[xTSC] «-a» per «-e»
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[xTSC] «-a» per «-e»
Nel registro più rustico delle parlate toscane si assiste al fenomeno per cui alcuni sostantivi femminili in -e vengono «normalizzati» passando ad -a. Mi vengono a mente tossa e caria, non so se ce ne siano altri e se questo fenomeno sia confinato in Toscana.
- Ferdinand Bardamu
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C'è anche in diversi dialetti liguri: grandu/grande masch. granda femm.Ferdinand Bardamu ha scritto:Questa forma di metaplasmo di classe c’è pure in veneto: sul momento, mi viene in mente l’aggettivo grande, che al femminile fa granda.
prüxa "pulce", ceixu "cece", scimixa "cimice"
Abbiamo inoltre il passaggio inverso: porte "porta", füme "fumo".
Largu de farina e strentu de brenu.
- GianDeiBrughi
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TRANSIZIONE INVERSA - GENERALIZZATA - DA "-A" A &a
Certo. Anche “pesciu”, ad es., con “scavalcamento” delle “declinazioni”. “Pesciu” si ritrova nel corso. Che è assai più ricco di genovesismi di quanto pensino gli studiosi. Dai quali non si può pretendere la conoscenza del genovese. Comunque, si tratta di casi singoli e, in generale, la “norma colta” ha prevalso. Però, nella transizione inversa - “-a" --> “-e” - esiste una classe di sostantivi in cui il passaggio da “-a” a “-e” - dovuto a “normalizzazione” - è stato generale. Si tratta dei plurali “neutri” - originariamente in “-a”- . In genovese sono tutti passati a “-e” - in accordo coll’articolo “e” = le - e si dice, infatti, “e osse” = le ossa, “e őve” = le uova, “e gummje” = i gomiti, “e carcagne” = i calcagni et c. . I vecchi, in realtà, dicevano “j osse” e “j őve” con “j” approssimante, ma la pronuncia - in città - è desueta. La classe di “neutri” in “-e” al plurale - al sing. , ovviamente, si ha il maschile come in italiano - ha appartenenze diverse da quelle della lingua nazionale. Infatti, ad es., alcuni nomi di frutti - non tutti - sono rimasti - “latinamente” - al “neutro”. Si dice, infatti, “e mejje” = le mele o “e pejje” = le pere. Ci si può convincere che si tratta di “neutri”, esaminando il singolare che non è femminile, ma maschile: “u pei” = la pera e, rispettivamente, “u mei” = la mela.u merlu rucà ha scritto:C'è anche in diversi dialetti liguri: grandu/grande masch. granda femm.Ferdinand Bardamu ha scritto:Questa forma di metaplasmo di classe c’è pure in veneto: sul momento, mi viene in mente l’aggettivo grande, che al femminile fa granda.
prüxa "pulce", ceixu "cece", scimixa "cimice"
Abbiamo inoltre il passaggio inverso: porte "porta", füme "fumo".
A titolo di curiosità / ”primato” segnalo i 6 livelli di omofonia di “pei” – 1 “significante” per 6 “significati” - . “Pei”, infatti, vale:
pera;
pero;
peri;
pelo;
peli;
per i.
Nell’ultima accezione le grafie tradizionali lo riportano anche “staccato” nelle sue componenti: “pe’ i”.
L’evoluzione fonetica locale ha reso omofone parole diverse e, oltre a “conseguire” - ovviamente nel caso specifico - l’indistinzione tra singolare e plurale – e anche tra albero e frutto - , è riuscita a “realizzare” sostantivi maschili singolari in “-i” - sia pure come vocoide componente di un dittongo - . Evidentemente, nessun sistema linguistico è perfetto!

