Articolo davanti a «z»
Moderatore: Cruscanti
Articolo davanti a «z»
Non è raro trovare gli articoli o preposizioni il, un, del ecc. davanti a nomi che iniziano per 'z'. L'uso sembra antico (esempi trovati sul Vocabolario della Crusca [voce zucchero]: Bocc. n. 76. 10. Poscia fece dar loro le coverte del zucchero. – Morg. D' un zucchero candíto è pieno in gorga.), ma anche più di recente sembra che qualcuno li abbia adoperati in modo consapevole, specie davanti a 'z' sonora:
– Tal parola non vale un zero. Voi non siete fatta per essere paesana (L. Da Ponte, Don Giovanni)
– Move per casa un ospite infelice / Dalla sua fame a mendicar costretto: / Ciascun gli dà, tal ch'ei n'ha il zaino colmo (Odissea XVII nella trad. di I. Pindemonte)
– Il Zandonai era prediletto dai bolognesi, e a sua volta ricambiava tale predilezione da quando la sua Francesca vi aveva ottenuto accoglienze trionfali in ripetute esecuzioni (R. Giacomelli, Il Teatro comunale di Bologna: storia aneddotica e cronache di due secoli (1763-1963))
– Le parole, con cui Dante si fa spiegare dallo spirito del trovatore la presenza di Raab nel cielo di Venere, hanno, secondo il Zingarelli, questo chiarissimo significato (Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, 1897)
Dunque non è errore da matita blu, anzi!
– Tal parola non vale un zero. Voi non siete fatta per essere paesana (L. Da Ponte, Don Giovanni)
– Move per casa un ospite infelice / Dalla sua fame a mendicar costretto: / Ciascun gli dà, tal ch'ei n'ha il zaino colmo (Odissea XVII nella trad. di I. Pindemonte)
– Il Zandonai era prediletto dai bolognesi, e a sua volta ricambiava tale predilezione da quando la sua Francesca vi aveva ottenuto accoglienze trionfali in ripetute esecuzioni (R. Giacomelli, Il Teatro comunale di Bologna: storia aneddotica e cronache di due secoli (1763-1963))
– Le parole, con cui Dante si fa spiegare dallo spirito del trovatore la presenza di Raab nel cielo di Venere, hanno, secondo il Zingarelli, questo chiarissimo significato (Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, 1897)
Dunque non è errore da matita blu, anzi!
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Ferdinand Bardamu
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- Località: Legnago (Verona)
Sebbene sia un uso illustre, come dimostrano i suoi esempi (cui aggiungerei il celebre «il zappatore» leopardiano: «e intanto riede alla sua parca mensa, | fischiando, il zappatore»), non sarebbe accettabile nell’italiano d’oggi:
Come per l’articolo davanti a s+consonante, l’uso di lo / il e di uno / un davanti a z era molto oscillante ancora nel secolo scorso (MOISE 1878: 171). Oggi sarebbero considerate erronee forme come «il zappatore» (Leopardi, Il sabato del villaggio, 29), «un zanzariere» (D’Annunzio, Trionfo della morte, 53), «il Zanichelli» (Carducci, cit. in MIGLIORINI 1963a: 704) o «un zittio» (Serao, Il romanzo della fanciulla, 15). [Serianni, Grammatica, IV.5c]
Come per l’articolo davanti a s+consonante, l’uso di lo / il e di uno / un davanti a z era molto oscillante ancora nel secolo scorso (MOISE 1878: 171). Oggi sarebbero considerate erronee forme come «il zappatore» (Leopardi, Il sabato del villaggio, 29), «un zanzariere» (D’Annunzio, Trionfo della morte, 53), «il Zanichelli» (Carducci, cit. in MIGLIORINI 1963a: 704) o «un zittio» (Serao, Il romanzo della fanciulla, 15). [Serianni, Grammatica, IV.5c]
La ringrazio. Ma i casi di 's' impura e 'z' mi sembrano diversi: mentre le sequenze -lsc-, -nstr- e simili combinazioni sono poco o punto compatibili con la fonotassi italiana (se n'è discusso altrove su Cruscate), -nz- ed -lz- suonano accettabilissime. Tanto che diciamo Santo Stefano ma San Zeno (senza sentire il bisogno di evitare il troncamento davanti a 'z').
