo, e complimenti per la squisita preparazione: ne approfitterò senza scrupoli! :D
Avatara utente
Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Prego. :)

Se posso muoverle un appunto, post non è necessario in italiano, basta intervento (o messaggio, ecc.). ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
slaros
Interventi: 10
Iscritto in data: mar, 15 feb 2011 5:46

Intervento di slaros »

Apprezzo la finezza, anzi: la correzione.
P.s.: pensavo che "post" fosse d'obbligo...!
Grazie.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

[Prendendo spunto da questo intervento di Zabob, aggiungo questo contributo su cosa usato come pronome interrogativo]

Il Rohlfs (Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. II «Morfologia», Einaudi, Torino, 1968, § 488) scrive:

Con valore neutro è assai comune che cosa (che cosa vedi?), donde anche, nell’uso familiare, l’abbreviato cosa, d’uso oggi assai frequente: cosa pensi?, non so cosa farmene, guarda cosa ho comprato.

Il traduttore del testo, a questo proposito, aggiunge una nota:

Il tipo della Penisola è tuttora il semplice che, validissimo a Firenze e in buona parte della Toscana. L’espandersi di cosa dovrà considerarsi d’origine settentrionale (si consideri che per esempio nel Veneto si ha parcosa? in luogo del toscano perché?).

La GGIC (Grande Grammatica Italiana di Consultazione, vol. III, p. 78) considera il tipo cosa come «piuttosto settentrionale e toscano».
Avatara utente
G. M.
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Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: «Cosa» ~ «che cosa»

Intervento di G. M. »

u merlu rucà ha scritto: ven, 18 feb 2011 16:32 Da Ponte non so, ma il Manzoni non era andato a risciacquare i panni in Arno? Forse ha avuto qualche problema ad usare l'icché del fiorentino :D .
La grammatica italiana Treccani (2012) lo attribuisce proprio al fiorentino colto:
La forma che nella storia dell’italiano si è affermata più tardi è stata proprio cosa, considerata dai grammatici una forma da evitarsi. La fortuna di cosa è cominciata alla metà dell’Ottocento, quando Manzoni – seguendo il modello del fiorentino parlato dalle persone colte – corresse in cosa i che cosa usati nella prima edizione dei Promessi sposi.
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