Quindi non —come sarebbe in italiano— [piˈtœˑi]?…Carnby ha scritto:Canepari mi ha suggerito la pronuncia [pi'tœi] per Pitëi, basandosi sulle fonosintesi di Pontremoli e Filattiera.
[LIJ] «Pitelli» (etimologia e pronuncia)
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Un’altro contributo; lo metto per alcuni dati ivi contenuti anche se non ritengo sensati i concetti di preindoeuropeo e indoeuropeo adoperati dall’autore P.L. Roussett.
Approfitto dell’occasione per ringraziare u merlu rucà d’avermi fatto conoscere il glottologo Mario Alinei nominandomelo nella lunga discussione che avemmo sul forum della Crusca, studioso che per me è stato di grandissimo, insostituibile e impagabile aiuto.
Approfitto dell’occasione per ringraziare u merlu rucà d’avermi fatto conoscere il glottologo Mario Alinei nominandomelo nella lunga discussione che avemmo sul forum della Crusca, studioso che per me è stato di grandissimo, insostituibile e impagabile aiuto.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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Una base PITT- potrebbe avere buone possibilità, anche perché foneticamente congruente con la forma dialettale. Per quanto riguarda Alinei, grande studioso sì, ma un tantinello integralista. La sua teoria in generale mi sembra valida, ma sicuramente non nella parte in cui pretende che gli attuali dialetti italiani (e romanzi in genere) derivino da italidi vari coevi del latino. Io, personalmente, sono propenso ad aderire alla cosiddetta teoria debole della continuità.caixine ha scritto:Un’altro contributo; lo metto per alcuni dati ivi contenuti anche se non ritengo sensati i concetti di preindoeuropeo e indoeuropeo adoperati dall’autore P.L. Roussett.
Approfitto dell’occasione per ringraziare u merlu rucà d’avermi fatto conoscere il glottologo Mario Alinei nominandomelo nella lunga discussione che avemmo sul forum della Crusca, studioso che per me è stato di grandissimo, insostituibile e impagabile aiuto.
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Gentile u merlu rucà,
una volta riconosciuta, ammessa ed accettata la continuità linguistica, implicita nel concetto di sostrato, il resto viene da se, a prescindere dai superstrati e dagli adstrati.
Sono i sostrati i marcatori della singolarità e della identità linguistica, preistorico-storica ed etnica; sono queste antiche radici etno-linguistiche che fanno delle lingue dialettali o dei linguemi (per Alinei) detti romanzi o neolatini delle lingue parallele al latino, di cui il latino è soltanto un superstrato (super o iper quanto si vuole ma sempre e solo superstrato) e perciò non una radice materna, qualifica questa della maternità che spetta unicamente ai sostrati; unici fattori ad averne il diritto biologico e naturale.
Chiamare latino volgare queste lingue di sostrato influenzate dal latino è una insensatezza; caso mai esse sono lingue volgari ma non latino volgare che non esiste e non è mai esistito se non come latino influenzato dalle lingue volgari che è un po come l'italiano regionale che va verso la lingua dialettale.
Ed è questo tipo di latino quello testimoniato dai primi documenti scritti all'inizio dell'era detta volgare, che via via si sono sempre più allontanati dal latino (la lingua colta e scritta) per esprimere il volgare la lingua prima soltanto parlata e poi anche scritta; processo non linguistico ma socio-culturale che ha richiesto secoli, le lingue volgari già esistevano ma mancavano gli scrivani che le riconoscessero e le usassero.
Scambiare il latino volgare con la lingua volgare è stato ed è un grave errore fonte di continue confusioni e di innumerevoli arretratezze.
Per seguire la logica insita nel concetto di latino volgare: se le lingue di sostrato hanno avuto la forza di trasformare il latino dapprima in latino volgare e poi nelle lingue o dialetti romanzi e neolatini, così diversi dal latino e gli uni dagli altri, vuol dire sostanto che queste lingue di sostrato erano ben vive e forti e sopratutto mai morte e continuatesi con vigoria parallelamente al latino.
una volta riconosciuta, ammessa ed accettata la continuità linguistica, implicita nel concetto di sostrato, il resto viene da se, a prescindere dai superstrati e dagli adstrati.
