E infatti non ho scritto che è meglio usare la pronuncia «alla francese», ho solo riportato quanto dice il DiPI, senz'altro aggiunto.Carnby ha scritto:Ma Canepari con quello segnala solo che l'uso prevalente oggi è la pronuncia alla francese (tra l'altro, una pronuncia statisticamente più realistica sarebbe /mani'kjur/), non quale sia la pronuncia più corretta.
Ancora su calchi e adattamenti
Moderatore: Cruscanti
Non mi pare d'essere mai stato arrogante, e se lo sono stato me ne scuso poiché non era mia intenzione esserlo. Punto secondo, non confuto nulla, dal momento che siamo qua per discutere e non per trarre conclusioni. Come ho già detto, non ho il tempo (e francamente neppure la voglia) per documentarmi come si conviene; mi limito a proporre mie idee ed esprimere pareri su ciò che altri utenti affermano, cosa che finora ho fatto - mi sembra - nel modo più educato possibile. Se poi volete ridurre tutto il dibattito a citazioni di vari luminari, come se ogni essere razionale non fosse abile a parlare della lingua quotidiana, questo mi parrebbe più una gara a chi è più dotto, e io non voglio parteciparvi minimamente. Sono qui per parlare con voi utenti del forum; se avessi voluto farmi una cultura di livello ancora più elevato avrei certamente preferito recarmi in biblioteca.Marco1971 ha scritto:Forse sono io a travisare, ma finora mi sembra che lei non abbia confrontato le sue idee con quelle degli altri, ma le abbia continuamente confutate, e questo senza documentarsi prima e in tono talvolta un po’ troppo arrogante per i miei gusti (perdoni la schiettezza).
Una lingua, che mi risulti, è principalmente parlata, quindi scritta. L'italiano standard parlato per me (e non pretendo che la mia idea sia condivisa né che sia qualche esperto a confermarla) non esiste se non per attori e doppiatori, che comunque adoperano un linguaggio artefatto. Giustamente, come lei ha osservato, l'italiano standard esiste nella forma scritta, ma si tratterebbe pur sempre di uno "standard" difettoso. Se poi lei vuole usare parole come "standaro" o "standarto" ne ha tutto il diritto, ma io continuo a considerarli neologismi - non vuole sentire "ridicoli"? - buffi, o perlomeno grotteschi. Non le piace standard? Usiamo "normalizzato", "tipo". Non certo - secondo me - "standaro".Marco1971 ha scritto:E le grammatiche che lingua descrivono? Una lingua inesistente? L’italiano normale o stàndaro (standard sarebbe da evitare in quanto inutile e monco vocabolo) esiste almeno nello scritto delle persone di cultura medio-alta. Che poi ci sia un colore locale nella pronuncia è cosa normalissima, accade in tutte le lingue! Il codice normalizzato, però, è universalmente riconosciuto come l’italiano senz’aggettivi (espressione, se non erro, di Piero Fiorelli).
Fragoroso?Marco1971 ha scritto:[...] Ci aspettiamo però un ingresso un po’ meno fragoroso: c’è sempre il modo per esprimersi sfumando le proprie affermazioni, soprattutto se non sono sostenute da fonti autorevoli. Tutto qui.

E più sfumato di così dove andremo a finire? Col rinnegarle forse?
Infatti, dal momento che "ridicolo" è termine soggettivo, se permette io rido sentendo certe storpiature. Se sono stati i mostri sacri del settore a coniarle - beh, caro Marco, onestamente, con grande arroganza, presunzione e superbia, credo di poter fare a meno di quegli esperti.Marco1971 ha scritto:Il concetto di «ridicolo» è assai soggettivo, labile e epidermico. Per manicure vedrà nel GRADIT (Grande Dizionario Italiano dell’Uso) che la seconda pronuncia data è /mani'kure/; per gli altri due, il problema non si pone, poiché sono doppioni, parole superflue che vogliono scalzare (o hanno in parte scalzato) calcolatore/elaboratore e affari. L’adattamento di computer sarebbe computiere (cfr Arrigo Castellani, Morbus anglicus e il DOP).
