Graffiti "writing"

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Moderatore: Cruscanti

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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

domna charola ha scritto:Faccio un esempio: se dico "traingolo" posso intendere la forma geometrica, ma anche l'oggetto per segnalare un'auto ferma, oppure una relazione a tre. Chi ascolta, però, capisce al volo, dal contesto, a quale significato mi riferisco.
Se parlo di espressione artistica, e dico "graffito", posso intendere un'incisione monocromatica (poi può essere tinta, ma la tecnica base è "incisione") oppure una pittura policroma. Due aspetti, due tecniche artistiche, due campi di riferimento culturale completamente diversi nell'ambito del medesimo gergo tecnico - quello dell'espressione artistica o grafica - indicati col medesimo termine tecnico.
Mi perdoni, ma non vedo la differenza tra i due esempi. La funzione disambiguante del contesto vale per il primo caso come per il secondo. Per dire, se in un libro dedicato a Keith Haring si parla di graffiti, chi potrebbe confonderli colla tecnica di decorazione o colle iscrizioni rupestri?

Mi ritrovo nell’intervento di Ste.Stringa (a cui do il benvenuto): dove è possibile — e qui è possibilissimo — è meglio adottare la parola italiana che già abbiamo.
Ste.Stringa
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Intervento di Ste.Stringa »

Grazie a Ferdinand per il benvenuto.
Mi permetto di banalizzare:

- Ho voglia di farmi un espresso
- Alle 14 c'è solo l'espresso, in direzione Bologna

- Il suo indice era puntato verso di me
- L'indice non indicava le pagine relative ai capitoli

- Sono nato e cresciuto nello stesso stato
- Difficile da credere che ci siano persone che vivono in questo stato

Di bisensi ce ne sono a decine e anche in casi semplici come quelli sopra citati non si fa certo confusione, quindi se parliamo di un libro, di un articolo o altro, sbagliarsi sarà ancor più improbabile.
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Lì per lì ero anch'io d'accordo con la mozione di rimpiazzare writing/writer con graffiti/graffitista, per ragioni fonotattiche e storiche. Ma l'intervento di domna charola mi ha convinto. L'allargamento semantico per comprendere due tecniche assai diverse che condividono però lo stesso ambito mi pare sconsigliabile. Immaginiamo una mostra affollata di artisti o presunti tali: "Mi presento, sono un graffitista", fa uno. "Ah, complimenti! Adoro i graffiti: ho ancora negli occhi lo spettacolo della facciata di Palazzo Massimo di Pirro a Roma..." "Non li conosco. Di chi sono? A Roma ci sta Diamond che è uno forte, forse so' suoi". "Diamond?!? No, sono attribuiti a Daniele da Volterra". "Mai sentito". "Ma, scusi, lei non si occupa di graffiti?" "E come no! Cioè, hai presente quello che si vede nell'ultimo video di Fabri Fibra? Quello dove ce sta Bob Marley col corpo metà centauro che si fuma una tromba e dal fumo esce 'na sorca co le zizze de fori? Cioè, quello l'ho fatto io! Cioè spakka di brutto!" :roll:
Non vogliamo evitare il possibile imbarazzo di un simile scambio di battute? Proprio nei casi in cui le apparenze favoriscono la confusione è utile che le parole servano a discriminare. Qualche anno fa, se non ricordo male, non ci fu una battaglia dei maestri cioccolatai italiani per impedire che l'etichetta di "cioccolato" fosse attribuita anche a surrogati (olandesi, mi pare) ottenuti senza l'impiego del burro di cacao?
Del resto, l'italiano possiede già la parola giusta: si vedano sul Treccani murale, muralista e muralismo.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Il siparietto immaginato da Animo Grato è gustosissimo e arguto; tuttavia, mi pare improbabile possa verificarsi, appunto per il contesto: il suddetto graffitaro si presenterà con una felpa con cappuccio, braghe1 di tre taglie piú grandi, scarpacce da ginnastica, calata borgatara. Difficile scambiarlo per un fine e coltissimo artefice, se l’abito fa il monaco.

