Tutto molto chiaro. Vi ringrazio delle risposte. M'è affiorato in mente, però, un altro dubbio, che vi espongo qui sotto, affine a quello di PersOnLine.
Infarinato ha scritto:Non è tanto la «convinzione», mi pare, quanto la fattualità a rendere possibile, se non preferibile, l’indicativo: ecco perché, in dipendenza da credere, questo modo sembra comparire di preferenza nei tempi passati.
Mi chiedo se ci sia un modo per stabilire oggettivamente la fattualità di un enunciato. Un criterio è quello da lei suggerito: laddove nella subordinata retta da
credere ci sia un tempo passato, che denota un'azione, un evento o uno stato conchiuso, non piú in fieri (perciò piú «fattuale»), potrebbe essere impiegato il modo indicativo (a patto che
credere esprima una convinzione piú che una valutazione personale, mi sembra di capire).
Se invece siamo di fronte a un tempo presente, pare aprirsi uno spazio di maggiore arbitrarietà, in cui il parlante può giustificare
a posteriori il suo uso dell'indicativo. Ricordo, ad esempio, che in una pubblicità di qualche anno fa la voce fuori campo diceva: «noi di Vattelapesca crediamo che i cani
sono belli fuori quando sono belli anche dentro». Gli autori dell'annuncio si giustificarono del presunto errore dicendo che la ditta Vattelapesca aveva la ferma convinzione che il corretto funzionamento degli organi interni dell'animale si nota anche all'aspetto.
La scelta dell'indicativo sarebbe dunque stata ponderata dai pubblicitari e non potrebbe essere criticata, giacché il confine fra convinzione (soggettiva) e opinione è sottile e sfugge all'analisi dell'interlocutore. Insomma, non si potrebbe mai criticare l'uso dell'indicativo al posto del congiuntivo in dipendenza da
credere, perché potrebbe intervenire l'interpretazione ad hoc del parlante; e questo anche al passato (es. «credo che
sia stata una bella partita» / «credo che
è stata una bella partita»). Al contrario, l'uso improprio del congiuntivo potrebbe essere additato con relativa facilità, come nel caso d'una professione di fede.