Spero che non fraintendiate il mio intervento, che è molto amichevole ma anche molto schietto. In caso contrario, mi defilerò scusandomi per il disturbo. Del resto a Genova si dice:
Seggi zeneize a riso ræo, buzanchitene de tutti e parlighe ciæo.
Buona serata a tutti

In tal caso ha sbagliato indirizzo. Esistono in rete molte piazze virtuali per le chiacchiere sulla lingua. Chi non ha voglia di documentarsi dimostra scarso interesse e serietà. Questa la mia opinione. Lascio ora che si esprimano gli altri.zeneize ha scritto:Come ho già detto, non ho il tempo (e francamente neppure la voglia) per documentarmi come si conviene; mi limito a proporre mie idee ed esprimere pareri su ciò che altri utenti affermano...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Dall'altra sponda delle chiacchiere, invece, vedo molta presunzione. Lo sa che ho sempre controllato tutte le fonti da voi citate? Dimostro poca serietà solo perché mi sono permesso di andare contro l'opinione d'illustri scienziati? E dire che credevo di poter trovare un ambiente rispettoso e - come dire - al livello della gente comune. Mi perdoni, ma essendo nato ventidue anni dopo di lei la mia cultura è piccola, fragile, poco fondata. Le mie conoscenze in materia sono scarsissime. Ma possiedo una capacità di giudicare che mi abililta, se voglio, a dissentire anche da chi ha infinita esperienza più di me. Se cadrò nell'errore poco importa, siamo qui per parlarne.
In conclusione, giusto per dimostrarle che qualcosina leggo anch'io, le dirò che inizio a sposare in pieno quanto manifestato poco più di due secoli fa dall'Accademia dei Pugni.
Le auguro ancora una buona serata
In conclusione, giusto per dimostrarle che qualcosina leggo anch'io, le dirò che inizio a sposare in pieno quanto manifestato poco più di due secoli fa dall'Accademia dei Pugni.
Le auguro ancora una buona serata
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- Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37
Raccogliendo l'invito di Marco, e poiché in fin dei conti sono stato io a cominciare, vorrei specificare quanto ho detto nell'intervento che ha innescato questa lieve diatriba che spero si ricomponga al più presto possibile.
È vero che uno non può andare a cercarsi e leggere tutto quello che è stato scritto sull'argomento, dato che non è qui a fare una tesi di laurea (anche se, perché no?). E certe opere, come il fondamentale libro di Migliorini da me citato, non sono facili da reperire. E può senz'altro capitare che uno esprima un'opinione senza sapere di riecheggiare cose già dette, ed è liberissimo di farlo in prima battuta. Ma non appena si accorge che l'argomento è stato già sviscerato, dovrebbe subito leggersi almeno tutto quello che si è detto qui in merito, Google permette di farlo agevolmente.
Ad esempio, caro zeneize, riguardo al fatto che i forestierismi non vengano più adattati, spero che lei converrà che la sua affermazione - l'italiano prima era lingua "forte" e assimilava, ora è lingua "debole" e non assimila - è tautologica o perlomeno molto generica, non dice granché; mentre l'indicazione di Migliorini (da integrare con considerazioni sulla globalizzazione nella quale viviamo) - che prima le parole si apprendevano soprattutto per via orale e quindi venivano adattate, mentre oggi si apprendono soprattutto per via scritta e quindi non vengono modificate - ha il pregio della precisione, ossia getta una base su cui si può discutere e anche dissentire (forse mi sbaglio, ma mi sembra che infatti Marco abbia a volte dissentito da questo). E molto cose dette da Migliorini in merito sono reperibili in questo forum perché trascritte da me, da Marco e da altri.
La chiudo qui e anch'io, come Marco, lascio la parola agli altri.
È vero che uno non può andare a cercarsi e leggere tutto quello che è stato scritto sull'argomento, dato che non è qui a fare una tesi di laurea (anche se, perché no?). E certe opere, come il fondamentale libro di Migliorini da me citato, non sono facili da reperire. E può senz'altro capitare che uno esprima un'opinione senza sapere di riecheggiare cose già dette, ed è liberissimo di farlo in prima battuta. Ma non appena si accorge che l'argomento è stato già sviscerato, dovrebbe subito leggersi almeno tutto quello che si è detto qui in merito, Google permette di farlo agevolmente.
