«Andare in comune»

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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thyri
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«Andare in comune»

Intervento di thyri »

Salve a tutti!

Ho un dubbio : si dice andare al comune o andare in comune?
Inoltre la parola "comune" intesa come edificio istituzionale si scrive con la lettera maiuscola o minuscola? Questo vale anche per i nomi dei certificati?
Per esempio : devo ritirare il certificato dello Stato di Famiglia all'Ufficio Anagrafe al Comune.
Ho trovato entrambe le forme e questo mi ha confuso.

Vi ringrazio anticipatamente,
Thyri
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Quel che le interessa è la preposizione che regge il complemento di moto a luogo; per verificare l’uso in rete, il verbo dovrebbe quindi essere sostituito da un sinonimo, come recarsi, giacché andare produrrebbe troppo «rumore di fondo»: si può dire, per es., «questi soldi devono andare in comune», ecc. Ebbene, dalla ricerca di «recarsi in/al comune» è difficile dirimere la questione: si trova un’occorrenza di «recarsi al comune» e sette di «recarsi in comune» nell’archivio del Corriere; cinque occorrenze ciascuno nell’archivio della Repubblica (in due casi «recarsi al comune» è seguito dalla denominazione del comune, es. «di Canosa»). Nel Vocabolario Treccani, alla voce «Comune», si dà invece l’esempio «andare al c.». Direi che l’una e l’altra reggenza vanno egualmente bene.

In quanto alla grafia di comune, il DOP scrive:

spesso con C- maiusc. anche come nome com., soprattutto se usato con valore antonomastico o stor.: sposarsi in Comune (o in comune); l’epoca dei Comuni (o dei comuni)

Anche qui l’una e l’altra forma sono accettabili, anche se il DOP, mettendo per prima la variante con iniziale maiuscola, indica in essa la forma preferibile.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data gio, 16 gen 2014 18:11, modificato 1 volta in totale.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Quel che le interessa è la preposizione che regge il complemento di moto a luogo; il verbo può quindi essere sostituito da un sinonimo, come recarsi, giacché andare produrrebbe troppo «rumore di fondo»: si può dire, per es., «questi soldi devono andare in comune»
Quest'ultima frase mi lascia un dubbio: sono soldi da pagare all'amministrazione comunale o soldi che devono essere condivisi tra due o più persone?
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

valerio_vanni ha scritto:Quest'ultima frase mi lascia un dubbio: sono soldi da pagare all'amministrazione comunale o soldi che devono essere condivisi tra due o più persone?
Valerio ha messo il dito nella piaga: infatti i soldi che dovrebbero andare all'Amministrazione vengono spesso condivisi tra due o più persone... :wink:

A parte gli scherzi, ricordiamoci che le frasi sono sempre collocate in un contesto comunicativo che, in genere, scioglie le ambiguità.

A mio parere, caro Ferdinand, non c'è necessità di usare sinonimi perché andare, in questo caso, regge tranquillamente entrambe le preposizioni.

Quanto all'uso della maiuscola, nell'italiano moderno si tende ad evitarlo a meno che il senso risulti ambiguo nonostante il contesto in cui la frase è inserita.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

bubu7 ha scritto:A mio parere, caro Ferdinand, non c'è necessità di usare sinonimi perché andare, in questo caso, regge tranquillamente entrambe le preposizioni.
La ringrazio dell’osservazione. Forse però mi sono spiegato male: non intendevo dire che andare non regga entrambe le preposizioni, ma che, nel fare una ricerca in un archivio in rete, è preferibile usare un sinonimo che non formi col complemento anche locuzioni d’altro significato.
bubu7 ha scritto:Quanto all'uso della maiuscola, nell'italiano moderno si tende ad evitarlo a meno che il senso risulti ambiguo nonostante il contesto in cui la frase è inserita.
Nell’uso giornalistico, che possiamo prendere come un buon indice dell’uso scritto in genere, prevale nettamente la maiuscola: qualche esempio di «il comune di» nell’archivio della Repubblica e del Corriere.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Può darsi che nell'uso giornalistico prevalga la maiuscola ma io consiglierei di evitarla quando è possibile.

