Parlano dell'uso frasale delle particelle in italiano Raffaele Simone nel saggio Stabilità e instabilità nei caratteri originali dell'italiano che compare in Introduzione all'italiano contemporaneo - Le strutture a cura di A. Sobrero, come pure Giovanni Nencioni in una sua risposta sul foglio La Crusca per Voi (N. 8, aprile 1994) , e vi vedono non l'influsso dell'inglese ma, come dice Simone, "l'affioramento di elementi dialettali in italiano". Scrive fra l'altro Nencioni (purtroppo non ho il tempo di riportare l'intera risposta) "[...] La locuzione verbale può corrispondere a un verbo semplice ma, se formata con particelle avverbiali, è fortemente polisemica ed espressiva, come prodotto eminentemente popolare. Dimostrano tale origine la sua frequenza nei dialetti (che è indubbio segno di antichità) e il suo uso pleonastico: salir su, scender giù, cacciar via. Quanto alla polisemia, che si risolve nel contesto, basti pensare ai casi di metter su famiglia, metter su il brodo e, nell'italiano regionale, metter su (o far su) il cappotto. [...] L'uso inglese è sistematico, quindi normativo, e vasto ben più dell'italiano; ma questo, a osservazioni recenti, appare in via di sviluppo, il che può attribuirsi sia all'influenza dell'italiano settentrionale, dove è largamente penetrato nei dialetti, sia a un processo di semplificazione cui l'italiano parlato da quasi tutti gli italiani va soggetto, perdendo la ricchezza della varietà sinonimica e delle forme sintetiche possedute dalla lingua letteraria.[...]pocoyo ha scritto:A proposito di parallelismi, da parte mia tutto è nato dal raffronto con la lingua inglese. Si paragoni per esempio:
Mangiar fuori con to eat up (that’s going to eat up all my savings / me magna fora tuti i schei);
Dir su con to tell off (he told me off in front of everybody / el m’ha dito su davanti a tuti);
Venir fuori con to come up (he came up with a new idea / el l’è vegnú fora co’ ‘na nova idea).
E ce ne sono altri. Io trovo questa comunanza molto interessante, ma probabilmente è un mio personale feticcio.
Verbi fraseologici
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Grazie per l’approfondimento, Roberto. Tuttavia io non intendevo attribuire all’inglese alcunché: parlavo di comunanza o raffronto. D’altra parte mi moverebbe certo al riso pensare alla mia cara nonna, che di italiano poco sa piú dell’inglese, usare tali verbi sotto l’influenza de l’Economist o della CNN.
Come si accenna nel passo da lei riportato, quest’uso sembra assai piú abituale fra i parlanti del settentrione, mentre (qualcuno potrà forse confermarlo) ho l’impressione che non sia un’abitudine dell’Italia del Sud. Sarebbe interessante verificare una eventuale tendenza fra le diverse lingue. Avrei forse qualche idea, ma io è meglio che non faccia l’abbacone.
Come si accenna nel passo da lei riportato, quest’uso sembra assai piú abituale fra i parlanti del settentrione, mentre (qualcuno potrà forse confermarlo) ho l’impressione che non sia un’abitudine dell’Italia del Sud. Sarebbe interessante verificare una eventuale tendenza fra le diverse lingue. Avrei forse qualche idea, ma io è meglio che non faccia l’abbacone.
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sparlare
In dialetto chioggiotto abbiamo:
ciacolare drio = parlare alle spalle, spettegolare;
sigare drio = sgridare, rimproverare.
ciacolare drio = parlare alle spalle, spettegolare;
sigare drio = sgridare, rimproverare.
Io l'ho sentito dire spesso a Genova da persone anziane e l'ho sempre interpretato come un modo per rendere il "presente continuo"; in certi casi, ma non sempre, può dar l'idea di "esser dediti" a far qualcosa (son dietro a cucinare = sto cucinando; ero dietro a guardare la televisione = stavo guardando ecc.).u merlu rucà ha scritto:Occuparsi di.Bue ha scritto:Ma in quale senso? Quello di "occuparsi di", o in sostituzione del "presente continuo" "stare" + gerundio come in mantovano (in cui il gerundio non esiste)?u merlu rucà ha scritto:Stare dietro a (più che stare, essere dietro a)
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- u merlu rucà
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In effetti una traduzione precisa dell'espressione non sempre è facile.
Rivedendo il filone mi è venuto in mente che in ligure esiste anche l'espressione stà deré a (star dietro a) che significa proprio occuparsi di, badare a:
sta deré a su garsùn (occupati di quel ragazzo).
Invece ese deré a spesso assume un significato di presente continuo, come fa rilevare zabob.
Rivedendo il filone mi è venuto in mente che in ligure esiste anche l'espressione stà deré a (star dietro a) che significa proprio occuparsi di, badare a:
sta deré a su garsùn (occupati di quel ragazzo).
Invece ese deré a spesso assume un significato di presente continuo, come fa rilevare zabob.