Ad esempio, caro zeneize, riguardo al fatto che i forestierismi non vengano più adattati, spero che lei converrà che la sua affermazione - l'italiano prima era lingua "forte" e assimilava, ora è lingua "debole" e non assimila - è tautologica o perlomeno molto generica, non dice granché; mentre l'indicazione di Migliorini (da integrare con considerazioni sulla globalizzazione nella quale viviamo) - che prima le parole si apprendevano soprattutto per via orale e quindi venivano adattate, mentre oggi si apprendono soprattutto per via scritta e quindi non vengono modificate - ha il pregio della precisione, ossia getta una base su cui si può discutere e anche dissentire (forse mi sbaglio, ma mi sembra che infatti Marco abbia a volte dissentito da questo). E molto cose dette da Migliorini in merito sono reperibili in questo forum perché trascritte da me, da Marco e da altri.
La chiudo qui e anch'io, come Marco, lascio la parola agli altri.
Signor Roberto, la ringrazio per aver compreso quanto sembrava impossibile esprimere. Mi permetto tuttavia - per l'ultima volta, altrimenti il discorso si fa lungo - di dissentire da chiunque proponga calchi linguistici contrari all'uso diffuso. Se un qualsiasi dizionario proponesse la parola "stàndaro" o "standarto", continuerei a considerarla una parola non facente parte della lingua italiana, dal momento che nessuno - a parte qualche studioso di cui alcuni in questa sede - l'adopera in un contesto "standard", per l'appunto. Per me la traduzione di "standard" è unicamente "stendardo", e siccome non funziona l'espressione italiano stendardo, proporrei di seguire l'uso comune e dire italiano standard oppure italiano normalizzato o italiano tipo o italiano medio. Correggetemi se sbaglio.
Perdonatemi l'arroganza, ma anche leggendo tutta la letteratura sul tema continuerei a seguire la mia opinione. Si tratta forse di un contrasto antico, come quello tra "analogisti" e "anomalisti", ma non vorrei sembrare fuori luogo con questi paragoni. Se cado nell'ovvietà, si sappia che non lo faccio apposta, dal momento che - ovviamente - non sono un esperto del settore.
Circa il quesito iniziale, come qualcuno ha già precisato cliccatore sarebbe da attribuirsi alla persona che compie l'azione di "cliccare" (anche questo è un neologismo, ma è ben diffuso nell'uso comune). Preferirei continuare a dire mouse, poiché si tratta di un oggetto che non aveva un proprio nome in italiano ed è da sempre noto in Italia col suo nome inglese. Che ci piaccia o no, negare questo dato di fatto è controproducente. Chiunque sia a farlo.
Alternativamente, si può sempre ricorrere a perifrasi come dispositivo di puntamento, elaboratore elettronico, ma ciò va contro la praticità, non vi pare?
Da ultimo, vi stuzzico amichevolmente e vi chiedo perché mai non pronunciare mouse alla maniera italiana /'mOwze/ (o /'mowze/?), così come si vorrebbe fare con manicure e garage.
Buona domenica
Perdonatemi l'arroganza, ma anche leggendo tutta la letteratura sul tema continuerei a seguire la mia opinione. Si tratta forse di un contrasto antico, come quello tra "analogisti" e "anomalisti", ma non vorrei sembrare fuori luogo con questi paragoni. Se cado nell'ovvietà, si sappia che non lo faccio apposta, dal momento che - ovviamente - non sono un esperto del settore.
Circa il quesito iniziale, come qualcuno ha già precisato cliccatore sarebbe da attribuirsi alla persona che compie l'azione di "cliccare" (anche questo è un neologismo, ma è ben diffuso nell'uso comune). Preferirei continuare a dire mouse, poiché si tratta di un oggetto che non aveva un proprio nome in italiano ed è da sempre noto in Italia col suo nome inglese. Che ci piaccia o no, negare questo dato di fatto è controproducente. Chiunque sia a farlo.
Alternativamente, si può sempre ricorrere a perifrasi come dispositivo di puntamento, elaboratore elettronico, ma ciò va contro la praticità, non vi pare?
