«Sto» e «’sto»

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

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Marco1971
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«Sto» e «’sto»

Intervento di Marco1971 »

Sono legittime entrambe le forme: ecco la risposta di Luca Serianni.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

E stó? :mrgreen:
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
CarloB
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Intervento di CarloB »

Avrei pensato (ma sono evidentemente disinformato e passatista) che si scrivesse soltanto 'sto.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ho controllato nel Battaglia: tutti gli esempi letterari, anche antichi, hanno solo la grafia senz’apostrofo. La cosa che mi lascia perplesso, però, è che il lemma è scritto proprio coll’accento acuto: Stó :shock: mentre nessun accento nelle citazioni. Sarà un refuso...

Comunque, se bisogna fare una scelta, propenderei per la grafia consolidata: niente apostrofo. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
CarloB
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Intervento di CarloB »

Ne prendo atto e mi adeguerò, caro Marco. Solo che me parrà dd'esse Ggiggi Proietti :lol: (Ho sbagliato qualcosa?)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

CarloB ha scritto:Ne prendo atto e mi adeguerò, caro Marco. Solo che me parrà dd'esse Ggiggi Proietti :lol: (Ho sbagliato qualcosa?)
No, caro Carlo, tutto perfetto. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Oltretutto l’apostrofo iniziale è un segno inusuale nella norma ortografica attuale, dal momento che ricorre solo nella riproduzione di dialettismi
La scrittura senza apostrofo è quindi una promozione alla lingua comune. In effetti sto è decisamente consolidato.
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Black Mamba
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Intervento di Black Mamba »

Personalmente preferisco distinguere le due grafie, a prescindere dal contesto (almeno fino a quando non sarò un fuorilegge :mrgreen:).

Pensate che la stessa sorte possa capitare anche a (dare), sempre più spesso scritto senza accento nell'uso comune?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Black Mamba ha scritto:Pensate che la stessa sorte possa capitare anche a (dare), sempre più spesso scritto senza accento nell'uso comune?
No, perché a differenza di sto, che è della lingua familiare e quindi non ricorre in testi formali, è della lingua stàndara e l’accento è prescritto da tutte le grammatiche, da vari secoli.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Black Mamba
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Intervento di Black Mamba »

Certo.
La ringrazio.

Se mi permette, aggiungo soltanto una breve considerazione in merito.
Non è infrequente imbattersi in errori ortografici (ad es., dà e sé senza accento) in articoli di giornale, testi pubblicitari, opuscoli informativi, e piú in generale in scritti rivolti a un ampio pubblico.
Il rischio, dunque, è che si affermino proprio le forme scorrette e si crei cosí una distanza tra ciò che è prescritto dalle grammatiche e l'uso effettivo (in alcuni casi sbagliato) della lingua da parte delle persone. In fondo, l'erudizione linguistica non è affidata ai soli testi formali o all'ambito accademico, ma, direttamente o indirettamente, anche a qualsiasi scritto rivolto al pubblico.
Ovviamente questa è solo una mia personale osservazione, per carità.
Hoc unum scio, me nihil scire.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Se i lessicografi saranno cosí ciechi da dar per buone forme errate come queste, non ci sarà piú bisogno di dizionari: ognuno scriva con la propria personale ortografia. I primi passi verso questo lassismo – inaccettabile ovunque tranne in Italia – li abbiamo già visti, sicché la sua è un’ipotesi assai plausibile, purtroppo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Aggiungo queste considerazioni di Giovanni Nencioni (La Crusca risponde, Firenze, Le Lettere, 1995, pp. 34-35, grassetto mio):