Sono i sostrati i marcatori della singolarità e della identità linguistica, preistorico-storica ed etnica; sono queste antiche radici etno-linguistiche che fanno delle lingue dialettali o dei linguemi (per Alinei) detti romanzi o neolatini delle lingue parallele al latino, di cui il latino è soltanto un superstrato (super o iper quanto si vuole ma sempre e solo superstrato) e perciò non una radice materna, qualifica questa della maternità che spetta unicamente ai sostrati; unici fattori ad averne il diritto biologico e naturale.
Chiamare latino volgare queste lingue di sostrato influenzate dal latino è una insensatezza; caso mai esse sono lingue volgari ma non latino volgare che non esiste e non è mai esistito se non come latino influenzato dalle lingue volgari che è un po come l'italiano regionale che va verso la lingua dialettale.
Ed è questo tipo di latino quello testimoniato dai primi documenti scritti all'inizio dell'era detta volgare, che via via si sono sempre più allontanati dal latino (la lingua colta e scritta) per esprimere il volgare la lingua prima soltanto parlata e poi anche scritta; processo non linguistico ma socio-culturale che ha richiesto secoli, le lingue volgari già esistevano ma mancavano gli scrivani che le riconoscessero e le usassero.
Scambiare il latino volgare con la lingua volgare è stato ed è un grave errore fonte di continue confusioni e di innumerevoli arretratezze.
Per seguire la logica insita nel concetto di latino volgare: se le lingue di sostrato hanno avuto la forza di trasformare il latino dapprima in latino volgare e poi nelle lingue o dialetti romanzi e neolatini, così diversi dal latino e gli uni dagli altri, vuol dire sostanto che queste lingue di sostrato erano ben vive e forti e sopratutto mai morte e continuatesi con vigoria parallelamente al latino.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
Alberto Pento
Sono anni ormai che sappiamo della sua posizione sulla teoria della continuità. Ne abbiamo preso atto. Non serve insistere se noi (dico noi a nome di molti utenti regolari) non la condividiamo.
Si risparmi dunque, in futuro, queste inutili lungaggini. Grazie, e buon anno anche a lei!
Si risparmi dunque, in futuro, queste inutili lungaggini. Grazie, e buon anno anche a lei!

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- caixine
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Buon anno anche a lei Marco, anche se noi veneti, per tradizione millenaria, festeggiamo l’anno nuovo in marzo.
Ogni tanto mi pare doveroso ricordare come il pensiero non sia unico, eppoi a u merlu rucà un grazie glielo dovevo e i debiti vanno sempre pagati, le estorsioni e i pizzi no ma i debiti si.
Caro Marco, anch'io seguo la regola, però quella del ragionamento e della scienza; non certo quella del dogma e dell'ideologia.
"Ora, studia, rajona e laora"!
Un uomo di scienza come lei, Marco, non ha certo timore a confrontarsi con pensieri differenti dal suo.
Ogni tanto mi pare doveroso ricordare come il pensiero non sia unico, eppoi a u merlu rucà un grazie glielo dovevo e i debiti vanno sempre pagati, le estorsioni e i pizzi no ma i debiti si.
Caro Marco, anch'io seguo la regola, però quella del ragionamento e della scienza; non certo quella del dogma e dell'ideologia.
"Ora, studia, rajona e laora"!
Un uomo di scienza come lei, Marco, non ha certo timore a confrontarsi con pensieri differenti dal suo.

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Alberto Pento
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- u merlu rucà
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- Ferdinand Bardamu
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D’accordo, caro Merlu, ma lei – grazie al cielo – non ribadisce a ogni intervento d’essere ligure e non se la prende di continuo coi «dotti» e con la teoria romanza, anche quando il tema del filone è tutt’altro. Qui si tratta piú che altro d’un discorso di educazione e rispetto degli altri; per discutere della teoria della continuità, c’è un filone apposito.
- caixine
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Mi dispiace ma il filone apposito è visibile soltanto agli iscritti e oscurato ai non iscritti e questo per me è un ottimo motivo per ritenerlo inadatto.