Ciò detto, se per gli epigoni di Basquiat e Haring possiamo pure parlare di muralisti, visto che l’uso «improprio» di graffiti dà cosí tanto l’uggia, non mi pare disacconcio definire graffiti le scritte estemporanee, spessissimo sceme, che imbrattano muri e arredi urbani. Già parliamo di graffiti per iscrizioni pompeiane di questo tenore: «Apollinaris medicus Titi imperatoris hic cacavit bene» (‹Apollinare, medico dell’imperatore Tito, qui si è fatto una bella cagata1›); e allora perché non dovremmo definire graffiti anche scritte contemporanee come «X ME NON 6 UN SOGNIO, MA UNA REALTA CHE MI FA SOGNIARE»?

1 Braghe e cagare, alla faccia di Nanni Moretti. :mrgreen:
domna charola
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Intervento di domna charola »

:lol: :lol: :lol:

Quando ho scritto sopra, sentivo che non riuscivo a trovare l'esempio calzante, ma la sua spiegazione è perfetta!

In effetti, parlando di ambito specialistico, mi riferivo a una parola adoperata sempre nel medesimo contesto.
Ovvero, la maggioranza delle parole che hanno più significati, manifestano ciò in ambiti specialistici diversi.
Nel nostro caso, invece, l'ambito è il medesimo. Quindi io posso trovarmi a parlare dei due oggetti nel medesimo contesto senza poterli distinguere.
Mi veniva in mente la situazione dell'insegnante di storia dell'arte che spiega "Vedete, ragazzi, mentre i graffiti vengono fatti incidendo, i graffiti sono dipinti". Una comunicazione di questo tipo mi costringe a cercare un altro termine per non essere presa per mentalmente disturbata.
Oppure, invento un nuovo apparecchio per comunicare a distanza, elettronico satellitare e ancora di più e - novità! - lo chiamo... telefono.
Secondo me, non funziona.

Ma la spiegazione di Animo Grato mi par assai più convincente...
domna charola
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Intervento di domna charola »

Ho scritto in contemporanea con lei, e non avevo visto l'intervento.
Mi sembra che le scritte di quel tenore, per quanto cariche di un valore storico, sociologico e antropologico, non meritino di essere paragonate a opere d'arte riconosciute a livello internazionale quali molti graffiti prodotti in tempi e da culture diverse.
A Pompei forse si giustifica, perché sono graffiate sul muro, ma quelle moderne le definirei altrimenti.
Insomma, tutto ciò che con tecniche pittoriche moderne sta su di un muro e riesce a raggiungere il livello di espressione artistica, è di fatto una nuova arte, e come tale ha diritto a un suo nome; ciò che è solo estemporanea manifestazione non solo di sentimenti ma anche di (cattiva) educazione personale, le classificherei altrove.
A volte è anche giusto chiamare le cose con il proprio nome, anziché fornire facili giustificazioni: "non ho sporcato il muro, è un "graffito"!" "Non me ne fr*** un c****!!!! TU ORA PULISCI!!!!"
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

domna charola ha scritto:Mi sembra che le scritte di quel tenore, per quanto cariche di un valore storico, sociologico e antropologico, non meritino di essere paragonate a opere d'arte riconosciute a livello internazionale quali molti graffiti prodotti in tempi e da culture diverse. A Pompei forse si giustifica, perché sono graffiate sul muro, ma quelle moderne le definirei altrimenti.
Quindi Lei fa della tecnica — l’incisione — la caratteristica principale di quelle scritte. Io sono di diverso avviso: il graffito storico, quello di Pompei, è una scritta fatta lí per lí, spesso d’argomento osceno, su superfici pubbliche, case, palazzi. E lo stesso si può dire anche per quello moderno, benché sia piú spesso fatto col pennarello o la bomboletta che con un punteruolo.

