Se tu avessi pensato che ero io, perché non mi hai risposto?
Moderatore: Cruscanti
Se tu avessi pensato che ero io, perché non mi hai risposto?
Buonasera mi stavo chiedendo se la frase sottostante fosse/sia corretta:
Se tu avessi pensato che ero io, perché non mi hai risposto?
Lo stesso dubbio mi viene per una molto simile:
Se tu hai pensato che sono/sono stato io, perché non mi hai risposto?
Se tu avessi pensato che ero io, perché non mi hai risposto?
Lo stesso dubbio mi viene per una molto simile:
Se tu hai pensato che sono/sono stato io, perché non mi hai risposto?
Il verbo pensare, all’infuori del senso di ‘riflettere’, richiede il congiuntivo; l’uso dell’indicativo denota sciatteria se non in contesti molto informali.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Senza contesto, la frase per me piú naturale sarebbe:
Se tu hai pensato che fossi io, perché non mi hai risposto?
Se tu hai pensato che fossi io, perché non mi hai risposto?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Souchou-sama
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Però il «tu» esplicito, in una frase come questa, suona molto toscaneggiante [o, altrove, un po’ macchinoso*], mi creda.Marco1971 ha scritto:Senza contesto, la frase per me piú naturale sarebbe:
Se tu hai pensato che fossi io, perché non mi hai risposto?

Inoltre, suggerisco il piú naturale «m’hai» al posto di «mi hai».
Comunque, forse io direi piuttosto «pensavi» che «hai pensato»: tendenzialmente, evito d’appesantir il parlato cólle forme composte (quando sono sostituibili senza rilevanti cambiamenti di significato). Riporto i risultati di Google:
se tu hai pensato che fossi io → 0
se hai pensato che fossi io → 1
se tu pensavi che fossi io → 0
se pensavi che fossi io → 9
Mi rendo conto che sono decontestualizzate, e quindi valgon quel che valgono, però le altre tre sono anche… inesistenti.

* Dove per «macchinoso» intendo che pare una frase tratta da un libro d’italiano per stranieri o cose simili, coi soggetti sempre espliciti &c. So che Le è già stato fatto notare, caro Bior, ma — è consapevole che qui «n[on] si svolgono esercizi scolastici», vero?