- Ferdinand Bardamu
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Il mio dialetto è il ferrarese e credo di poter confermare quanto ipotizzava Pocoyo nel suo ultimo intervento e cioè che i verbi fraseologici sono peculiarità dei dialetti (e conseguentemente di molte espressioni italiane) settentrionali. Il ferrarese conosce una quantità molto elevata di verbi fraseologici, compresi molti dei precedentemente elencati.
Nel caso degli avverbi come precisazioni direzionali, devo dire che di diversi verbi indicanti moto da o a luogo il dialetto ferrarese conosce solo la forma verbale fraseologica. Non esistono ad esempio i verbi “entrare”, “uscire”, “salire” o “scendere”; essi si esprimono solo nella forma “'ndar déntar” / ”gnir déntar”, “'ndar fóra” / “gnir fóra” / “'ndar su”, “gnir su” / “'ndar zzó”, “gnir zzó”.
Non conosco invece l'espressione “cavata” nel senso di “pensata”, “trovata”, citata dal bolognese Vittorio come espressione “panemiliana”. Il verbo “cavar” intende solo strappare, levare, togliere – anche qui con qualche occasione di verbo fraseologico: “cavar's zzó” (= cavarsi giù): togliersi i vestiti, spogliarsi – ma ne ignoro una forma sostantivata.
C'è da dire che il dialetto ferrarese è sotto molti aspetti un dialetto di transizione tra l'emiliano e il veneto. La grammatica è chiarissimamente galloitalica, ma una buona parte del patrimonio lessicale si scosta dall'emiliano ed è in comune con il basso veneto. Tale peculiarità del ferrarese è riscontrabile anche nella pronuncia delle vocali nell'italiano con sostrato ferrarese, i cui casi di apertura o chiusura aderiscono al Polesine / basso Veneto e non all'emiliano: a Bologna di parla di tréno, créma, teléfono, mentre a Ferrara essi sono il trèno, la crèma, il telèfono (laddove la ɛ è un pochino “troppo” aperta, quasi tendente alla æ).
Nel caso degli avverbi come precisazioni direzionali, devo dire che di diversi verbi indicanti moto da o a luogo il dialetto ferrarese conosce solo la forma verbale fraseologica. Non esistono ad esempio i verbi “entrare”, “uscire”, “salire” o “scendere”; essi si esprimono solo nella forma “'ndar déntar” / ”gnir déntar”, “'ndar fóra” / “gnir fóra” / “'ndar su”, “gnir su” / “'ndar zzó”, “gnir zzó”.
Non conosco invece l'espressione “cavata” nel senso di “pensata”, “trovata”, citata dal bolognese Vittorio come espressione “panemiliana”. Il verbo “cavar” intende solo strappare, levare, togliere – anche qui con qualche occasione di verbo fraseologico: “cavar's zzó” (= cavarsi giù): togliersi i vestiti, spogliarsi – ma ne ignoro una forma sostantivata.
C'è da dire che il dialetto ferrarese è sotto molti aspetti un dialetto di transizione tra l'emiliano e il veneto. La grammatica è chiarissimamente galloitalica, ma una buona parte del patrimonio lessicale si scosta dall'emiliano ed è in comune con il basso veneto. Tale peculiarità del ferrarese è riscontrabile anche nella pronuncia delle vocali nell'italiano con sostrato ferrarese, i cui casi di apertura o chiusura aderiscono al Polesine / basso Veneto e non all'emiliano: a Bologna di parla di tréno, créma, teléfono, mentre a Ferrara essi sono il trèno, la crèma, il telèfono (laddove la ɛ è un pochino “troppo” aperta, quasi tendente alla æ).
- Ferdinand Bardamu
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Benvenuto!
Il tipo di verbi di cui parla lei, invece, forma un’unità lessicale con una particella avverbiale, e sono analoghi ai phrasal verbs inglesi. Con questi ultimi, infatti, condividono anche l’origine germanica (cfr. Rohlfs 1954 [1969]: § 918) e pertanto, sebbene non siano rari nel toscano, sono molto piú diffusi nell’Italia settentrionale, storicamente piú soggetta all’influenza germanica. Tali verbi non hanno però alcuna funzione aspettuale.

Piú che di verbi fraseologici, parlerei di costrutti verbo-particella avverbiale. I verbi fraseologici «precisano una particolare modalità tempo-aspettuale» (Hanne Jensen, «Fraseologici, Verbi», in Enciclopedia dell’Italiano, 2009) in unione con un altro verbo di modo non finito introdotto da una preposizione.barfuss79 ha scritto:Il mio dialetto è il ferrarese e credo di poter confermare quanto ipotizzava Pocoyo nel suo ultimo intervento e cioè che i verbi fraseologici sono peculiarità dei dialetti (e conseguentemente di molte espressioni italiane) settentrionali.