Da ultimo, vi stuzzico amichevolmente e vi chiedo perché mai non pronunciare mouse alla maniera italiana /'mOwze/ (o /'mowze/?), così come si vorrebbe fare con manicure e garage.
Buona domenica

Oppure —piú semplicemente— italiano normale.zeneize ha scritto:...proporrei di seguire l'uso comune e dire italiano standard oppure italiano normalizzato o italiano tipo o italiano medio.
Semmai, mouse si dovrebbe pronunciare /'maus(e)/, con l's sorda, come dice il DiPI:zeneize ha scritto:Da ultimo, vi stuzzico amichevolmente e vi chiedo perché mai non pronunciare mouse alla maniera italiana /'mOwze/ (o /'mowze/?)...
mouse 'maus, ↓-z
Che infatti è la corretta pronuncia inglese, senza "e" finale ovviamente. Per come la vedo io, storpiare un nome straniero dando vita a uno pseudo-calco praticamente isolato non ha alcun senso. Tradurre letteralmente è ancora più assurdo - è vero, tutti hanno tradotto "topo", ma in Italia non s'è mai fatto, e farlo ora vorrebbe dire scalzare un'abitudine ormai consolidata. Meglio allora parlare in termini italiani consueti: dispositivo di puntamento mi pare sia la soluzione più accettabile.Luca86 ha scritto:Semmai, mouse si dovrebbe pronunciare /'maus(e)/, con l's sorda, come dice il DiPI:
mouse 'maus, ↓-z
Sceglie lei quali siano le parole facenti parte della lingua italiana? Quando un termine viene lemmatizzato vuol dire che ha raggiunto una certa stabilità nell’uso, sicché viene registrato. E non le cito Leopardi perché con lei non serve (si veda sotto).zeneize ha scritto:Se un qualsiasi dizionario proponesse la parola "stàndaro" o "standarto", continuerei a considerarla una parola non facente parte della lingua italiana, dal momento che nessuno - a parte qualche studioso di cui alcuni in questa sede - l'adopera in un contesto "standard", per l'appunto.
Italiano tipo sí, italiano medio no, ché si riferisce solo a parte dell’italiano normale (che comprende anche il registro formale e letterario).zeneize ha scritto:...oppure italiano normalizzato o italiano tipo o italiano medio.
Bella professione di fede.zeneize ha scritto:Perdonatemi l'arroganza, ma anche leggendo tutta la letteratura sul tema continuerei a seguire la mia opinione.

Ringrazio Roberto per avere stupendamente esplicitato il mio intervento.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Marco, è chiaro che seguirò la mia opinone fintanto che non sentirò alcun parlante "medio" usare standarto o computiero. Possiamo anche essere d'accordo che siano parole italiane, ma per quel che mi riguarda mi guarderò bene dall'usarle. Se per lei discutere significa farmi cambiare opinione, più che di discussione dovrebbe parlare di opera di convincimento. Possiamo benissimo discutere pur mantenendo punti di vista diversi e soprattutto senza necessariamente rifarsi alla dottrina di chi ha già ampiamente trattato l'argomento. Che questo implichi una mancanza d'originalità mi pare anche naturale: del resto, ogni singola parola od espressione di cui facciamo uso rappresenta uno stereotipo.
In ogni caso, apra un qualsiasi motore di ricerca e guardi quante volte ricorre "standaro" nel significato di "standard". Poi faccia lo stesso con "standarto", "computiero" e i vari che abbiamo citato. Vedrà che quandanche il papa avrà deciso che in italiano si dice così, la maggior parte dei parlanti italiani che mantengono viva la lingua scrollandole di dosso la polvere delle biblioteche (senza nulla togliere alle biblioteche, che però conservano una lingua immobile) non è a conoscenza di tali lemmi per me insulsi. L'unica conclusione è che certi vezzi stilistici - come io li considero - non possono che relegarsi a un ambiente ristretto, un'élite (giusto per restare in tema) probabilmente colta e raffinata ma un tantino avulsa dai meccanismi della lingua viva e dinamica. Senza offesa per nessuno, sono qui per essere contraddetto e corretto.
