«Intendere» e «comprendere»
Moderatore: Cruscanti
- Sandro1991
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«Intendere» e «comprendere»
In un testo italiano di filosofia si discute dei termini in questioni come se avessero una diversa sfumatura di significato. Di là dalla solita pretesa filosofica di stravolgere i significati, vi chiedo: c’è davvero qualche differenza semantica tra i due termini quando entrambi vogliono dire «capire»? Il filosofo argomenta dicendo che «intendere è restare soddisfatti di una certa comprensione comunicativa, cosí e cosí determinata, tale non portare più difficoltà di consenso tra gli interlocutori». E, semplificando, il «comprendere» sarebbe qualcosa di più approfondito e chiaro.
I dizionari che ho consultato li danno quasi sempre come sinonimi, e io non ho trovato differenze nemmeno minime. Fino a che punto si può affermare che «intendere» è un «comprendere superficiale»?
I dizionari che ho consultato li danno quasi sempre come sinonimi, e io non ho trovato differenze nemmeno minime. Fino a che punto si può affermare che «intendere» è un «comprendere superficiale»?
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Nelle varie epoche ciascun filosofo ha definito gli oggetti del suo argomentare utilizzando tutti i possibili sinonimi per dare chiarezza al proprio pensiero.
Proprio a questo scopo, appunto, in gran parte delle opere filosofiche si dà una definizione - più o meno esplicita - dell'accezione in cui in quel contesto viene usato il termine. Prassi scientifificamente corretta, necessaria e più che lecita.
Occorre quindi secondo me riferire i due verbi da lei citati a ciascuno specifico contesto. In alcuni casi, viene loro dato significato diverso, come due gradi consecutivi dell'acquisizione di conoscenza/coscienza; in altri no.
Sarebbe da valutare quindi se c'è una coincidenza costante di interpretazione attraverso la storia della filosofia occidentale, ovvero se nell'ambito tecnico filosofico la definizione dei due sia oggi data come univoca e condivisa.
Etimologicamente, in latino intendo ha in sé l'idea di "tendere verso qualcosa", mentre comprehendo ha il senso di "afferrrare, prendere, fare proprio", quindi la differenza è chiara, "mi avvicino a una conoscenza" vs. "possiedo, interiorizzo una conoscenza".
In italiano secondo me questa sfumatura un po' si mantiene. Comprendere mi dà l'idea di una conosenza più profonda, un'assimilazione di un concetto o un'idea, piuttosto che la sua semplice percezione e acquisizione nella banca dati mentale.
Proprio a questo scopo, appunto, in gran parte delle opere filosofiche si dà una definizione - più o meno esplicita - dell'accezione in cui in quel contesto viene usato il termine. Prassi scientifificamente corretta, necessaria e più che lecita.
Occorre quindi secondo me riferire i due verbi da lei citati a ciascuno specifico contesto. In alcuni casi, viene loro dato significato diverso, come due gradi consecutivi dell'acquisizione di conoscenza/coscienza; in altri no.
Sarebbe da valutare quindi se c'è una coincidenza costante di interpretazione attraverso la storia della filosofia occidentale, ovvero se nell'ambito tecnico filosofico la definizione dei due sia oggi data come univoca e condivisa.
Etimologicamente, in latino intendo ha in sé l'idea di "tendere verso qualcosa", mentre comprehendo ha il senso di "afferrrare, prendere, fare proprio", quindi la differenza è chiara, "mi avvicino a una conoscenza" vs. "possiedo, interiorizzo una conoscenza".
In italiano secondo me questa sfumatura un po' si mantiene. Comprendere mi dà l'idea di una conosenza più profonda, un'assimilazione di un concetto o un'idea, piuttosto che la sua semplice percezione e acquisizione nella banca dati mentale.
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Sperando possa servire a fare un po’ di chiarezza, ricopio le definizioni del Dizionario dei sinonimi del Tommaseo:
Intendere riguarda, piú specialmente, il significato delle parole; comprendere la natura delle idee; concepire, l’intero, l’ordine, le conseguenze: intendere una allusione; comprendere una dottrina; concepire un disegno. S’intendono le lingue; si comprendono teorie scientifiche. È difficile intendere scienze oscure, comprendere principii astratti, concepire l’ordinamento di un libro confusamente scritto. Per bene intendere, vuolsi ingegno acuto; per ben concepire, intelletto regolato. l’uomo esperto del mondo intende il linguaggio delle passioni; l’uomo versato ne’ libri comprende le piú ardue dottrine, ma non sempre sa concepire il disegno d’un libro piacevole. Non tutti intendono le cose delicate, né comprendon le sublimi, né concepiscon le grandi. (§ 1136)
Comprendere è piú d’intendere; conoscere è or meno, ora piú d’esso intendere. Si conosce la cosa tanto da distinguerla dalle altre simili, e da potere alla impressione, rinnovata o per il senso o per la parola, ricorrere alla serie d’idee nella quale la si trova per noi collocata.