In particolare tenderei a evitare la concentrazione di iniziali maiuscole come nella frase riportata da thyri:

Devo ritirare il certificato dello Stato di Famiglia all'Ufficio Anagrafe al Comune.

Scriverei:

Devo ritirare il certificato dello stato di famiglia all'ufficio anagrafe al/del Comune;

o meglio:

Devo ritirare il certificato dello stato di famiglia all'ufficio anagrafe al/del comune.

Riporto quanto affermava il Serianni nella sua Grammatica:

la maiuscola facoltativa è oggi in generale regresso. (I.191).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

bubu7 ha scritto:Può darsi che nell'uso giornalistico prevalga la maiuscola
Non può darsi: è cosí. Gli esempi degli archivi, se ci ha fatto caso, non danno àdito a dubbi: è una norma redazionale rispettata fedelmente. Si tratta probabilmente d’un uso burocratico estesosi al linguaggio giornalistico.

Occorre ricordare che la maiuscola facoltativa risponde talvolta a esigenze funzionali (es. distinguere «Stato», ‹comunità politica›, e «stato», ‹situazione›), talaltra a ragioni di costume, gusto, ideologia (es. un credente può scrivere «il Papa», un ateo «il papa»).

C’è poi un’ulteriore considerazione da fare. Se è vero che il contesto interviene sempre a disambiguare, la tendenza a usare la maiuscola è influenzata anche da altri fattori:

Il criterio... nelle escursioni dell’uso e della sensibilità sociale... sembra essere quello del «nome proprio». Quando una parola o una sequenza di parole indicano non un concetto, ma un individuo, un ente concreto e unico, devono cominciare con la maiuscola. Il problema è allora decidere se ci troviamo in presenza di una entificazione e, nel caso di sequenza, qual è il punto di passaggio dal concetto all’ente; il che dipende, nello scrivente, dalla sua maggiore o minore disposizione, psicologica e linguistica, a entificare. (Luca Serianni, La Crusca per Voi [n° 2, aprile 1991])
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Non può darsi: è cosí...
Certo, caro Ferdinand, la mia concessione non voleva mettere in dubbio la verità della sua affermazione. :)
Ferdinand Bardamu ha scritto:C’è poi un’ulteriore considerazione da fare. Se è vero che il contesto interviene sempre a disambiguare, la tendenza a usare la maiuscola è influenzata anche da altri fattori:
Il criterio... nelle escursioni dell’uso e della sensibilità sociale... sembra essere quello del «nome proprio». Quando una parola o una sequenza di parole indicano non un concetto, ma un individuo, un ente concreto e unico, devono cominciare con la maiuscola. Il problema è allora decidere se ci troviamo in presenza di una entificazione e, nel caso di sequenza, qual è il punto di passaggio dal concetto all’ente; il che dipende, nello scrivente, dalla sua maggiore o minore disposizione, psicologica e linguistica, a entificare. (Luca Serianni, La Crusca per Voi [n° 2, aprile 1991])
La ringrazio per questa sua ricerca che mi permette di esplicitare ulteriormente, continuando la citazione da lei riportata, quanto volevo dire (grassetti miei):
Non è questione di equivoco semantico, sempre ostacolato dal contesto: se, come studioso o docente, scrivo «dell'università di Firenze», a nessuno verrà fatto di intendere che mi riferisco alla cittadinanza fiorentina; e se scrivo «dell'accademia» trattando della Crusca, si capirà facilmente - l'articolo determinativo ne è il segno - che mi riferisco a quella già nominata, non all'accademia in genere, come forma istituzionale. Così facendo, io mi oppongo naturalmente alle entificazioni, alla trasformazione delle sostanze concettuali, in nomi propri; salvo che non mi ci costringa l'isolamento sintattico del cartello epigrafico: «Accademia della Crusca». Per me la Crusca, i Lincei continuano ad appartenere alla vigente categoria delle accademie, come l'università di Pavia a quella delle università, come l'avvocato Tal dei Tali a quella degli avvocati, e l'Italia alla categoria delle nazioni, senza che accademia, università, avvocato, nazione diventino nomi propri, cambiando sostanza e valore, come fanno per istituto i nomi propri; come accade, per fare un esempio famoso, quando si designa (anche da studiosi e critici) con l'iniziale maiuscola quel personaggio che Manzoni si ostina a designare con la minuscola (l'innominato) perché senza nome è e deve restare. Non è infine questione di ortografia; è questione di sentimento della lingua, lecitamente diverso.»
D'accordo con Serianni direi quindi che, nei casi facoltativi, non si può parlare di forma consigliabile, la scelta essendo determinata da ragioni psicologiche applicate alla lingua (condivido però quanto sempre il Serianni affermava riguardo al generale regresso odierno della maiuscola facoltativa).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ritorniamo alla domanda di Thyri:
Thyri ha scritto:Inoltre la parola "comune" intesa come edificio istituzionale si scrive con la lettera maiuscola o minuscola? Questo vale anche per i nomi dei certificati?
Fermo restando che, in questo caso, siamo nell’àmbito degli usi facoltativi e legati allo stile e alla sensibilità linguistica di ciascuno, si nota che nell’uso giornalistico, che, in un modo o nell’altro, finisce per far testo, prevale nettamente la maiuscola. Chi non si volesse conformare, però, non sbaglierebbe affatto: è una questione cosí soggetta a convenzioni effimere e alle preferenze di ognuno che non ha senso distinguere fra giusto e sbagliato.