Buona serata
In ogni caso, apra un qualsiasi motore di ricerca e guardi quante volte ricorre "standaro" nel significato di "standard". Poi faccia lo stesso con "standarto", "computiero" e i vari che abbiamo citato. Vedrà che quandanche il papa avrà deciso che in italiano si dice così, la maggior parte dei parlanti italiani che mantengono viva la lingua scrollandole di dosso la polvere delle biblioteche (senza nulla togliere alle biblioteche, che però conservano una lingua immobile) non è a conoscenza di tali lemmi per me insulsi. L'unica conclusione è che certi vezzi stilistici - come io li considero - non possono che relegarsi a un ambiente ristretto, un'élite (giusto per restare in tema) probabilmente colta e raffinata ma un tantino avulsa dai meccanismi della lingua viva e dinamica. Senza offesa per nessuno, sono qui per essere contraddetto e corretto.
Buona serata

Mi sa invece che lei è qui solo per chiacchierare, non per discutere, e infatti non legge neanche quel che scrivono gli altri: computiere, non *compiutero!, quante volte glielo devo ripetere? Lei si compiace nelle proprie convinzioni, scrive tanto per scrivere, s’incanta di sé stesso (sí, con l’accento), senza fondamento scientifico, senza riferimenti altri che il suo proprio ego.zeneize ha scritto:Senza offesa per nessuno, sono qui per essere contraddetto e corretto.
Prima di lasciarla ai suoi sempiterni discorsini, anche se non solo non ne terrà conto ma neanche leggerà, ritrascrivo, per gli altri, le parole del grande linguista Otto Jespersen – introdotte da Bruno Migliorini (ma chi erano costoro?) –, già trascritte in vari luoghi di questa piazza che lei non ha mai letto né si sognerebbe di leggere, poiché in lei è tutto (grassetto mio):
Ma, in questi ultimi decennii, nuove concezioni sono venute maturando. I linguisti cominciano a persuadersi che accanto al compito che piú propriamente loro compete, di descrivere e chiarire storicamente i fatti linguistici, è doveroso per loro di non straniarsi da un altro compito, quello di contribuire con la loro esperienza a chiarire i problemi pratici che nel divenire della lingua si pongono a ogni momento.
Ha sostenuto autorevolmente questo punto di vista Otto Jespersen, nel secondo Congresso dei linguisti a Ginevra: «Sono fermamente convinto che i dotti non debbano contentarsi di stare passivamente a guardare, ma che debbano prendere parte attiva, ciascuno nel proprio paese, a quelle azioni che stanno modificando le condizioni linguistiche, e a migliorarle ove sia possibile. Troppa parte è lasciata in queste azioni a dilettanti ignari: è un fatto ben noto che non c’è campo delle conoscenze umane in cui il primo venuto creda d’aver maggior titolo ad esprimere senza studio scientifico una propria opinione che nelle questioni concernenti la lingua materna: quando si discute sulla grafia o sulla pronuncia o sulla flessione o sull’uso di un termine, egli ha bell’e pronta una risposta, che per lo piú non è che un ricordo sbagliato di quello che ha imparato a scuola da maestri indotti. Quelli che si sono seriamente occupati delle lingue e del loro sviluppo non debbono tenersi estranei a tali discussioni, ma debbono usare le loro conoscenze a beneficio della propria lingua: altrimenti c’è rischio che essa sia danneggiata dall’influenza conscia di altri che non hanno conoscenze sufficienti per far da guida in questo campo.» («Purismo e neopurismo» in La lingua italiana nel Novecento, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 93.)
Non serve che ribatta con la consueta mancanza di metodo. Se desidera rispondere, legga prima tutto quel che c’è scritto in questo messaggio e sia sicuro d’averlo capito e assimilato. Grazie.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ancora con la storia delle chiacchiere. Lei vuole attaccar briga, ma non le darò pace finché continuerà a macinar parole col paraocchi.
Sull'errore in "computiere" me ne scuso grandemente e farò anzi penitenza, ché senz'altro farà molta differenza se cercherà una forma o l'altra. Entrambe risulteranno inesistenti, fatta eccezione per voialtri sapienti. Tanto meglio.