In questo senso, graffiti è già nell’uso, e non credo abbia una sfumatura particolarmente positiva.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Mi sembra che di filosofia in filosofia ci stiamo perdendo per strada.

Siamo partiti da una tipologia artistica oggi riconosciuta, che ha lo stesso nome di tutt'altra tipologia (diversa per tecnica, supporto, cromatismo... insomma, non importa: è un'altra forma d'arte, così come una cattedrale gotica differisce da una romanica, punto, indipendentemente dal fatto che posano essere fatte tutt'e due di pietra, oppure avere archi etc.).
Queste due cose, se sto parlando di arte, è utile distinguerle fra loro, possibilmente usando singoli termini e non forme composte.

Poi, è ovvio che, in contesto non artistico, i medesimi termini possono essere comunque usati per altre cose, ma siamo in tutt'altro campo.

Quelli che vengono fatti sui muri restano scritte o scarabocchi; secondo me quelli di Pompei sono ascesi al rango di "graffiti" nel senso antico in quanto considerati testimonianza storica, degni di essere protetti.
Nessuno si sognerebbe mai di "ripulirli" perché deturpano le rovine.

Mentre le scritte attuali, per ora, sono osteggiate, condannate, ripulite. Quindi, sono un oggetto ancora diverso. Non le equiparerei a quelle di Pompei, a meno che non gli si dia altrettanta dignità e diritto di permanere sui nostri muri.
Bisognerebbe andare a vedere all'origine: quando e perché sono stati chiamati "graffiti", chi usa il termine e con quale frequenza. Comunque, restano "i" graffiti di Pompei. Non altro.

Resta il problema di partenza: non perdiamolo d'occhio!
I poveri "graffiti", che tutto sommato avrebbero diritto a distinguersi per sé stessi, con un loro nome.
Se parlo di arte, mi viene istintivo, non li definirei mai con il nome di un altro oggetto artistico esistente e completamente diverso.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Tiriamo dunque le fila del discorso. Se ripugna chiamare graffiti i disegni fatti colla bomboletta sul muro, chiamamoli murali. Per la mia sensibilità, non cambia nulla: entrambe le parole sono rispettose della struttura dell’italiano. Bisognerebbe avere la sanzione di qualche artista, ma questa o quella per me pari sono, e certamente la derivazione inglese di graffiti (nel senso moderno) non mi disturba.

Per quanto riguarda gli scarabocchi improvvisati sui muri (tipo «Tizia ti amo, Caio se tte pijo, fututa sum hic…» e sim.), la questione è differente. Posto che il contesto è in grado di disambiguare tra i graffiti storici e quelli moderni, io vedo una continuità funzionale tra i primi e i secondi (dare sfogo alla propria scempiaggine), talché troverei inutile l’uso di una parola diversa. Anche perché scarabocchio e scritta sono parole troppo generiche: si può scrivere o scarabocchiare sulla carta o su qualsiasi altro supporto, mentre in genere si fanno graffiti soltanto sui muri e sull’arredo urbano.
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Un’idea per mettere d’accordo tutti, visto che la riapertura del filone Graffiti «writing» ha suscitato una mezza iradiddio, peraltro divertente. Per distinguere, scrivendo, i graffiti sui muri o sui vagoni della metropolitana, chiamati cosí con un pretto anglicismo, anche se la parola è un tipico ‘cavallo di ritorno’ (e se chi la usa non lo sa), usiamo il corsivo. In tondo designeremo i graffiti di qualche palazzo rinascimentale, o quelli della Valcamonica. Parlando, pronunceremo secondo i casi /graˈfːiːti/ o /grəˈfiːti/. Questa è la mia modesta ma serissima proposta.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Manutio ha scritto:Per distinguere, scrivendo, i graffiti sui muri o sui vagoni della metropolitana, chiamati cosí con un pretto anglicismo, anche se la parola è un tipico ‘cavallo di ritorno’ (e se chi la usa non lo sa), usiamo il corsivo. In tondo designeremo i graffiti di qualche palazzo rinascimentale, o quelli della Valcamonica. Parlando, pronunceremo secondo i casi /graˈfːiːti/ o /grəˈfiːti/. Questa è la mia modesta ma serissima proposta.
Mi spiace rompere le uova nel paniere, ma mi sembra una proposta destinata piú agli happy few che conoscono l’inglese, che al grande pubblico. Tra l’altro, l’introduzione di una norma di pronuncia straniera per una parola italiana, ancorché usata dagl’inglesi in un significato peculiare, non ha una grande ragion d’essere. La distinzione dei significati è già data dal contesto, come dicevo su, e il rifiuto di graffiti si può giustificare o con un’avversione preconcetta nei riguardi non dell’anglicismo ma dell’uso inglese d’una parola italiana (!), oppure con un (esagerato, per quanto mi riguarda) rispetto della tradizione.

