Carnby ha scritto:u merlu rucà ha scritto:Spiegazione poco convincente per il ligure e il veneto, dove le -e finali si conservano.
Io credevo che fossero le -
a che si conservavano. Poi in ligure e veneto le regole per la caduta sono differenti: mi pare che, in linea di massima, le vocali in veneto cadano se la penultima consonante sia una sonorante; in ligure mi sembra che avvenga solo se la penultima è una nasale. Infatti si dice in entrambi i casi
can e
pan, no?
L'osservazione del Merlo è pertinente - le -"e" finali si conservano, in generale, ma ci sono eccezioni - come la sua critica al Rohlfs. Come anche la nota di Carnby.
Quando - allora - l' "-e" finale cade? Dopo [n], che diventa - ovviamente - [η] e dopo l' "r" approssimante - esito di "-r-" , ma anche di "-l-" -.
In queste condizioni "cade" anche "-u".
Infatti - oltre a pan e can - si ha vin, fén = fieno e moltissimi altri.
Gli esempi in [ŕ] - approssimante e che non si pronuncia più da molti secoli - sono praticamente infiniti e alcuni - anche se non ero, evidentemente, risultato molto esplicito

- si trovano già nel mio memo precedente: mei = mela/melo, pei = pera/pero/pelo et c. , figiő = bambino, lenső = lenzuolo e moltissimi altri.
Tra cui: da vei = davvero, de rê = dietro, mâ = mare/male, mő = molo, mű = mulo, sâ = sale, sê = cielo, ső = sorella/-e/strato, sû = sole, fâ = fare, fî = filo, fû = ronzio, u/a pâ = sembra(pare), u/a vâ = vale, u/a vő = vuole, pâ = paio, buei = vanga, badile. Sono davvero innumerevoli. Smetto.
Se, però, la consonante è geminata, non succede nulla. La valle è a valle e il vaglio è u vallu. Mentre - v. sopra - la forma verbale vale è u/a vâ - non può più "contrastare" con a valle - .
L'origine - come accennato - è del tipo: sâle ['sa.ale]>sâre ['sa.aŕe] - [ŕ], cioè approssimante perché intervocalica - >sâr ['sa.aŕ]>sâ ['sa.a]. l' "r" approssimante è caduta, cioè si è "vocalizzata". Pei- ovviamente - viene da peir perché l'"i" breve dette "ei".
Per altro, le regole del gioco imponevano d'identificare vocaboli con "-e" caduta e ripristinata in "-a", ma il genovese non si presta a sostenere la tesi del Rohlfs perché - nelle condizioni richieste ("-e" caduta) - non si trovano femminili e, comunque, l' "-e" caduta non viene ripristinata in alcun modo.
Non si potrebbe perché s'è perduta anche l'"r"!
Sâ = sale, a mio avviso, è diventato femminile solo dopo aver perduto "-e" ed "r". Solo perché termina in "una specie" di "-a". E, per altro, nessun ripristino. Rimane sciû = fiore - probabilmente femminile già in origine -, ma - in città - non si usa più se non in stereotipi quale, ad es., côu sciû = cavolfiore - e si adopera esclusivamente - ormai - l'italianismo fiûre. Ma, come preannunciato, non ci sarebbe potuta essere nessuna modalità di recupero nemmeno in questo caso.
A sciû (fl>∫) = il fiore - femminile in "-u" - era "insoddisfacente" e - peggio ancora - collideva con u sciû = il signore. Entrambi i vocaboli - ancora riportati nei vecchi lessici - vennero abbandonati e -oggi - si usa l'italianismo u scignûru - è maschile, quindi in "-u", non commettiamo errori!

- . U sciû - oggigiorno - si usa solo in associazione al cognome: u sciû Cujő = il sig. Queirolo. Al femminile, ad es., a sciâ d'e Ciann-e - la sig. Dellepiane - . Andrebbe anche notato che la signora è a scignûa - non certo il femminile dell'italianismo scignûru, ma di un maschile non più esistente (il Devoto scrisse di Babele linguistica!) ! - .
Rimane u Segnû - con evoluzione perfettamente regolare - solo in senso religioso.
Quindi, "signore" richiede 3 differenti traduzioni!
E la signora - in genovese - non è il corrispondente femminile del signore!
Si riscontra a sciura nei dialetti ponentini e occorrerebbe chiedere al Merlo, ma sono convinto che si tratti di una "normalizzazione" dovuta al genere - femminile - del fiore e non a una "ricostruzione". Nemmeno i ponentini - che dicono sà et c. - , se fossero giunti - nel corso dell'evoluzione linguistica - a sciù per fiore, sarebbero potuti tornare indietro a sciura.
E l'aver "normalizzato" a sciura ha impedito - invece - ulteriori derive linguistiche perché l'"-a" non cade nemmeno se preceduta dalla sonorante [ŕ] tuttora pronunciata in varietà linguistiche del Ponente. L' "-a" non cade neppure - ovviamente - se il parlante non pronuncia più l'[ŕ], come avviene in altre varietà linguistiche in cui si dice a sciûa. Anche se - ormai - gl'italianismi fanno dovunque passi da gigante.