Le idee degli altri che non si condividono non vanno nascoste, vanno discusse alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, diversamente non si fa cultura ma coltivazione di zombi.
Le idee degli altri che non si condividono non vanno nascoste, vanno discusse alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, diversamente non si fa cultura ma coltivazione di zombi.
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Alberto Pento
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- u merlu rucà
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Sarebbe interessante riprendere la discussione in un filone aperto a tutti, ma con spiegazioni dei punti salienti della teoria più succinte, altrimenti si rischia che molti non leggano neppure. Io, all'inizio, ero un po' scettico, viste le posizioni estremiste e iconoclaste. In seguito, mi sono ritrovato sulle posizioni della cosiddetta teoria debole, che ho avuto modo di discutere con uno dei sostenitori, con cui sono in rapporti di amicizia.
In una delle ultime discussioni mi ha detto che anche l'ultimo bastione del sostrato non indoeuropeo, il basco, è crollato: indoeuropeo anche lui.
In una delle ultime discussioni mi ha detto che anche l'ultimo bastione del sostrato non indoeuropeo, il basco, è crollato: indoeuropeo anche lui.
- caixine
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WILHELM F. H. NICOLAISEN
Questo autore ha pubblicato nel 1957 ad Heidelberg, come tesi di laurea: Die alteuropäischen Gewässernamen der britischen Hauptinsel (I nomi di acque antico-europei dell’Isola britannica principale).
In questo saggio, che mi è stato molto utile, Nicolaisen segue il metodo di Krahe.
Docente della Università di Aberdeen, in Scozia, ha aggiornato tale saggio con diverse monografie ed ha pubblicato ultimamente (1996) un altro saggio the Picts and their Piace Names (i Pict e i loro toponimi).
In questo ultimo lavoro Nicolaisen analizza accuratamente ciò che potrebbe servire a definire i Pict, una popolazione che da reperti archeologici occupava una certa area in Iscozia.
L’autore riporta molti esempi di nomi Pict:
Pittentagart (Priest’s portion); Pitcastle (Castle portion); Pittenfarrow (Bull portion); Pitpointie (Bridge portion); Pittencrieff (Tree portion).
Non intendo qui entrare nella discussione che l’autore fa circa l’origine del nome: questa origine, secondo l'autore stesso, potrebbe essere collegata al gallese od alla lingua della Cornovaglia pet "cosa", bretone pez, tutti derivati da un anteriore petia adottato dal latino della Gallia romana e anche, come parola presa in prestito dal francese, dall’inglese piece.
Anche nelle etimologie dei dizionari italiani pezza, pezzo è derivato dal gallico *pettia.
Questo autore ha pubblicato nel 1957 ad Heidelberg, come tesi di laurea: Die alteuropäischen Gewässernamen der britischen Hauptinsel (I nomi di acque antico-europei dell’Isola britannica principale).
In questo saggio, che mi è stato molto utile, Nicolaisen segue il metodo di Krahe.
Docente della Università di Aberdeen, in Scozia, ha aggiornato tale saggio con diverse monografie ed ha pubblicato ultimamente (1996) un altro saggio the Picts and their Piace Names (i Pict e i loro toponimi).
In questo ultimo lavoro Nicolaisen analizza accuratamente ciò che potrebbe servire a definire i Pict, una popolazione che da reperti archeologici occupava una certa area in Iscozia.
L’autore riporta molti esempi di nomi Pict:
Pittentagart (Priest’s portion); Pitcastle (Castle portion); Pittenfarrow (Bull portion); Pitpointie (Bridge portion); Pittencrieff (Tree portion).
Non intendo qui entrare nella discussione che l’autore fa circa l’origine del nome: questa origine, secondo l'autore stesso, potrebbe essere collegata al gallese od alla lingua della Cornovaglia pet "cosa", bretone pez, tutti derivati da un anteriore petia adottato dal latino della Gallia romana e anche, come parola presa in prestito dal francese, dall’inglese piece.