Il tipo di verbi di cui parla lei, invece, forma un’unità lessicale con una particella avverbiale, e sono analoghi ai phrasal verbs inglesi. Con questi ultimi, infatti, condividono anche l’origine germanica (cfr. Rohlfs 1954 [1969]: § 918) e pertanto, sebbene non siano rari nel toscano, sono molto piú diffusi nell’Italia settentrionale, storicamente piú soggetta all’influenza germanica. Tali verbi non hanno però alcuna funzione aspettuale.
Espressioni analoghe esistono anche nel mio dialetto: nar drènto, vegnèr fóra, nar fóra, nar su, nar zó, e inoltre cavar zó (=spogliarsi). Confermo anche la pronuncia aperta di trèno, crèma, telèfono.barfuss79 ha scritto:Non esistono ad esempio i verbi “entrare”, “uscire”, “salire” o “scendere”; essi si esprimono solo nella forma “'ndar déntar” / ”gnir déntar”, “'ndar fóra” / “gnir fóra” / “'ndar su”, “gnir su” / “'ndar zzó”, “gnir zzó”.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data dom, 12 mag 2013 22:06, modificato 1 volta in totale.
- u merlu rucà
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Non sono d'accordo sul fatto che i verbi fraseologici siano peculiarità dei dialetti settentrionali.
Posso riportare ad esempio quel noto scioglilingua barese, che sulla wikipedia in italiano è riportato così:
Ce nge n'am'à sscí, sciamanínne; ce non nge n'am'à sscí, non nge ne sime scénne!
Ossia: «Se ce ne dobbiamo andare, andiamocene; se non ce ne dobbiamo andare, non ce ne andiamo». Ma, letteralmente, si traduce: «Se ce n'abbiamo ad andare, andiamocene; se non ce n'abbiamo ad andare, non siamocene andanti»; qui i verbi fraseologici sono due:
– {avere + a + v. all'infinito} per "dovere + verbo all'infinito";
– {non + v. "essere" all'imperativo + part. presente} per rendere l'imperativo negativo (es.: non sii andante = "non andare").
Aggiungo che:
– in barese (e credo nei dialetti meridionali in genere) non esiste il futuro semplice, che viene reso con "dovere" espresso con la stessa locuz. "avere a" vista prima (es.: munne è state, munne iè e mmunn'av'a ièsse = "mondo è stato, mondo è e sarà (lett.: 'ha a essere')" [av= a+'v' eufonica]);
– "dovere", oltre che con "avere a" si può rendere con "tenere a" (ma non per esprimere il futuro; es.: tengo a telefonare = "devo telefonare").
Posso riportare ad esempio quel noto scioglilingua barese, che sulla wikipedia in italiano è riportato così:
Ce nge n'am'à sscí, sciamanínne; ce non nge n'am'à sscí, non nge ne sime scénne!
Ossia: «Se ce ne dobbiamo andare, andiamocene; se non ce ne dobbiamo andare, non ce ne andiamo». Ma, letteralmente, si traduce: «Se ce n'abbiamo ad andare, andiamocene; se non ce n'abbiamo ad andare, non siamocene andanti»; qui i verbi fraseologici sono due:
– {avere + a + v. all'infinito} per "dovere + verbo all'infinito";
– {non + v. "essere" all'imperativo + part. presente} per rendere l'imperativo negativo (es.: non sii andante = "non andare").
Aggiungo che:
– in barese (e credo nei dialetti meridionali in genere) non esiste il futuro semplice, che viene reso con "dovere" espresso con la stessa locuz. "avere a" vista prima (es.: munne è state, munne iè e mmunn'av'a ièsse = "mondo è stato, mondo è e sarà (lett.: 'ha a essere')" [av= a+'v' eufonica]);
– "dovere", oltre che con "avere a" si può rendere con "tenere a" (ma non per esprimere il futuro; es.: tengo a telefonare = "devo telefonare").
Ultima modifica di Zabob in data gio, 19 giu 2014 1:23, modificato 1 volta in totale.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Animo Grato
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Che poi è lo stesso modo in cui è nato il futuro semplice italiano.Zabob ha scritto:– in barese (e credo nei dialetti meridionali in genere) non esiste il futuro semplice, che viene reso con "dovere" espresso con la stessa locuz. "avere a" vista prima
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
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- Interventi: 198
- Iscritto in data: lun, 30 dic 2013 17:30
Ho vissuto tre anni della mia vita a Verona, ma non mi ero accorto di queste espressioni con questo significato: forse perche non frequentavo intimamente i veronesi.
Andare su nel senso di essere eletto lo si usava nelle Marche negli anni ’70. Delle espressioni veronesi mi è rimasto impresso e morta lì (ovvero finisce lì). Nella zona in cui sono nato si usa un'inquietante tirare via inteso come sbrigarsi: "E tira via!". Non sapevo cosa fossero i verbi fraseologici. Grazie.
Andare su nel senso di essere eletto lo si usava nelle Marche negli anni ’70. Delle espressioni veronesi mi è rimasto impresso e morta lì (ovvero finisce lì). Nella zona in cui sono nato si usa un'inquietante tirare via inteso come sbrigarsi: "E tira via!". Non sapevo cosa fossero i verbi fraseologici. Grazie.
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