Grazie per avermi risposto in primis.
Anche a me piace di più la frase:
Se pensavi che fossi io, perchè non mi hai risposto?
La mia perplessità è nata dunque dal fatto che il periodo ipotetico vuole, preferisce il congiuntivo al posto dell'indicativo, ad esempio provando a modificare la frase di prima, abbiamo:
Se tu avessi pensato che ero(fossi o fossi stato?) io, avresti anche potuto telefonarmi?
In questo contesto penso sia preferibile per alcune grammatiche( non saprei) l'uso obbligatorio del congiuntivo imperfetto al posto dell'indicativo. Ma a dire il vero come la frase ad inizio riga, ce ne sono tante altre che secondo me suonano meglio con l'indicativo imperfetto.
Anche a me piace di più la frase:
Se pensavi che fossi io, perchè non mi hai risposto?
La mia perplessità è nata dunque dal fatto che il periodo ipotetico vuole, preferisce il congiuntivo al posto dell'indicativo, ad esempio provando a modificare la frase di prima, abbiamo:
Se tu avessi pensato che ero(fossi o fossi stato?) io, avresti anche potuto telefonarmi?
In questo contesto penso sia preferibile per alcune grammatiche( non saprei) l'uso obbligatorio del congiuntivo imperfetto al posto dell'indicativo. Ma a dire il vero come la frase ad inizio riga, ce ne sono tante altre che secondo me suonano meglio con l'indicativo imperfetto.
Anche un toscano occidentale, secondo me. Ma il pronome esplicito non è usato dialettalmente anche in Italia settentrionale? Capisco che ci sia molta più difficoltà a trasferire strutture dialettali in italiano rispetto al toscano, ma tutto questo non dovrebbe suonarvi così strano, o no?Souchou-sama ha scritto:Penso che qualsiasi parlante non-toscano direbbe semplicemente «se hai pensato».
- Infarinato
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No, solo il «periodo ipotetico della possibilità/irrealtà», non quello «della realtà»!bior ha scritto:La mia perplessità è nata dunque dal fatto che il periodo ipotetico vuole, preferisce il congiuntivo al posto dell'indicativo…
Sí, ma comunque sempre il congiuntivo in dipendenza da pensare (quando non significhi «riflettere»): fossi o fossi stato, a seconda che si tratti di contemporaneità o d’anteriorità rispetto all’atto di pensare espresso dalla condizionale.bior ha scritto:Se tu avessi pensato che ero (fossi o fossi stato?) io, avresti anche potuto telefonarmi?
- Ferdinand Bardamu
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A me non suona (tanto) strano «Se tu hai pensato…». Forse, spontaneamente, nell'impeto d'una qualche invettiva, non l'userei; ma non sarebbe cosí toscaneggiante, per me.Carnby ha scritto:Ma il pronome esplicito non è usato dialettalmente anche in Italia settentrionale? Capisco che ci sia molta più difficoltà a trasferire strutture dialettali in italiano rispetto al toscano, ma tutto questo non dovrebbe suonarvi così strano, o no?
«Appesantire», dice? Nel senso di «allungare»? In realtà, in genere, le forme analitiche sono piú «popolari», per cosí dire, di quelle organiche (cfr. più buono ~ migliore); in un certo senso, quindi, sono piú spontanee e piú leggere, almeno in termini di elaborazione mentale.Souchou-sama ha scritto:Comunque, forse io direi piuttosto «pensavi» che «hai pensato»: tendenzialmente, evito d’appesantir il parlato cólle forme composte (quando sono sostituibili senza rilevanti cambiamenti di significato).
Nel caso di specie, però, mi sembra che passato prossimo e imperfetto non siano pienamente intercambiabili. L'imperfetto descrive il processo nel suo svolgimento o nella sua durata; il passato prossimo – ricordando peraltro che nel Settentrione è l'unico tempo che abbiamo per esprimere un'azione compiuta, puntuale e priva di legami col presente – sottolinea la «‘rilevanza attuale’ del processo» (Bertinetto 1986: 437, cit. in Serianni 2000).
- Souchou-sama
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Oddio, non saprei. Come dice Lei, un conto è intrecciare italiano e “dialetto” toscano, un altro è mischiare l’italiano con un dialetto del Nord. Sicché, mentre parlo italiano, non tendo affatto a pensare a costrutti dialettali o cose simili. Tra i due c’è un tale abisso che rischio soltanto d’andar in confusione! Comunque, io personalmente non percepisco quel tu come «spontaneo» o «non strano», perché parlando in italiano non lo direi mai. In dialetto, non saprei: ne ho una conoscenza molto piú passiva che attiva. Se a Ferdinand suona meno strano, è probabile che in Veneto sia piú usato che dalle mie parti. Leggo su Wikipedia, per es., che in veneto te parlavi significa «parlavi», mentre parlavi significa «parlavate» (!): non mi stupisce, quindi, che Ferdinand tenda a percepire l’abbondanza di pronomi come qualcosa di naturale e, anzi, necessario.Carnby ha scritto:Ma il pronome esplicito non è usato dialettalmente anche in Italia settentrionale?
Eh eh, certo, caro Ferdinand, sono piú «leggère in termini d’elaborazione mentale», ma sono anche piú sciatte!Ferdinand Bardamu ha scritto:«Appesantire», dice? Nel senso di «allungare»? In realtà, in genere, le forme analitiche sono piú «popolari», per cosí dire, di quelle organiche (cfr. più buono ~ migliore); in un certo senso, quindi, sono piú spontanee e piú leggere, almeno in termini di elaborazione mentale.

Certo, non lo sono pienamente, e permangono delle sfumature di significato — ma io parlavo di «cambiamenti rilevanti». Qui, mi pare che le sfumature siano sacrificabili alla maggior naturalezza dell’enunciato.Ferdinand Bardamu ha scritto:Nel caso di specie, però, mi sembra che passato prossimo e imperfetto non siano pienamente intercambiabili.
A proposito di naturalezza, probabilmente io direi perché non hai risposto? anziché perché non mi hai risposto? — è inutile ribadire ciò che risulta evidente dal contesto.
- Ferdinand Bardamu
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Giusta la precisazione, ma io intuivo – come lei stesso mi conferma – che per lei passato prossimo e imperfetto fossero intercambiabili. Perciò, benché sia morfologicamente improprio mettere a raffronto questi due tempi, lo possiamo fare nel caso specifico.Souchou-sama ha scritto:Scherzi a parte, 1) non stavo parlando di hai pensato vs. pensasti (nel qual caso varrebbe il Suo discorso)