È però vero che oggi l’ortografia è il settore della grammatica in cui la norma è piú certa e l’unità della lingua nazionale, diversamente che nella pronuncia, è piú raggiunta. E poiché la comunicazione a largo raggio, nazionale e internazionale, avviene soprattutto mediante lo scritto, non sarà difficile, e sarà utilissimo, che la lingua vi si mostri in tale unità. Un insegnante colto e giudizioso sarà dunque in grado, per l’ortografia, di dare regole sicure e d’illustrare adeguatamente i pochi punti d’incertezza e di ambiguità. Gli sarà anche facile far capire la preferibilità sociale e culturale di una scrittura, pur con qualche insufficienza, unica e costante e collettivamente memorizzata, a una riforma ortografica che rendesse piú semplice e perfetta la corrispondenza tra suoni e alfabeto, ma interrompesse l’aspetto tradizionale della lingua. Niente, certo, impedirebbe di scrivere quore come quando, ma la forma poetica core verrebbe separata da quella col dittongo pur essendo una variante della stessa parola, discesa dal latino cor. E niente impedirebbe di scrivere cuando, cuanto, cuale come cuore, ma ciò troncherebbe la continuità visiva della lingua e offuscherebbe la sua discendenza dalla lingua madre, il latino, cui essa resta piú vicina delle lingue sorelle. Sarebbe allora meglio adottare una grafia fonetica che mirasse a precisare i valori acustici dei singoli elementi, ad es. kwore, kore, kwando, indicando la natura semivocalica della u, e poi anche la posizione e la qualità dell’accento. L’errore di ortografia, come si vede nell’esempio fatto ora, non è, spesso, un errore di fonetica, cioè di corrispondenza grafico-fonica, ma la violazione di un costume grafico che assicura la costanza dell’aspetto visivo della lingua; costanza che, giova ripeterlo, costituisce un prezioso bene sociale e culturale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Black Mamba
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Intervento di Black Mamba »

Marco1971 ha scritto:I primi passi verso questo lassismo – inaccettabile ovunque tranne in Italia – li abbiamo già visti
Inaccettabile, sí.
Ma non voglio credere che esistano lessicografi disposti a dare per buoni errori del genere.

Tuttavia, a mio personale modo di vedere, il problema non è tanto che si arrivi ad accreditare certe forme (sarebbe la punta dell'iceberg), ma che non si trovi il modo di disciplinare quella scrittura "di largo consumo" che va affermando, con colpevole lassismo, una lingua "impropria". Conta poco che i dizionari riportino le forme corrette quando poi molti usano quelle scorrette. E il livello d'istruzione non fa la differenza.
Interessante al proposito questo articolo di Tullio De Mauro.
Marco1971 ha scritto:Aggiungo queste considerazioni di Giovanni Nencioni (La Crusca risponde, Firenze, Le Lettere, 1995, pp. 34-35, grassetto mio):

Sarebbe allora meglio adottare una grafia fonetica che mirasse a precisare i valori acustici dei singoli elementi, ad es. kwore, kore, kwando, indicando la natura semivocalica della u, e poi anche la posizione e la qualità dell’accento. L’errore di ortografia, come si vede nell’esempio fatto ora, non è, spesso, un errore di fonetica, cioè di corrispondenza grafico-fonica, ma la violazione di un costume grafico che assicura la costanza dell’aspetto visivo della lingua; costanza che, giova ripeterlo, costituisce un prezioso bene sociale e culturale.
Qualcosa di simile mi pare accada già con il linguaggio degli sms. Mi vengono in mente espressioni come ke o anke, dal suono simile a che o anche, ma differenti in tutta evidenza sotto l'aspetto visivo.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Mentre metto il collegamento aggiornato, vorrei fare un'annotazione riguardo a 'sto/sto. Ho usato sporadicamente anch'io questa forma nello scritto (più raramente nel parlato), ma non posso fare a meno di sentirla come «romanesca». Nel vernacolo della mia zona si usa di solito esto/esta, che può essere anche semplicemente una forma «parecchio gorgiata» di questo e questa.
Andrea Russo
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Intervento di Andrea Russo »

Dalle mie parti invece si dice vesto, vesta, ecc. (Lo stesso per qui, sostituito da ).


Comunque senza l'apostrofo non l'ho mai trovato. Nel romanzo che ho appena finito è stato usato diverse volte, ma sempre con l'apostrofo.
In un esame di traduzione ho usato sto senza apostrofo ma mi è stata corretto.
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