A quanto ho visto, "il zero" e "un zero" sono molto usati dai veneti (forse perché sostituiscono la 'z' con la 's' sonora anche in posizione iniziale)?
A quanto ho visto, "il zero" e "un zero" sono molto usati dai veneti (forse perché sostituiscono la 'z' con la 's' sonora anche in posizione iniziale)?
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Ferdinand Bardamu
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Sí, noi abbiamo solo una forma d’articolo maschile, senza allomorfi: diciamo «el gato» (‘il gatto’) e «el scherzo» (‘lo scherzo’). Dalle mie parti, la z italiana (occlu-costrittiva, dentale, non sonora, ossia la z di pazzo) esiste: infatti diciamo anche «el [ʦ]úcaro» (‘lo zucchero’). «Quelli dell’alta», cioè della parte settentrionale della provincia, dicono invece «el súcaro».
Personalmente, quando mi càpita di svaccarmi, dico naturalmente «il zaino», ma non «il scherzo».
Personalmente, quando mi càpita di svaccarmi, dico naturalmente «il zaino», ma non «il scherzo».
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Per me tra posizione interna e confine di parola c'è parecchia differenza.
Ricordo che da bambino avevo un'idea più stringente della fonotassi [1]. La mia sensazione era che certe cose "non si potessero dire", cioè che non ci si riuscisse fisicamente o quasi.
Una era quella di cui si sta parlando: "il zucchero" "un schifo" "un gnocco", parevano cose improponibili. Così come lo parevano i plurali con "i" (al posto di "gli"), che dovrebbero essere meno problematici perché una vocale di separazione c'è.
Ovviamente dicevo "calzino" senza problemi. Per questo ho parlato di posizione interna e confine di parola: dico "gas" con la sorda, "gas metano" sempre con la sorda, ma "asmatico" con la sonora.
Mi pare, comunque, che la zeta a inizio parola raddoppi anche se non c'è niente prima: io se devo chiamare mio zio (un esempio di "z" a inizio frase") sento che la sto dicendo doppia anche se magari la prima fase è trattenuta. Riesco a forzare una singola iniziale (inserendo il segmento "zi" di calzino) ma sento che è differente.
Magari è proprio questo raddoppiamento a rendere problematico l'articolo "il".
[1] Ovviamente del mio italiano regionale.
Ricordo che da bambino avevo un'idea più stringente della fonotassi [1]. La mia sensazione era che certe cose "non si potessero dire", cioè che non ci si riuscisse fisicamente o quasi.
Una era quella di cui si sta parlando: "il zucchero" "un schifo" "un gnocco", parevano cose improponibili. Così come lo parevano i plurali con "i" (al posto di "gli"), che dovrebbero essere meno problematici perché una vocale di separazione c'è.
Ovviamente dicevo "calzino" senza problemi. Per questo ho parlato di posizione interna e confine di parola: dico "gas" con la sorda, "gas metano" sempre con la sorda, ma "asmatico" con la sonora.
Mi pare, comunque, che la zeta a inizio parola raddoppi anche se non c'è niente prima: io se devo chiamare mio zio (un esempio di "z" a inizio frase") sento che la sto dicendo doppia anche se magari la prima fase è trattenuta. Riesco a forzare una singola iniziale (inserendo il segmento "zi" di calzino) ma sento che è differente.
Magari è proprio questo raddoppiamento a rendere problematico l'articolo "il".
[1] Ovviamente del mio italiano regionale.
Mi autocitoZabob ha scritto:A quanto ho visto, "il zero" e "un zero" sono molto usati dai veneti

Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
Il zio (anzi i' zio) c'è anche nel fiorentino rustico (oggi solo nel contado). C'è anche una pellicola di Pieraccioni (mi pare che sia Il pesce innamorato) dove un personaggio si autodefinisce i' zio.
Nei pressi di Cerreto Guidi c'è una località che si chiama San Zio (perlomeno è percepita così, non saprei dire se deriva da un Sanzìo e non da un agionimo).
Nei pressi di Cerreto Guidi c'è una località che si chiama San Zio (perlomeno è percepita così, non saprei dire se deriva da un Sanzìo e non da un agionimo).
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