Leggendo l'Eneide nella traduzione di Annibal Caro, mi sono imbattuto in un infinito la cui funzione sintattica m'è oscura. Trascrivo i versi, evidenziando in grassetto l'infinito incriminato:
Ma già contezza avea [Giunone] ch'era di Troia
per uscire una gente, onde vedrebbe
le sue torri superbe a terra sparse,
e de la sua ruina alzarsi in tanto,
tanto avanzar d'orgoglio e di potenza,
che ancor de l'universo imperio avrebbe:
tal de le Parche la volubil rota
girar saldo decreto. (Virgilio, Eneide, trad. Annibal Caro, Libro primo, vv. 29-36)
Ora, si può escludere che si tratti di un passato remoto di sesta persona apocopato, perché il soggetto potrebbe essere soltanto la volubil rota, ch'è singolare (e, comunque, più avanti il troncamento della sesta persona del perfetto è contrassegnato dall'accento circonflesso).
L'unica soluzione plausibile è che vedrebbe regga pure questo verbo, oltre a alzarsi e avanzar. Voi che ne pensate?
Dubbio circa un infinito
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Re: Dubbio circa un infinito
Altra non ne veggo.Ferdinand Bardamu ha scritto:L'unica soluzione plausibile è che vedrebbe regga pure questo verbo, oltre a alzarsi e avanzar. Voi che ne pensate?

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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