Percepire non dice se non il ricevere che fa l’intelletto la cognizione, la comprenda o no appieno. (§ 1138)
Capire è ricevere in sé le idee che altri ti presenti: si capisce una dimostrazione, un discorso. I verbi affini denotano tutti una seconda operazione; quella che immedesima l’altrui pensiero col nostro, e che lo feconda. (§ 1139)
Capire è piú famigliare; e però, in certi casi, men riverente. Dire a uno, dopo avergli parlato, capisce? non è un bel complimento. Meglio: intende? che può riguardare, non la capacità della mente di chi ascolta, ma il senso quasi corporeo ricevuto dalle parole, onde non è insolenza domandare se le siano intese. […]
Quando assolutamente diciamo non capisce, neghiamo a quel tale capacità di mente a ricevere qualsiasi cosa, almeno di quel genere di cui si ragiona; non intende riguarda segnatamente tali o tali parole o senso di quelle. Ed è men biasimo e spregio, anche per questo, che nell’intendere ha parte l’azione, cioè la volontà; onde il negare l’intendimento di tale o tal cosa è sempre un negare l’intelligenza; dove il negare che altri capisca, è un dire che il vaso è angusto e mal formato, un fare quasi disperata la cosa. (§ 1140)
Mi sento di dire, quindi, che la distinzione del tuo testo di filosofia, caro Sandro, è corretta: intendere si ferma alla superficie della comunicazione; comprendere suggerisce una conoscenza profonda della «natura delle idee», per dirla col Tommaseo.
Intendere riguarda, piú specialmente, il significato delle parole; comprendere la natura delle idee; concepire, l’intero, l’ordine, le conseguenze: intendere una allusione; comprendere una dottrina; concepire un disegno. S’intendono le lingue; si comprendono teorie scientifiche. È difficile intendere scienze oscure, comprendere principii astratti, concepire l’ordinamento di un libro confusamente scritto. Per bene intendere, vuolsi ingegno acuto; per ben concepire, intelletto regolato. l’uomo esperto del mondo intende il linguaggio delle passioni; l’uomo versato ne’ libri comprende le piú ardue dottrine, ma non sempre sa concepire il disegno d’un libro piacevole. Non tutti intendono le cose delicate, né comprendon le sublimi, né concepiscon le grandi. (§ 1136)
Comprendere è piú d’intendere; conoscere è or meno, ora piú d’esso intendere. Si conosce la cosa tanto da distinguerla dalle altre simili, e da potere alla impressione, rinnovata o per il senso o per la parola, ricorrere alla serie d’idee nella quale la si trova per noi collocata.
Percepire non dice se non il ricevere che fa l’intelletto la cognizione, la comprenda o no appieno. (§ 1138)
Capire è ricevere in sé le idee che altri ti presenti: si capisce una dimostrazione, un discorso. I verbi affini denotano tutti una seconda operazione; quella che immedesima l’altrui pensiero col nostro, e che lo feconda. (§ 1139)
Capire è piú famigliare; e però, in certi casi, men riverente. Dire a uno, dopo avergli parlato, capisce? non è un bel complimento. Meglio: intende? che può riguardare, non la capacità della mente di chi ascolta, ma il senso quasi corporeo ricevuto dalle parole, onde non è insolenza domandare se le siano intese. […]
Quando assolutamente diciamo non capisce, neghiamo a quel tale capacità di mente a ricevere qualsiasi cosa, almeno di quel genere di cui si ragiona; non intende riguarda segnatamente tali o tali parole o senso di quelle. Ed è men biasimo e spregio, anche per questo, che nell’intendere ha parte l’azione, cioè la volontà; onde il negare l’intendimento di tale o tal cosa è sempre un negare l’intelligenza; dove il negare che altri capisca, è un dire che il vaso è angusto e mal formato, un fare quasi disperata la cosa. (§ 1140)
Mi sento di dire, quindi, che la distinzione del tuo testo di filosofia, caro Sandro, è corretta: intendere si ferma alla superficie della comunicazione; comprendere suggerisce una conoscenza profonda della «natura delle idee», per dirla col Tommaseo.
Distinzione molto interessante alla quale non avevo mai pensato, forse perché nel parlare di tutti i giorni, in Toscana almeno, i due verbi sono spesso intercambiabili: per esempio, non avverto alcuna differenza fra intendersene e capirne [di qualcosa]. Per un nostalgico sorriso in tema, si veda qui. 

Ultima modifica di Jonathan in data ven, 03 mag 2013 16:44, modificato 2 volte in totale.
- Sandro1991
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