Poi, ho ben capito la celia sulla sciatteria; però vorrei esprimermi a favore del «parlare sciatto», dell'a me mi e dell'anacoluto. Nel sermo cotidianus, tematizzazioni, temi sospesi, comparativi analitici, ecc. sono normalissimi, e, anzi, sarebbe affettazione evitarli (sistematicamente).
Naturalmente, non mi rivolgo a lei (che so bene avere una fine sensibilità a questo riguardo), ma a una tendenza generale – dovuta alla scuola, suppongo – per cui si dovrebbe parlare e scrivere come un libro stampato in qualunque situazione comunicativa. Immagino sia il retaggio del peccato originale dell'italiano: quello di essere nato come lingua dei cólti. [Chiusa la digressione.]
Non sono sicuro di essere d'accordo. Non credo che a un imperfetto e un passato prossimo si possa applicare un criterio di «pesantezza», il quale, al limite, potrebbe tornare utile nel giudicare gli stessi tempi in poesia o, tutt'al piú, in una prosa che ambisse a particolari risultati estetici. La sua mi sembra piú un'osservazione da esteta, da poeta (vuol essere un complimentoSouchou-sama ha scritto:2) come ha già intuíto, mi riferivo alla lunghezza e, appunto, “pesantezza” della frase in sé, non dell’elaborazione mentale [ché questo è un altro discorso, oltre a esser molto soggettivo: la “pesantezza” dell’elaborazione mentale dipende dall’intelligenza, estrazione sociale &c d’ogni individuo].

Dubito, personalmente, che una persona possa tener conto dell'agilità delle sue parole in un eloquio spontaneo. (Ma questa, va da sé, è una banalità.)
Per me naturalezza (se vogliamo: leggerezza o pesantezza «dell'elaborazione mentale») non coincide sempre con brevità. Al contrario: per tirare di nuovo in ballo i comparativi sintetici, maggiore e minore sono per me molto meno spontanei di piú grande e piú piccolo, di là dalla differenza di lunghezza (che, nel parlato, non è poi cosí grande).Souchou-sama ha scritto:Nel caso di specie, però, mi sembra che passato prossimo e imperfetto non siano pienamente intercambiabili.
Certo, non lo sono pienamente, e permangono delle sfumature di significato — ma io parlavo di «cambiamenti rilevanti». Qui, mi pare che le sfumature siano sacrificabili alla maggior naturalezza dell’enunciato.
- Souchou-sama
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Be’, sí, mi ha còlto in fallo! Temo proprio di non riuscire a non pensare in termini esteti[sti]ci. Da sedicente traduttore [il che ha molto in comune coll’essere scrittore o «esteta» o «poeta»], diciamo che si tratta di deformazione professionale… Comunque, grazie per il «complimento».Ferdinand Bardamu ha scritto:Non sono sicuro di essere d'accordo. Non credo che a un imperfetto e un passato prossimo si possa applicare un criterio di «pesantezza», il quale, al limite, potrebbe tornare utile nel giudicare gli stessi tempi in poesia o, tutt'al piú, in una prosa che ambisse a particolari risultati estetici. La sua mi sembra piú un'osservazione da esteta, da poeta (vuol essere un complimento).
Dubito, personalmente, che una persona possa tener conto dell'agilità delle sue parole in un eloquio spontaneo. (Ma questa, va da sé, è una banalità.)

Non mi fraintenda: dico che pensavi è piú naturale non perché è piú breve, ma perché a me suona piú naturale, piú spontaneo. Tutto qui! Poi, se la brevità sia il motivo per cui mi risulta piú naturale, questo non lo so. È una questione d’orecchio.Ferdinand Bardamu ha scritto:Per me naturalezza (se vogliamo: leggerezza o pesantezza «dell'elaborazione mentale») non coincide sempre con brevità.

- Ferdinand Bardamu
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Un'ultima replica (sennò mi allargo troppo coi fuori tema): non sempre è bello… ciò che è bello. L'opera di un magnifico «iconoclasta» come Céline non vale meno delle delizie di Nabokov. E qui, davvero, chiudo, ché altrimenti potremmo andare avanti per mesi.Souchou-sama ha scritto:Be’, sí, mi ha còlto in fallo! Temo proprio di non riuscire a non pensare in termini esteti[sti]ci. Da sedicente traduttore [il che ha molto in comune coll’essere scrittore o «esteta» o «poeta»], diciamo che si tratta di deformazione professionale… Comunque, grazie per il «complimento».![]()

P.S. Il mio complimento era ovviamente senza virgolette: ho grande stima per chi ama e sa cogliere il bello.

- Souchou-sama
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Su questo mi trova perfettamente d’accordo. Certo non sarebbe necessario fare tali precisazioni lessicali, se soltanto il popol(in)o non confondesse cosí facilmente —per dirla con Kant— il Bello (artistico) con ciò che è (meramente) piacevole, e che invece i piú s’ostinano a chiamare «bello». Ma qui chiudo anch’io.Ferdinand Bardamu ha scritto:Un'ultima replica (sennò mi allargo troppo coi fuori tema): non sempre è bello… ciò che è bello. L'opera di un magnifico «iconoclasta» come Céline non vale meno delle delizie di Nabokov. E qui, davvero, chiudo, ché altrimenti potremmo andare avanti per mesi.

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