Ho appena scoperto (:oops:) che la prima grafia (nel senso di preferita o di lemmatizzata nei dizionari) di abietto è con una b e non con due come pensavo, e come tra l'altro si sente pronunciare spesso. M'è venuto quindi un dubbio: le due grafie stanno nello stesso rapporto che intercorre tra obiettivo e obbiettivo, con la prima come forma dotta e la seconda come forma popolare, di derivazione diretta?
Il Gabrielli segna come antica la grafia con due b.
Probabile. In ogni caso le due forme si alternano nell’uso letterario: l’archivio BIZ[a] dà 125 ricorrenze di abiett* e 140 di abbiett*. Preferisco quest’ultima forma, foneticamente «piú italiana».
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
La ringrazio della risposta, sempre rapidissima, e della ricerca!
Io pensavo che avrebbe preferito la grafia con una b, ma forse perché sto mettendo in relazione questa situazione con quella di ob(b)iettivo.
Mi pare che anche Infarinato preferisca la forma «obbiettivo» perché foneticamente piú italiana, ma potrei aver capito male il suo pensiero leggendo un suo intervento.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Ecco le statistiche letterarie anche per ob(b)iettiv*:
obiettiv*: 13
obbiettiv*: 12
Mi aspettavo molte piú occorrenze... Comunque, anche qui, le due forme convivono in modo equilibrato (persino in uno stesso autore).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.