Valore di «onde» in una poesia di Alfieri
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- Sandro1991
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Valore di «onde» in una poesia di Alfieri
[…]E quanto addentro piú il mio piè s’inselva,
tanto piú calma e gioia in me si crea;
onde membrando com’io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva[…].
Il titolo del componimeto è «tacito orror di solitaria selva»
Che valore ha qui l’avverbio evidenziato?
tanto piú calma e gioia in me si crea;
onde membrando com’io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva[…].
Il titolo del componimeto è «tacito orror di solitaria selva»
Che valore ha qui l’avverbio evidenziato?
- Sandro1991
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Si tratta forse dell’accezione 4a del Treccani, secondo voi?
- u merlu rucà
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Ovvio: per cui.
Senza aprire un altro filone, vi chiedo di leggere il seguente sonetto alfieriano:
Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte ,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.
Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?
Tu sei quel desso; e la natia grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.
Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?
Ci sono tre cose che mi incuriosiscono della lingua usata in questa poesia, forse non una delle sue migliori (ma non è questo il punto):
1) Come si spiega linguisticamente quell'«il» al v. 3?
2) Qualcuno mi sa dire il significato del v. 12? Il «qual» sta per "che"?
3) Gli ultimi due vv. bisogna intenderli forse con l'omissione di un "Dare..."? Qual è la loro parafrasi, secondo voi?
Senza aprire un altro filone, vi chiedo di leggere il seguente sonetto alfieriano:
Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte ,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.
Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?
Tu sei quel desso; e la natia grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.
Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?
Ci sono tre cose che mi incuriosiscono della lingua usata in questa poesia, forse non una delle sue migliori (ma non è questo il punto):
1) Come si spiega linguisticamente quell'«il» al v. 3?
2) Qualcuno mi sa dire il significato del v. 12? Il «qual» sta per "che"?
3) Gli ultimi due vv. bisogna intenderli forse con l'omissione di un "Dare..."? Qual è la loro parafrasi, secondo voi?
Ultima modifica di Don Lisander in data lun, 18 mar 2013 23:02, modificato 3 volte in totale.
- Ferdinand Bardamu
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Per il/lo, ecco quel che dice Luca Serianni nel suo magnifico libro La lingua poetica italiana, Roma, Carocci, 2009, p. 175:Don Lisander ha scritto:1) Come si spiega linguisticamente quell'«il» al v. 3?
Stando alle testimonianze dei grammatici [...], il clitici il e lo sono stati in distribuzione complementare analoga a quella degli articoli omonimi. Solo nel secondo Ottocento il (occasionalmente adoperato dal Manzoni nella ventisettana, ma espunto dall’edizione definitiva [...]) è percepito come proprio «dell’uso poetico» [...].
È frequentissimo nell’opera lirica, specie in il veggo e il deggio.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Ferdinand Bardamu
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Alla prima domanda ha già risposto benissimo Marco. 

Riordino: «Di qual regia insania sei cieco?» (la separazione tra qual e il sintagma preposizionale costituisce un ipèrbato).Don Lisander ha scritto:2) Qualcuno mi sa dire il significato del v. 12? Il «qual» sta per "che"?
Parafraso (operazione che mi piace poco, quando si tratta di poesia, ma tant’è): «È gloria quella di un tiranno persiano, quando tu, invece, eri figlio di un popolo sí nobile come il greco?».Don Lisander ha scritto:3) Gli ultimi due vv. bisogna intenderli forse con l'omissione di un "Dare..."? Qual è la loro parafrasi, secondo voi?
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No, non è quello il problema... Forse non sono stato abbastanza chiaro nella mia domanda. Lo so, l'«il» usato per «lo» è frequentissimo nella poesia dei secoli passati (non dico che non leggerei le Rime di Alfieri, se non lo sapessi, ma insomma).Marco1971 ha scritto:Stando alle testimonianze dei grammatici [...], il clitici il e lo sono stati in distribuzione complementare analoga a quella degli articoli omonimi. Solo nel secondo Ottocento il (occasionalmente adoperato dal Manzoni nella ventisettana, ma espunto dall’edizione definitiva [...]) è percepito come proprio «dell’uso poetico» [...].
È frequentissimo nell’opera lirica, specie in il veggo e il deggio.