Personalmente, se con comune s’intende il palazzo in cui ha sede l’ente, eviterei la maiuscola: per me è un caso analogo a Chiesa (istituzione) e chiesa (edificio).
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Intervento di bubu7 »

Ferdinand Bardamu ha scritto: Personalmente, se con comune s’intende il palazzo in cui ha sede l’ente, eviterei la maiuscola...
Sono d'accordo :) (anche sul resto che ha scritto in quest'intervento...).
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Ferdinand Bardamu ha scritto:es. un credente può scrivere «il Papa», un ateo «il papa».
Le edizioni San Paolo usano la seguente regola: «il Papa» ma «papa Francesco».
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Intervento di Freelancer »

bubu7 ha scritto:Quanto all'uso della maiuscola, nell'italiano moderno si tende ad evitarlo a meno che il senso risulti ambiguo nonostante il contesto in cui la frase è inserita.
Devo contraddirti, carissimo. Mi riferisco alla comunicazione di azienda: opuscoli, manuali, ecc. Forse non hai visto l'abuso che si fa della maiuscola. Sai quanto spesso mi ritornano dagli ICR ("In Country Reviewer"), corrette con il maiuscolo cose che avevo, traducendo, scritto in minuscolo? Ad esempio (in un glossario rimandatomi alcuni giorni fa):
materiale composito antiurto --> Materiale Composito antiurto,
stazione di calibrazione --> Stazione di calibrazione,
per utenti finali --> per Utilizzatori finali
centro di assistenza --> Centro di Assistenza

e così via...
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Grazie, caro Roberto.

Questa tua contraddizione :D mi permette di approfondire l'analisi del fenomeno.

A mio parere nel caso da te riportato intervengono due fattori: l'influenza dell'inglese e la necessità di delimitare la locuzione definita.
Ma già nell'ambito di questo linguaggio settoriale si tende spesso a non usare più le maiuscole quando un concetto risulta consolidato (e non nuovo o da definire, come nel caso di un termine di un glossario).

È possibile che l'influenza dell'inglese sia un altro elemento che ha contribuito ad aumentare la frequenza delle maiuscole nella prosa giornalistica, sommandosi al permanere di un retaggio barocco.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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