Elisione di «di» solo se seguito da «i»?
Moderatore: Cruscanti
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Elisione di «di» solo se seguito da «i»?
Ho appena trovato un piccolo testo in cui si danno dei consigli sulla stesura d'un (di un?) libro. In tale testo l'autore scrive:
«Di norma gli articoli la, lo, una, della, dello vanno apostrofati quando la parola che segue inizia con una vocale es. “un’aquila”. Mettere l’apostrofo a “di” solo quando è seguito da una parola che inizia con la “i”. “Qual è” deve essere sempre senza apostrofo. Non spaziare dopo l’apostrofo» (grassetto mio).
Si tratta d'un qualche errore, perché io tendo a elidere con qualsiasi vocale (d'un, d'eleganza, ecc.).
«Di norma gli articoli la, lo, una, della, dello vanno apostrofati quando la parola che segue inizia con una vocale es. “un’aquila”. Mettere l’apostrofo a “di” solo quando è seguito da una parola che inizia con la “i”. “Qual è” deve essere sempre senza apostrofo. Non spaziare dopo l’apostrofo» (grassetto mio).
Si tratta d'un qualche errore, perché io tendo a elidere con qualsiasi vocale (d'un, d'eleganza, ecc.).
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Questo sito contraddice l'autore del testo citato da Andrea Russo. E a mio avviso ha ragione. Si veda anche qui.

«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Secondo me è perché l'elisione di di ha un sapore un po' antiquato; non è certamente sbagliata, ma in un testo tecnico la troverei fuori luogo. Il non elidere gli articoli (peraltro una cosa comune tra giornalisti e scrittori «moderni») è invece segno di un (d'un?) uso davvero trascurato della lingua.
Eppure qualche articolo non eliso si trova nella prosa tutt’altro che trascurata di Giacomo Devoto e di Giovanni Nencioni...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non mi permetto di avvicinarmi ai professionisti nominati da Marco, né di mettere in dubbio la correttezza dei vostri interventi, vorrei solo rendervi partecipi del mio uso della lingua: personalmente, nello scritto, tendo a elidere gli articoli il meno possibile, tranne quando si presentino cacofonie stridenti o quando sia veramente indispensabile alla agilità del periodo.
La ragione, nel mio caso, non deriva da una trascuratezza nell'uso della nostra lingua, quanto dal mio rapporto continuato con gli studenti Erasmus, e studenti in scambio in generale; l'elisione, fenomeno che la nostra lingua condivide con il francese (che credo però lo pratichi in misura maggiore), è gradevole quando usata tra madrelingua, e anche molto utile a ottenere effetti letterari, tuttavia richiede, come è giusto, maggiore attenzione agli aspetti fonetici e maggiore destrezza nella scrittura del testo.
Penso che la mancata elisione degli articoli, se attuata consapevolmente e non come forma di lassismo o di ignoranza esibita, abbia il pregio di rendere la nostra lingua più regolare e più gestibile, qualità che possono risultare molto utili quando la chiarezza del messaggio presenti un peso preponderante nella comunicazione, come spesso mi capita nella comunicazione con gli erasmi, ovviamente non madrelingua (erasmo/i è il nostro neologismo per italianizzare erasmus).
Credo, riassumendo, che il giudizio sul mancato uso delle elisioni debba dipendere, almeno in parte, dalle ragioni alla base di tale scelta.
La ragione, nel mio caso, non deriva da una trascuratezza nell'uso della nostra lingua, quanto dal mio rapporto continuato con gli studenti Erasmus, e studenti in scambio in generale; l'elisione, fenomeno che la nostra lingua condivide con il francese (che credo però lo pratichi in misura maggiore), è gradevole quando usata tra madrelingua, e anche molto utile a ottenere effetti letterari, tuttavia richiede, come è giusto, maggiore attenzione agli aspetti fonetici e maggiore destrezza nella scrittura del testo.
Penso che la mancata elisione degli articoli, se attuata consapevolmente e non come forma di lassismo o di ignoranza esibita, abbia il pregio di rendere la nostra lingua più regolare e più gestibile, qualità che possono risultare molto utili quando la chiarezza del messaggio presenti un peso preponderante nella comunicazione, come spesso mi capita nella comunicazione con gli erasmi, ovviamente non madrelingua (erasmo/i è il nostro neologismo per italianizzare erasmus).