E, anche in questo caso, risulta impossibile distinguere “fonicamente” singolare da plurale.
Ancora un’osservazione: nelle varietà più “rustiche” di genovese il plurale di sostantivi quali “ciâve” = chiave o “nûxe” = noce risulta identico al singolare.
Credo si tratti della continuazione di “claves”, “nuces” et c. e penso che forme simili - in “-e” - si possano sporadicamente rintracciare anche in antichi documenti toscani.
In città hanno, ormai, prevalso - al plurale - le forme “italianizzanti” “ciâvi” e “nûxi” e, se qualche vecchio esita nel proferirle, significa solo che è partito il processo interno di “autocorrezione”. Cioè, l’enunciato rallenta. Anche a livello ormai automatizzato il vecchietto sa che sono cose che non si devono più dire.
P.S. :
s'è scritto che la classe dei “neutri” include in genovese elementi diversi rispetto all'italiano. Ne fanno parte - come detto - pere e mele, ma, ad es., manca il plurale lenzuola. Infatti l’”erosione” fonetica l’ha “ridotto” a essere “lenső” - invariato tra singolare e plurale - . E non appartiene più alla classe dei “neutri”. Infatti, si hanno “u lenső/i lenső” = il lenzuolo/le lenzuola. Va notato che i sostantivi in “-ő [-‘ø:]” e quelli in “-ê [-‘e:]” – in ognuna delle due rispettive classi sono confluite provenienze diverse – non variano tra sing. e plurale.
“Camê” e “pê” valgono cameriere/-i e piede/-i. “Figiő” e “bő” significano bambino/-i e bue/buoi.
“Camê” e “figiő” terminavano – molto anticamente – con l’”r” approssimante. In seguito, “vocalizzata”. I corrispondenti femminili appaiono - in qualche modo - più simili alle forme italiane: “camêa/camêe” e “figiőa/figiőe”.
DESINENZE
Mi scusi se mi permetto, ma si stava dicendo un'altra cosa: "-e" etimologiche che sono state "normalizzate" - in quanto desinenze di sostantivi di genere femminile - in "-a". In molte varietà settentrionali - come correttissimamente lei riferisce - le "-e" "cadono". Ma è altra cosa dal passare ad "-a". E questo era l'argomento. Come è altrettanto vero e corretto che nelle varietà settentrionali - in maggioranza - le "-a" rimangono. Ma "cadere" o permanere non implica transizione di timbro vocalico - da "-e" ad "-a" o inversamente - .GianDeiBrughi ha scritto:In mantovano è addirittura la norma.
Tranne le parole terminanti in -un/-on (es. la cugnisiun), lüs (luce) e qualche altra, praticamente tutti gli altri femminili terminano in -a.

Ciò che non risulta immediatamente chiaro a chi non conosce il mantovano è se - nelle parole dotate di "-a" che rimangono - ce ne siano alcune che - etimologicamente/originariamente - avevano "-e".
Normalmente, la somiglianza coll'italiano dovrebbe aiutare a trovarle - se ce ne sono - .
- Ferdinand Bardamu
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- GianDeiBrughi
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Re: DESINENZE
Che cadono le -e è indubbio. Però io nel mio messaggio di questo non ho parlato.ippogrifo ha scritto:Mi scusi se mi permetto, ma si stava dicendo un'altra cosa: "-e" etimologiche che sono state "normalizzate" - in quanto desinenze di sostantivi di genere femminile - in "-a". In molte varietà settentrionali - come correttissimamente lei riferisce - le "-e" "cadono".
Latino: (hi)rŭndine(m)Ma è altra cosa dal passare ad "-a". E questo era l'argomento. Come è altrettanto vero e corretto che nelle varietà settentrionali - in maggioranza - le "-a" rimangono. Ma "cadere" o permanere non implica transizione di timbro vocalico - da "-e" ad "-a" o inversamente - .
Italiano: rondine
Mantovano: rondana
E così per molti altri nomi comuni femminili corrispondenti a parole che in italiano terminano in -e.
Fanno eccezione, come ho scritto sopra, un ristretto gruppo di monosillabi d'uso frequente e i sostantivi terminanti in -un/on, corrispondenti a quelli italiani in -ione.
- u merlu rucà
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Re: TRANSIZIONE INVERSA - GENERALIZZATA - DA "-A"
A volte, curiosamente, il corso concorda lessicalmente più con i dialetti occidentali che con il genovese. Per esempio corso chjottu/ciottu ligure occ. ciotu "buco nel terreno", forma che non esiste nel genovese per quanto mi risulta.ippogrifo ha scritto: “Pesciu” si ritrova nel corso. Che è assai più ricco di genovesismi di quanto pensino gli studiosi. Dai quali non si può pretendere la conoscenza del genovese.
Nei dialetti occidentali invece il plurale è al maschile: i osi; i ővi; i gumei.ippogrifo ha scritto:
Comunque, si tratta di casi singoli e, in generale, la “norma colta” ha prevalso. Però, nella transizione inversa - “-a" --> “-e” - esiste una classe di sostantivi in cui il passaggio da “-a” a “-e” - dovuto a “normalizzazione” - è stato generale. Si tratta dei plurali “neutri” - originariamente in “-a”- . In genovese sono tutti passati a “-e” - in accordo coll’articolo “e” = le - e si dice, infatti, “e osse” = le ossa, “e őve” = le uova, “e gummje” = i gomiti, “e carcagne” = i calcagni et c. .
Nei dialetti occidentali l'italianizzazione non ha ancora preso piede.ippogrifo ha scritto:
Ancora un’osservazione: nelle varietà più “rustiche” di genovese il plurale di sostantivi quali “ciâve” = chiave o “nûxe” = noce risulta identico al singolare.
Credo si tratti della continuazione di “claves”, “nuces” et c. e penso che forme simili - in “-e” - si possano sporadicamente rintracciare anche in antichi documenti toscani.
In città hanno, ormai, prevalso - al plurale - le forme “italianizzanti” “ciâvi” e “nûxi” e, se qualche vecchio esita nel proferirle, significa solo che è partito il processo interno di “autocorrezione”. Cioè, l’enunciato rallenta. Anche a livello ormai automatizzato il vecchietto sa che sono cose che non si devono più dire.
I dialetti occidentali hanno invece mantenuto la distinzione fra singolare e plurale: lenső/lensői; bő/bői; cameré/camerèi; figliő/figliői.ippogrifo ha scritto:P.S. :
s'è scritto che la classe dei “neutri” include in genovese elementi diversi rispetto all'italiano. Ne fanno parte - come detto - pere e mele, ma, ad es., manca il plurale lenzuola. Infatti l’”erosione” fonetica l’ha “ridotto” a essere “lenső” - invariato tra singolare e plurale - . E non appartiene più alla classe dei “neutri”. Infatti, si hanno “u lenső/i lenső” = il lenzuolo/le lenzuola. Va notato che i sostantivi in “-ő [-‘ø:]” e quelli in “-ê [-‘e:]” – in ognuna delle due rispettive classi sono confluite provenienze diverse – non variano tra sing. e plurale.
“Camê” e “pê” valgono cameriere/-i e piede/-i. “Figiő” e “bő” significano bambino/-i e bue/buoi.
“Camê” e “figiő” terminavano – molto anticamente – con l’”r” approssimante. In seguito, “vocalizzata”. I corrispondenti femminili appaiono - in qualche modo - più simili alle forme italiane: “camêa/camêe” e “figiőa/figiőe”.
Largu de farina e strentu de brenu.
Re: DESINENZE
Grazie per la cortesia e i chiarimenti forniti.GianDeiBrughi ha scritto:Che cadono le -e è indubbio. Però io nel mio messaggio di questo non ho parlato.ippogrifo ha scritto:Mi scusi se mi permetto, ma si stava dicendo un'altra cosa: "-e" etimologiche che sono state "normalizzate" - in quanto desinenze di sostantivi di genere femminile - in "-a". In molte varietà settentrionali - come correttissimamente lei riferisce - le "-e" "cadono".
Latino: (hi)rŭndine(m)Ma è altra cosa dal passare ad "-a". E questo era l'argomento. Come è altrettanto vero e corretto che nelle varietà settentrionali - in maggioranza - le "-a" rimangono. Ma "cadere" o permanere non implica transizione di timbro vocalico - da "-e" ad "-a" o inversamente - .
Italiano: rondine
Mantovano: rondana
E così per molti altri nomi comuni femminili corrispondenti a parole che in italiano terminano in -e.
Fanno eccezione, come ho scritto sopra, un ristretto gruppo di monosillabi d'uso frequente e i sostantivi terminanti in -un/on, corrispondenti a quelli italiani in -ione.

