Il «che» polivalente

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Zabob
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Il «che» polivalente

Intervento di Zabob »

Mi richiamo a quest'articolo per fare un paio di osservazioni/domande agli esperti:

1) I primi due esempi e quelli dei punti 29-30 («vieni che ti pettino»; «vai a dormire che ne hai bisogno»; «prestami la penna che te la do subito»; «largo che passa la signora») riportano usi del "che" che (a differenza di tanti altri presentati) mi paiono legittimi e corretti, ma in cui io (sarà un vezzo, sarà perché mi sembra di essere più "preciso" nello scrivere) adopero sempre il "ché" al posto di "che" (in special modo in una frase come «vai a dormire ché ne hai bisogno», in cui sento quel "ché" come il "residuo" di un "poiché", "giacché"...). Faccio male?

2) Non mi sembra che sia presente una frase in cui il "che" abbia una funzione equivalente a quella che ha nelle frasi «c'erano più malati che sani», «quel portiere ha preso più goal in quella partita che in tutte le altre in cui ha giocato», ecc. Perché non è contemplato fra gli usi del "che" polivalente?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Benvenuto, Zabob! :)

Per l’accentazione del che, la forma ché è di registro alto, sicché non s’adoprerebbe in frasi colloquiali come vai a dormire che ne hai bisogno.

Il che polivalente è cosí chiamato anche perché viene impiegato al posto d’una costruzione piú «propria», ad esempio al posto di in cui in un esempio come il giorno che c’incontrammo, ecc. Ma nelle comparative da lei citate, il che è l’unica possibilità, ragion per cui non rientra negli usi del che polivalente. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Gentile Marco1971, la ringrazio per il benvenuto (in effetti, era il mio primo intervento) e per la cortese risposta.
Nello specifico: come rendere meno "colloquiale" (ovvero, con cosa sostituire il che polivalente) nella frase dell'esempio? Direi con «Va' a dormire: ne hai bisogno». È d'accordo?

Peraltro, mi sembra che in certi casi un "ché" accentato possa dare un diverso senso a una frase. Esempio:
«Gli scrisse che non aveva sue notizie da molto tempo» («Gli scrisse di non avere sue notizie da molto tempo»)
«Gli scrisse, ché non aveva sue notizie da molto tempo» («Gli scrisse, poiché non aveva sue notizie da molto tempo»)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, ma la colloquialità non costituisce di per sé un difetto; anzi una frase come Al tàlamo appropínquati: è d’uopo che tu prema le piume potrebbe, se compresa dall’interlocutore, essere presa solo come uno scherzo. :D Sono d’accordo sulla soluzione della semplice soppressione del che, sostituito, nello scritto, con i due punti, e nel parlato con una lieve pausa e l’intonazione acconcia.

È anche vero che il ché accentato consente di disambiguare in certi casi, seppure qui la sola virgola tale ufficio adempie.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di PersOnLine »

«Tu che sei nata dove c'è sempre il sole/sopra uno scoglio che ci si può tuffare» (Fabio Concato, Fiore di maggio), penso sia uno dei più conosciuti esempi di che polivalente nella musica leggera italiana; vorrei sapere l'opinione in merito del nostro gentile Marco: quant'è accettabile o condannabile quest'uso, in casi come questo?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Il che polivalente, in casi simili, appartiene ai due poli del letterario e del popolare; è escluso dalla lingua formale. Piú in generale, possiamo dire che la lingua neutra, l’italiano «inappuntabile», è quel tipo di lingua che consente meno libertà, perché governata da norme alquanto rigide, che sono quelle universalmente riconosciute in un dato periodo storico.

Nel testo della canzone, quel che svolge una funzione espressiva che mancherebbe se al suo posto ci fosse da cui: è proprio lo scarto dalla regolarità e dalla prevedibilità uno degli ingredienti dello stile. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Piccolo fuori tema: giacché mi piace sempre dar contro a chi pensa che la poesia sia pura ispirazione impetuosa e sregolata [alla Sturm und Drang, insomma], faccio notare come il testo citato da PersOnLine nasconda un alternarsi di quinari (entrambi di 1ª-4ª) e settenari (entrambi di 1ª-4ª-6ª). Meno «sregolato» di cosí… :)

Tu che sei nata
dove c’è sempre il sole,
sopra uno scoglio
che ci si può tuffare…
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Intervento di PersOnLine »

Essendo una canzone, penso sia d'obbligo una metrica ben precisa, ma non me ne intendo.
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Intervento di PersOnLine »

«…e quell'aria da bambina/che non glielo detto mai/ma io ci andavo matto» (Cluadio Baglioni, Questo piccolo grande amore) anche in questo caso si tratta di che polivalente? Nel precedente veniva naturale la sostituzione con un più appropriato «da cui», in questo, invece, non mi sembra plausibile alcuna sostituzione.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

...e quell’aria da bambina / che non gliel’ho detto mai...: che polivalente relativo, cioè di cui non le ho detto mai. È comune la ripresa pronominale con lo in questi costrutti popolari e poetici. Si veda qui, accezione 2 e note in fondo alla voce.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di PersOnLine »

Marco1971 ha scritto:...e quell’aria da bambina / che non gliel’ho detto mai...
Ho copiato la citazione direttamente da un sito di testi: non ho controllato nemmeno a controllare se fosse corretta. :oops:
Ultima modifica di PersOnLine in data ven, 16 mag 2014 11:26, modificato 1 volta in totale.
Bue
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Re: Il "che" polivalente

Intervento di Bue »

Zabob ha scritto:…sento quel "ché" come il "residuo" di un "poiché", "giacché"…
Questa spiegazione dell'accento su "che" a me non è mai "tornata" fin dalle elementari (anche se allora era per un altro motivo, legato alla pronuncia nordica: ci insegnavano a pronunciare "ché" con la è aperta del *perchè* nordico, e quindi mi risultava una parola totalmente artificiosa e fasulla).

Ma ora continua a non tornarmi per un altro motivo. Perché mai dovrebbe essere il "residuo" di "giacché" o "cosicché" o "perché", quando queste sono univerbazioni di "gia` che", "cosi` che", e "per che" in cui la parola originaria era "che" non accentato, e l'accento grafico ha solo lo scopo di riprodurre l'accento tonico nel polisillabo?
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Infatti non si tratta di una forma aferetica di perché e simili. Cito dal Treccani (sottolineature mie):

ché cong. – È la cong. che, adoperata col senso di perché (interrogativo o causale), e scritta con l’accento perché pronunciata con tono vibrato: padre mio, ché non m’aiuti? (Dante)
Bue
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Intervento di Bue »

aah! quindi va letta con la "e" chiusa ma vibrata :D

Battute a parte, se non capisco male va scritta con l'accento appunto quando e` usata in tono enfatico... Nella frase colloquiale "Scappo che sono in ritardo", io il tono vibrato non ce lo vedo, e l'accento non ce lo metto! Faccio bene?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Fa benissimo. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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