Sul fondamento scientifico: ma lei crede che le lingue siano bazzecole inventate intorno a un tavolino? Il fatto che la stragrande maggioranza del popolo italiano sgrani gli occhi leggendo "computiere" o "computiero" o come vuol chiamarlo lei non è forse il validissimo fondamento scientifico dell'inapplicabilità di quanto propugnate voi e la vostra schiera di sublimi maestri? Siamo seri. Se io avessi la reputazione che non ho e decidessi che da domani il suo nome è Pincopalla, lei che fa, sta al gioco? O forse protesterebbe reclamando che il suo nome è sempre stato "Marco", e ogni altro è indebito? Così succede anche per "computer", "mouse", "surf" e moltissimi altri. Non riesce ad accettare di buon grado una palese ovvietà che ho avuto modo di riscontrare più volte dovendo tradurre il greco e il latino: che talvolta le lingue possiedono concetti e nomi che non si trovano in altre lingue, e l'unico modo per esprimerli totalmente sarebbe far ricorso al termine originale, poiché ogni traduzione farebbe perdere una parte del loro significato. Si accontenti di dire "dispositivo di puntamento", "elaboratore elettronico", "sport che si pratica stando in equilibrio su una tavola a pelo d'acqua". Oppure faccia come vuole, ma non pretenda di giustificare dei giochini mentali con l'imprimatur del dotto di turno. Il metodo scientifico, caro Marco, prevede infinite confutazioni e non si basa sull'autorevolezza di chi propone le tesi. Un'ovvietà come questa dovrebbe esserle ben chiara.
Mi spiace che lei abbia voluto proseguire una disputa che potevamo benissimo chiudere qui. Ribatterò sempre ogniqualvolta vorrà scrivermi, dal momento che credo nella più ampia libertà di pensiero e nell'uguaglianza intellettuale.
Si ricordi che può contraddirmi quando vuole, aspetto però le sue dimostrazioni. Io, le mie, le ho già date e hanno il pregio dell'evidenza. Se non conosce altra argomentazione che le citazioni il dialogo sarà sempre più sterile.
Buona serata
Sull'errore in "computiere" me ne scuso grandemente e farò anzi penitenza, ché senz'altro farà molta differenza se cercherà una forma o l'altra. Entrambe risulteranno inesistenti, fatta eccezione per voialtri sapienti. Tanto meglio.
Sul fondamento scientifico: ma lei crede che le lingue siano bazzecole inventate intorno a un tavolino? Il fatto che la stragrande maggioranza del popolo italiano sgrani gli occhi leggendo "computiere" o "computiero" o come vuol chiamarlo lei non è forse il validissimo fondamento scientifico dell'inapplicabilità di quanto propugnate voi e la vostra schiera di sublimi maestri? Siamo seri. Se io avessi la reputazione che non ho e decidessi che da domani il suo nome è Pincopalla, lei che fa, sta al gioco? O forse protesterebbe reclamando che il suo nome è sempre stato "Marco", e ogni altro è indebito? Così succede anche per "computer", "mouse", "surf" e moltissimi altri. Non riesce ad accettare di buon grado una palese ovvietà che ho avuto modo di riscontrare più volte dovendo tradurre il greco e il latino: che talvolta le lingue possiedono concetti e nomi che non si trovano in altre lingue, e l'unico modo per esprimerli totalmente sarebbe far ricorso al termine originale, poiché ogni traduzione farebbe perdere una parte del loro significato. Si accontenti di dire "dispositivo di puntamento", "elaboratore elettronico", "sport che si pratica stando in equilibrio su una tavola a pelo d'acqua". Oppure faccia come vuole, ma non pretenda di giustificare dei giochini mentali con l'imprimatur del dotto di turno. Il metodo scientifico, caro Marco, prevede infinite confutazioni e non si basa sull'autorevolezza di chi propone le tesi. Un'ovvietà come questa dovrebbe esserle ben chiara.
Mi spiace che lei abbia voluto proseguire una disputa che potevamo benissimo chiudere qui. Ribatterò sempre ogniqualvolta vorrà scrivermi, dal momento che credo nella più ampia libertà di pensiero e nell'uguaglianza intellettuale.