Credo, riassumendo, che il giudizio sul mancato uso delle elisioni debba dipendere, almeno in parte, dalle ragioni alla base di tale scelta.

Ultima modifica di Modna in data dom, 15 gen 2012 13:45, modificato 1 volta in totale.
- Ferdinand Bardamu
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Conviene ricordare, per il lettore, che gli unici articoli per cui è ammessa discrezionalità nell'elidere sono i femminili la e una, in quanto per lo l'elisione è obbligatoria, mentre per gli e le è tipica oggi di un registro elevato.
Personalmente trovo irritante, soprattutto all'udito, la mancata elisione degli articoli femminili, che avverto soprattutto nei discorsi dei politici o dei burocrati.
Personalmente trovo irritante, soprattutto all'udito, la mancata elisione degli articoli femminili, che avverto soprattutto nei discorsi dei politici o dei burocrati.

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Sí, Andrea, l’amiche è di registro elevato, letterario – e popolare toscano, per ovvie ragioni storiche. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Che bello che sia popolare toscano e di registro elevato allo stesso momento!Marco1971 ha scritto:Sí, Andrea, l’amiche è di registro elevato, letterario – e popolare toscano, per ovvie ragioni storiche.
Una domanda sull'uso del trattino lungo (o lineetta): Lei lo ha usato per separare, e quindi (penso) per mettere in qualche misura in evidenza, la seconda parte del suo intervento. Serianni, nella sua Grammatica, dice soltanto che il trattino lungo ha due funzioni: introdurre un discorso diretto e segnalare un inciso, nel qual caso ne useremmo due (come si fa con le parentesi e con le virgole). Se non ricordo male, questo uso del trattino lungo è tipico dell'inglese.
Da una rapida ricerca sul Prontuario della Garavelli non ho trovato nulla.
Insomma, sono io che non sono al corrente di questo suo impiego, o è Lei che si sta anglicizzando (non credo!:D)?
Infatti è un inciso (che mette piú in risalto rispetto alle parentesi), e se la fine dell’inciso corrisponde con la fine della frase, non s’inserisce la lineetta di chiusura, assorbita dal punto (come anche viene assorbita dalla parentesi di chiusura). C’è un filone su questo, che non ho tempo ora, purtroppo, di cercare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ritrovailo (:D): è questo. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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La ringrazio molto!
Non ero a conoscenza di quest'uso. Purtroppo non ho ancora avuto il tempo di leggermi tutto il Prontuario, anche se quando ho qualche ritaglio di tempo (che sono pochi) cerco di leggere qualche paragrafo che m'interessa particolarmente.
Comunque non mi tornava proprio il termine inciso nel suo intervento, perché personalmente lo intendo come un qualcosa che è inserito «all'interno di un'altra frase», come dice il Sabatini-Coletti.

Non ero a conoscenza di quest'uso. Purtroppo non ho ancora avuto il tempo di leggermi tutto il Prontuario, anche se quando ho qualche ritaglio di tempo (che sono pochi) cerco di leggere qualche paragrafo che m'interessa particolarmente.
Comunque non mi tornava proprio il termine inciso nel suo intervento, perché personalmente lo intendo come un qualcosa che è inserito «all'interno di un'altra frase», come dice il Sabatini-Coletti.
Vero è che di solito l’inciso si presenta racchiuso all’interno di una frase; ma non sempre: può anche concludere la frase (e in tal caso non si ripete la lineetta). Questa definizione, tratta dal Gabrielli in linea, è forse migliore:Andrea Russo ha scritto:Comunque non mi tornava proprio il termine inciso nel suo intervento, perché personalmente lo intendo come un qualcosa che è inserito «all'interno di un'altra frase», come dice il Sabatini-Coletti.
B s.m.
1 LING Parola o frase inserita in un contesto dal quale è sintatticamente indipendente.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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