«Che bello!»
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«Che bello!»
Il linguista Aldo Gabrielli, nel suo “Dizionario Linguistico Moderno”, condanna le espressioni “Che bello!”, “Che buono!” e simili perché – sostiene - in questi casi la congiunzione “che” ha valore di aggettivo dimostrativo e sta per “quale” e in quanto tale non può essere unito direttamente a un altro aggettivo ma o a un sostantivo o a un altro aggettivo seguito da un nome. Mi sembra, invece, che si possa adoperare correttamente perché in questi casi ‘bello’ e ‘buono’ sono aggettivi sostantivati e stanno per ‘bellezza’ e ‘bontà’: che bello! (che bellezza!), nevica; faremo una bella vacanza.
Sono confortato da un grande autore: «...e se arriviamo un'altra volta ad avere delle barche sull'acqua, e a mettere i nostri letti laggiù, in quella casa, vedrete che bello starsi a riposare su quell'uscio, la sera quando si torna a casa stanchi, e che la giornata è andata bene». (Verga)
Sono confortato da un grande autore: «...e se arriviamo un'altra volta ad avere delle barche sull'acqua, e a mettere i nostri letti laggiù, in quella casa, vedrete che bello starsi a riposare su quell'uscio, la sera quando si torna a casa stanchi, e che la giornata è andata bene». (Verga)
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Infatti il Gabrielli del Dizionario Linguistico era ancora immaturo e condizionato o dalle regole fantasma, o dal purismo ottocentesco, che non poggiava su basi ricevibili e scientifiche.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Abbiamo un'altra regola fantasma? Tra l'altro, il che aggettivo esclamativo, piú che essere legato a una sostantivazione dell'aggettivo, a mio parere assume un significato simile quanto. Si confronti quanto dice il Treccani in linea s.v. «che2»:
che può essere anche isolato, in funzione predicativa, nel qual caso che acquista quasi valore di «quanto»: O che lieve è inganar chi s’assecura! (Petrarca); senza la copula, il nesso che esclamativo più aggettivo è frequente nell’uso region. (soprattutto settentr.): che bello!; che simpatico!; ecc. In espressioni analoghe di ammirazione o di biasimo, che è anche posposto all’aggettivo: pazzo che sei!; belle che sono quelle margherite!
Il Treccani c'informa che è un uso regionale settentrionale. In Toscana si usa?
Sicuramente settentrionale è il giro di frase «che + aggettivo + che + verbo essere»: es. «Che bello che è». Non mi è chiara la funzione di quel secondo che. Pare un che polivalente, con valore di pseudo-relativo, similmente al que/qui delle interrogative francesi «Qui est-ce que/qui» (ma qui m'avventuro in terreno a me incognito e attendo gli strali di Marco
).
che può essere anche isolato, in funzione predicativa, nel qual caso che acquista quasi valore di «quanto»: O che lieve è inganar chi s’assecura! (Petrarca); senza la copula, il nesso che esclamativo più aggettivo è frequente nell’uso region. (soprattutto settentr.): che bello!; che simpatico!; ecc. In espressioni analoghe di ammirazione o di biasimo, che è anche posposto all’aggettivo: pazzo che sei!; belle che sono quelle margherite!
Il Treccani c'informa che è un uso regionale settentrionale. In Toscana si usa?
Sicuramente settentrionale è il giro di frase «che + aggettivo + che + verbo essere»: es. «Che bello che è». Non mi è chiara la funzione di quel secondo che. Pare un che polivalente, con valore di pseudo-relativo, similmente al que/qui delle interrogative francesi «Qui est-ce que/qui» (ma qui m'avventuro in terreno a me incognito e attendo gli strali di Marco

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