Nello scrivere un articolo qualche tempo fa ho dovuto scegliere tra alchemico e alchimico, preferendo il primo, per non correre il rischio che il secondo – poco comune – fosse cassato come refuso. Poco prima, avevo appreso della differenza tra queste due forme sul Treccani in linea, che, alla voce alchemico, dice: «Adattamento dell’ingl. alchemic (der. di alchemy «alchimia»), più comune nell’uso al posto del tradizionale alchimistico e del meno com. alchimico, soprattutto negli usi fig., col senso cioè di misterioso, esoterico, mistificatorio».
Mi chiedo quindi se alchemico, nonostante esistano alternative pienamente italiane nella forma, possa essere comunque accolto senza esitazioni, o se sia da preferire alchimico o alchimistico.
«Alchemico» e «alchimico»
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- Ferdinand Bardamu
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Stranamente il Dop non registra i due termini. Altri vocabolari consultati non fanno il distinguo del Treccani.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Re: «Alchemico» e «alchimico»
Di alchemico non ho trovato attestazioni nella grande letteratura. Solo due occorrenze di alchimico, entrambe presso il cinquecentista Giordano Bruno. Per me, la forma da preferire è alchimistico (4 testimonianze, di cui una di D’Annunzio, che riporto qui sotto).Ferdinand Bardamu ha scritto:Mi chiedo quindi se alchemico, nonostante esistano alternative pienamente italiane nella forma, possa essere comunque accolto senza esitazioni, o se sia da preferire alchimico o alchimistico.
Allora, con quell’arte quasi direi alchimistica che io aveva nel combinare i varii prodotti del mio spirito, analizzai la serie degli «stati d’animo» speciali in me determinati da Giuliana nelle diverse epoche della nostra vita comune, e ne trassi alcuni elementi i quali mi servirono a construrre un nuovo stato, fittizio, singolarmente adatto ad accrescere l’intensità di quelle sensazioni che io voleva esperimentare. (L’Innocente)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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