Anche nelle etimologie dei dizionari italiani pezza, pezzo è derivato dal gallico *pettia.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
Alberto Pento
[LIJ] RE: PITELLI
Carnby ha scritto:Canepari mi ha suggerito la pronuncia [pi'tœi] per Pitëi, basandosi sulle fonosintesi di Pontremoli e Filattiera.
In realtà, no. E’ - banalmente - “Pitèi”. Siamo praticamente alla Spezia. Rispetto alla cui realtà fonetica (ancora di tipo ligure) Pontremoli e Filattiera (che possiedono dialetti di tipo lunigianese “settentrionale”) risultano “mondi alieni”.


Inoltre, Lerici risponde con “pu” e “puma” agli spezzini “ciü” = più e “ciüma” = piuma (a Genova, rispettivamente “ciü” e “ciümma”). Emerge chiaramente come Pitelli possa essere considerata situata sul confine linguistico che separa le varietà liguri da quelle di tipo lunigianese. Lerici è la prima località che s’incontra a breve distanza sulla costa oltre il confine delle parlate di tipo ligure e manifesta già caratteristiche linguistiche di tipo lunigianese. Le forme “bianco”, “piève” = piove, “pu” = più e “puma” = piuma di Lerici non sono, evidentemente, classificabili come liguri. Ma Lerici, come appare chiaro dagli esempi citati, non possiede né ö né ü. Come molte altre parlate lunigianesi. Anzi, la maggioranza. E come riferito all’inizio.
P.S. : non conviene mai provare a inferire la pronuncia dalla grafia!

Post P.S.: segnalo a chi fosse interessato ad aspetti fonetici l’incongruenza della pronuncia - nell’italiano locale (della Spezia) - tra “spezzino” - z sonora – e Spezia - z sorda – . Siccome in dialetto spezzino si ha s sonora in ambo le voci - “spezin” e “Spèza” (a Genova - egualmente con s sonora rappresentata graficamente da “z”- “spezin” e “Spézza”) -, sembrerebbe proprio che sia il nome Spezia a non rendere fedelmente il toponimo locale. In dialetto, invece, i due vocaboli concordano e, quindi, il termine “spezzino” dell’italiano locale - pronunciato con con z sonora - dovrebbe essere forma corretta perché rispetta precisamente il toponimo e l’etnico locali. E’ esistita, infatti, una forma antica del toponimo -“Spedia” -.
E da ”Spedia” si può giungere regolarmente a “Spèza”.
Proprio come da “media(m)”, ad es., si giunse in tutti i dialetti liguri orientali (tra cui lo spezzino), in quelli di tipo genovese e anche nella maggioranza di quelli occidentali a “mêza”(vel sim.) = mezza et c. .
Faccio, inoltre, presente l’illogicità del binomio rappresentato dalle denominazioni ufficiali di “Albissola marina” e “Albisola superiore”, anche se sono state ratificate mediante decreto. Lasciamo pure andare l’etimo e la pronuncia locale - ovviamente, identica nei due casi! -, ma è esattamente come scrivere “Rocca Mentuccia di sopra” e “Rocca Mentucia di sotto”.

L’amore per il particolarismo e le differenze inesistenti travalica - più che la coerenza logica - un sano buon senso!
Re: [LIJ] RE: PITELLI
Comunque spezzino con /ʣʣ/è attestato anche in Toscana (non da me).ippogrifo ha scritto:segnalo a chi fosse interessato ad aspetti fonetici l’incongruenza della pronuncia - nell’italiano locale (della Spezia) - tra “spezzino” - z sonora – e Spezia - z sorda – . Siccome in dialetto spezzino si ha s sonora in ambo le voci - “spezin” e “Spèza” (a Genova - egualmente con s sonora rappresentata graficamente da “z”- “spezin” e “Spézza”) -, sembrerebbe proprio che sia il nome Spezia a non rendere fedelmente il toponimo locale. In dialetto, invece, i due vocaboli concordano e, quindi, il termine “spezzino” dell’italiano locale - pronunciato con con z sonora - dovrebbe essere forma corretta perché rispetta precisamente il toponimo e l’etnico locali. E’ esistita, infatti, una forma antica del toponimo -“Spedia”
Chi c’è in linea
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