Il problema è il suo rapporto con i due versi precedenti. Si tratta di un anacoluto? O di un uso pleonastico di «il»?
Ultima modifica di Don Lisander in data lun, 18 mar 2013 22:01, modificato 1 volta in totale.
- Ferdinand Bardamu
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- u merlu rucà
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Mm, ne è certo? Mi sembra una forma molto bizzarra di anastrofe. Io al contrario ero indeciso tra: «Oh, che sei, cieco della pazzia dei re?» e «Oh, sei così, eppure non riconosci una pazzia da re?»Ferdinand Bardamu ha scritto:Riordino: «Di qual regia insania sei cieco?» (la separazione tra qual e il sintagma preposizionale costituisce un ipèrbato).
Dunque Tu «era»?Ferdinand Bardamu ha scritto:Parafraso (operazione che mi piace poco, quando si tratta di poesia, ma tant’è): «È gloria quella di un tiranno persiano, quando tu, invece, eri figlio di un popolo sí nobile come il greco?».
Ultima modifica di Don Lisander in data lun, 18 mar 2013 22:56, modificato 1 volta in totale.
- Ferdinand Bardamu
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Non saprei trovarle altri esempi analoghi di anastrofe (anche se non mi suona così anomala), ma a me sembra il solo modo di ordinare le parole.Don Lisander ha scritto:Mm, ne è certo? Mi sembra una forma molto bizzarra di anastrofe. Io credevo fosse più probabile interpretarlo così: «Oh, che sei, cieco della pazzia dei re?» oppure «Oh, sei così, eppure non riconosci una pazzia da re?»
Ho interpretato male la domanda al v. 12.Don Lisander ha scritto:Dunque Tu «era»?

Nella prima parte della poesia (le due quartine e la prima terzina), Alfieri dice: Tu, Alessandro, conservi da morto la gloria che guadagnasti in vita, e la morte non può cancellare le tue grandiose imprese. Nell’ultima terzina, invece, «rinsavisce» dalla «regia insania» e riconosce che non può essere gloria quella di chi si è fatto tiranno, pur essendo nato nella culla della democrazia.
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Credo di aver capito. Forse il sonetto è più intellegibile così (per quanto questo sia un intervento molto discutibile dal punto di vista filologico), con i caporali che sottolineano che le due strofe centrali riportano il discorso diretto dell'autore, il quale si rivolge ad Alessandro il Macedone:
Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte ,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.
«Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?
Tu sei quel desso; e la natia grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.»
Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?
In questo modo, l'ultima terzina si può leggere nel suo senso più probabile: Alfieri si rivolge a sé stesso biasimandosi per aver parlato di «gloria» a proposito di un tiranno quale fu, a suo modo di vedere, Alessandro.
Perciò l'ultima terzina andrebbe, a mio avviso, parafrasata più correttamente nel modo seguente:
Parli di gloria? Ti ha forse accecato la pazzia dei re (o una pazzia da re)? Parli di gloria a proposito di un tiranno Persiano [tecnicamente, Alessandro Magno succedette a Dario III di Persia, da lui sconfitto], quando (costui) era pur nato pari a un cittadino Greco [e dunque avrebbe potuto essere un perfetto "eroe della libertà", secondo il pensiero politico alfieriano]?
Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte ,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.
«Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?
Tu sei quel desso; e la natia grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.»
Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?
In questo modo, l'ultima terzina si può leggere nel suo senso più probabile: Alfieri si rivolge a sé stesso biasimandosi per aver parlato di «gloria» a proposito di un tiranno quale fu, a suo modo di vedere, Alessandro.
Perciò l'ultima terzina andrebbe, a mio avviso, parafrasata più correttamente nel modo seguente:
Parli di gloria? Ti ha forse accecato la pazzia dei re (o una pazzia da re)? Parli di gloria a proposito di un tiranno Persiano [tecnicamente, Alessandro Magno succedette a Dario III di Persia, da lui sconfitto], quando (costui) era pur nato pari a un cittadino Greco [e dunque avrebbe potuto essere un perfetto "eroe della libertà", secondo il pensiero politico alfieriano]?
Ultima modifica di Don Lisander in data lun, 18 mar 2013 23:01, modificato 1 volta in totale.
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