Si ricordi che può contraddirmi quando vuole, aspetto però le sue dimostrazioni. Io, le mie, le ho già date e hanno il pregio dell'evidenza. Se non conosce altra argomentazione che le citazioni il dialogo sarà sempre più sterile.
Buona serata
Per dovere di cronaca, ho letto il passo di Jespersen e posso dire - nuovamente - che non condivido questo tipo di mentalità. La lingua non è un burattino a disposizione degli studiosi, ma il mezzo che un popolo ha per comunicare. Sta agli studiosi, appunto, individuare e fissare quegli aspetti che vanno delineandosi nella lingua, chiamandoli "regole" ma senza creare un sistema rigido, poiché in tal caso la lingua cesserebbe d'essere viva. La lingua muta, cambia, si evolve, e non certo per un mirato intervento dall'alto. Se consideriamo i mezzi di comunicazione di massa (le piace così?) come un sistema di "intervento dall'alto" che ha manipolato di fatto la lingua, questo per me è da attribuirsi unicamente a due ragioni:
1) la gente è volubile per natura
2) la gente ha imparato l'italiano principalmente da giornali e TV, ed è naturale che abbiano imparato quell'italiano.
I dotti non possono pretendere di stravolgere tutto in corso d'opera. L'unico modo per "prendere parte attiva, ciascuno nel proprio paese, a quelle azioni che stanno modificando le condizioni linguistiche" (Jespersen) è uscire dal proprio guscio e capire che non serve imporre regole laddove la massa va in direzione opposta. Sta sparendo il congiuntivo? Così sia, con buona pace di tutti noi. In latino sparì il locativo, eppure nessuno se ne lagnò. Nella parlata volgare sparirono tutti i casi, ma oggi non li rimpiangiamo affatto. Una caterva di termini latini andò in malora sostituita da prestiti di svariata natura, eppure nel Ventennio si ostinarono ad ammettere l'italianità di albergo in opposizione a hotel, sebbene quest'ultimo avesse nell'antico idioma romano le proprie radici.
La lascio con uno storico latino che traduco sempre con piacere: Sallustio. Il fascino indiscusso dei suoi arcaismi non servì per riportare il latino a una fase più arcaica, forse più "genuina" ma ormai morta. La sua lingua è stata tanto martoriata che oggi, ovunque si parlasse all'epoca, ha cambiato faccia, senza che i dotti potessero opporsi a questo processo, di cui fu autore proprio il vulgus.
Lei può fare come Sallustio. Mi chiedo solo di quali frutti potrà mai godere.
Saluti
1) la gente è volubile per natura
2) la gente ha imparato l'italiano principalmente da giornali e TV, ed è naturale che abbiano imparato quell'italiano.
I dotti non possono pretendere di stravolgere tutto in corso d'opera. L'unico modo per "prendere parte attiva, ciascuno nel proprio paese, a quelle azioni che stanno modificando le condizioni linguistiche" (Jespersen) è uscire dal proprio guscio e capire che non serve imporre regole laddove la massa va in direzione opposta. Sta sparendo il congiuntivo? Così sia, con buona pace di tutti noi. In latino sparì il locativo, eppure nessuno se ne lagnò. Nella parlata volgare sparirono tutti i casi, ma oggi non li rimpiangiamo affatto. Una caterva di termini latini andò in malora sostituita da prestiti di svariata natura, eppure nel Ventennio si ostinarono ad ammettere l'italianità di albergo in opposizione a hotel, sebbene quest'ultimo avesse nell'antico idioma romano le proprie radici.
La lascio con uno storico latino che traduco sempre con piacere: Sallustio. Il fascino indiscusso dei suoi arcaismi non servì per riportare il latino a una fase più arcaica, forse più "genuina" ma ormai morta. La sua lingua è stata tanto martoriata che oggi, ovunque si parlasse all'epoca, ha cambiato faccia, senza che i dotti potessero opporsi a questo processo, di cui fu autore proprio il vulgus.
Lei può fare come Sallustio. Mi chiedo solo di quali frutti potrà mai godere.
Saluti
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