In ogni caso, mi pare che la questione sia stata risolta piú sopra: se proprio si vuole riservare graffiti al suo uso storico, usiamo murali. :)
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Quando ho definito 'serissima' la mia proposta non ero serissimo.
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cuci
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Un radioso passato

Intervento di cuci »

Non nascondo un passato all'interno della Cultura hip-hop e posso dire che, ai tempi, la tendenza era quella di chiamare opere di questo tipo

Immagine

graffiti né tantomeno murales, semmai "pezzi", esattamente come si fa per le canzoni (quello messo ad esempio è "un pezzo di Daim", artista tedesco dall'aspetto tutt'altro che simile a quello descritto da Ferdinand Bardamu).
La tecnica in generale si definiva (e si definisce) aerosol art e ci tengo a tutte queste precisazioni, giacché vorrei si distinguesse tra questa e le normali scritte sui muri.
Immagine.
ed i murales, ossia le pitture sui muri
Immagine

Dove voglio andare a parare: semplicemente reputo che graffito possa sì considerarsi un termine ombrello, sotto cui inserire ogni "espressione murale", dalle scritte oscene pompeiane alle opere fatte colle bombolette, ma se si vuole andare nello specifico e definire il lavoro dei writer (quindi connesso a tutta la cultura hip-hop, incluso l'aspetto dell'illegalità), allora consiglierei di cercare una traduzione per "aerosol art", che può esser "arte aerografica", giusto per fare un esempio.
«Duva vidi moju zzappa fundu»

·Dum·Doceo·Disco·
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Bene, ora abbiamo l’«interpretazione autentica». Grazie mille. :D

Quindi gli artisti aerografici o, per brevità, i graffitisti (graffitari per i dispregiatori) fanno arte aerografica, e, nello specifico, murali, senza scendere nel gergale con pezzi?
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Mi accodo all'intervento di cuci: ho chiesto lumi a un mio amico che per molto tempo (almeno tutti gli anni novanta) si è interessato di questa forma espressiva. Non ne frequenta piú l'ambiente, ma, dice, la terminologia di base è ancora oggi la stessa.

Venendo al sodo: un graffito è di solito chiamato pezzo, mai murale (quest'ultimo è realizzato con strumenti e tecniche diversi); l'azione dell'eseguire un graffito è detta graffitare o, piú raramente, bombardare; writer è [purtroppo] il termine piú comune per indicare l'autore di graffiti, mentre graffitaro è in effetti avvertito come un po' dispregiativo.

Per quanto mi riguarda, penso che spetti agli 'addetti ai lavori' il compito di descrivere la propria attività — e nel caso di questo genere di pitture parliamo di una forma d'arte consolidata da decenni. Il profano, di regola, potrà solo contestare l'uso di termini stranieri dannosi per la nostra lingua e, nel caso, suggerire alternative ragionevoli.

Graffito, se pezzo suona troppo gergale (anche se, di nuovo, forse non spetta a noi giudicare), e graffitista sono linguisticamente ineccepibili, e dubito che farebbero storcere il naso ai writers nostrani.
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