Anche in genovese la rondine termina in "-a".
Ma solo perché s'è, ormai, perso il "simplex" e si usa solo quello che - originariamente - era un diminutivo: "rundaninn-a".

- GianDeiBrughi
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Re: DESINENZE
Non son proprio in grado di poter confermare o negare che qualcosa di simile sia avvenuto anche in mantovano. Ma, ribadisco, si tratta di un fenomeno molto pervasivo sia nel mantovano sia nei vernacoli con esso confinanti.
Per esempio la bota per "la botte" (recipiente) è riscontrabile in mantovano, cremonese e parmigiano.
Per esempio la bota per "la botte" (recipiente) è riscontrabile in mantovano, cremonese e parmigiano.
Ultima modifica di GianDeiBrughi in data ven, 18 ott 2013 20:23, modificato 2 volte in totale.
- Ferdinand Bardamu
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Re: DESINENZE
È vero. Ora mi è venuto in mente un esempio pertinente anche nel mio dialetto: NŬCEM > noxa. Stranamente, qui sembra essere un fenomeno meno diffuso che altrove: CRŬCEM > croxe non *croxa.GianDeiBrughi ha scritto:Ma, ribadisco, che si tratta di un fenomeno molto pervasivo sia nel mantovano sia nei vernacoli con esso confinanti.
Per esempio la bota per "la botte" (recipiente) è riscontrabile in mantovano, cremonese e parmigiano.
Re: DESINENZE
Chiedo venia se mi permetto di fare commenti scontati e - sotto alcuni punti di vista metodologici - anche criticabili.
La parola che indica la noce - molto probabilmente - era meno vincolata a "norme colte", mentre un termine "pesantemente caricato di valenze culturali e religiose" qual era la croce nella società "devota" - e sottoposta a controlli sociali ed ecclesiastici - dei nostri antenati risultava, forse, meno direttamente manipolabile a livello "dialettale".
Ribadisco, comunque, che si tratta solo di un libero tentativo di voler identificare almeno un "differenziale esplicativo" e non di concetti che possano valere in assoluto.
La parola che indica la noce - molto probabilmente - era meno vincolata a "norme colte", mentre un termine "pesantemente caricato di valenze culturali e religiose" qual era la croce nella società "devota" - e sottoposta a controlli sociali ed ecclesiastici - dei nostri antenati risultava, forse, meno direttamente manipolabile a livello "dialettale".
Ribadisco, comunque, che si tratta solo di un libero tentativo di voler identificare almeno un "differenziale esplicativo" e non di concetti che possano valere in assoluto.

- Ferdinand Bardamu
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
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Ci avevo pensato anch’io, ma Lei l’ha espresso molto meglio di quanto potessi fare io, perciò La ringrazio. Proprio per il valore culturale e religioso della croce — e, di conseguenza, anche per l’influenza e il continuo controllo del latino ecclesiastico — la desinenza si è mantenuta.
Per parole meno cariche di significato, legate alla concretezza del quotidiano, la «normalizzazione» delle desinenze può avvenire (piú) liberamente, come accade per esempio in vida (elemento metallico) < VĪTEM.
Va anche detto che ciò che abbiamo osservato non è universalmente valido. La mancata normalizzazione in parole come nòte (‹nòtte›) e late (‹latte›) si può spiegare piuttosto difficilmente. O, almeno, per me, che sono un profano, è cosí.
Per parole meno cariche di significato, legate alla concretezza del quotidiano, la «normalizzazione» delle desinenze può avvenire (piú) liberamente, come accade per esempio in vida (elemento metallico) < VĪTEM.
Va anche detto che ciò che abbiamo osservato non è universalmente valido. La mancata normalizzazione in parole come nòte (‹nòtte›) e late (‹latte›) si può spiegare piuttosto difficilmente. O, almeno, per me, che sono un profano, è cosí.
Re: TRANSIZIONE INVERSA - GENERALIZZATA - DA "-A"
Avrei dovuto scrivere di ligurismi anziché genovesismi.u merlu rucà ha scritto:A volte, curiosamente, il corso concorda lessicalmente più con i dialetti occidentali che con il genovese. Per esempio corso chjottu/ciottu ligure occ. ciotu "buco nel terreno", forma che non esiste nel genovese per quanto mi risulta.ippogrifo ha scritto: “Pesciu” si ritrova nel corso. Che è assai più ricco di genovesismi di quanto pensino gli studiosi. Dai quali non si può pretendere la conoscenza del genovese.

Probabilmente, c'è anche un problema di prospettiva e di autoreferenzialità.

Però, lei sa bene che a Genova accade un po' la stessa cosa che si verifica in Corsica. Quando parlo con vecchi corsi, mi rendo conto che - per loro - "i ghjinu(v)esi" sono - sì - gli abitanti di Genova, ma - più in generale - gli abitanti della Liguria o, forse - secondo la loro mentalità - , gli abitanti dell'antica Repubblica. Tutto ciò per dire semplicemente che - come in Corsica - anche a Genova - e come lei sa benissimo - il termine "ligure" in genovese proprio non si usa e sarebbe un "italianismo" alla quinta potenza o più . . . Si sente solo - da un po' di tempo - il sostantivo "Ligûrrja", ma - prevalentemente - nel solo senso amministrativo. E' evidente che i Corsi - che sono stati "liberati" dall'influenza diretta dell'antica Repubblica nel 1.768 - non possiedano - nella lingua materna - il termine "ligure", dato che la stessa città di Genova stenta a riconoscerlo come proprio ancora nell'anno 2.013!
Molto interessanti i confronti coi plurali ponentini che - a orecchi genovesi - sono sempre parsi più chiari, netti e - quasi - "italianizzanti". Anche se non è esattamente così. Si tratta di un'evoluzione linguistica - in parte - diversa. Le varietà linguistiche "ponentine" rappresentano - per certi aspetti - stadi evolutivi arcaici che Genova ha - ormai - superato da secoli, ma non si deve tralasciare il fatto che sono anche dotate di sviluppi e di caratteristiche identitarie specifiche e ben definite. Particolarmente nel trattamento dei plurali e dei dittonghi. Perché lei - che è felicemente bilingue - , se ritiene - ben inteso - , non produce un sinteticissimo sinottico dei maggiori "contrasti" - 4 o 5 righe , non di più - in merito al trattamento dei plurali e dei dittonghi più diffusi?
Del tipo di "gradino/-i o scalino/-i" = "scæn ['skεη] versus "x" o comunque lei ritenga.

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